Massimo D’Alema è tornato. O meglio, per chi conosce gli ambienti romani non se ne è mai andato anche dopo la mancata rielezione in Parlamento nel 2018 e il graduale declino dell’esperienza di Liberi e Uguali. La sua sortita contro lo schema Franco-Draghi tra Palazzo Chigi e Quirinale, il suo annuncio divisivo di voler rientrare nel Partito Democratico, l’annuncio dello scioglimento di Articolo Uno, il riecheggiare delle sue parole dentro e fuori il Pd, tanto da portare il segretario attuale Enrico Letta e il predecessore, a sua volta scissionista, Matteo Renzi a fare temporaneamente fronte comune hanno indubbiamente agitato le acque.
Le vere intenzioni d’ D’Alema: sfasciare la corsa al Quirinale di Draghi
Scrive Salvatore Merlo sul Foglio che così “come Silvio Berlusconi si candida al Quirinale perché in realtà vuole mettersi al centro della vicenda e incoronarsi kingmaker del prossimo presidente della Repubblica, così Massimo D’Alema diventa fragoroso non perché voglia depurare dalla “malattia renziana” il Pd in cui è previsto il suo rientro, né tanto meno perché ambisca a qualcosa, ma semplicemente perché così dicendo occulta forse la sua vera intenzione: la candidatura a king “un-maker”, a re sfasciatore della corsa al Quirinale, a leader degli impallinatori di Mario Draghi”. Ipotesi interessante e non da escludere, ma che non riteniamo esclusiva motivazione assieme al naturale tentativo di Baffetto di disarcionare il premier che ha fatto piazza pulita del suo partito personale nelle istituzioni.
L’accelerazionismo di D’Alema apre una nuova stagione
Quella di D’Alema appare una dinamica accelerazionista tipica di questi tempi in cui il tempo sembra essersi fermato e, dopo la pandemia, si ritorna a veder scorrere sulle prime pagine e nei notiziari una carrellata di nomi che farebbe pensare a vent’anni fa: Baffetto, Draghi, Berlusconi, Amato, Casini, Gianni Letta, Marcello Pera. Magia e meraviglia del Quirinale. L’accelerazionismo di D’Alema è rivolto al Pd e al sistema politico, da lui ritenuto bloccato, in generale. Il ritorno in seno ai dem vuole secondo D’Alema servire da sprone a Letta per costruire realmente un campo largo da fare con gli elettori, non andando a prendere pezzi di partitini qua e là o erodendo il renzismo, che per conto suo è già finito al 2%. E quindi si apre una fase molto importante, che, tra l’altro, deve passare attraverso l’elezione del presidente della Repubblica non accettando, a suo avviso supinamente, lo schema Draghi.
Berlusconi e Travaglio: da nemici di D’Alema a suoi alleati
Inaspettatamente, i migliori alleati di D’Alema in questo suo tentativo possono essere due mortali nemici: Silvio Berlusconi e il mondo mediatico che fa riferimento a Il Fatto Quotidiano e Marco Travaglio. Il Cavaliere interpreta alla perfezione il ruolo di sostenitore del premier più vicino alle istanze di Forza Italia che potesse immaginare e, al di là delle ambizioni quirinalizie, non avrebbe motivo per immaginare un trasferimento di Draghi; il Fatto, invece, ha speso parole di elogio per le prese di posizione di D’Alema, ritrovando nell’ex premier la più autorevole voce critica della figura di Draghi nell’establishment italiano. Sia Berlusconi che il sistema mediatico legato al Fatto e ai suoi interlocutori diretti (principalmente nei media di Urbano Cairo, da frange del Corriere della Sera alla tv La7) sostengono per ragioni eterogenee un consolidamento del bipolarismo politico e un ritorno agli Anni Novanta che la mossa di D’Alema in qualche modo accelera e che la partita del Quirinale potrebbe a suo modo perfezionare se mancasse ogni accordo sul nome del premier come futuro capo dello Stato.
Con D’Alema risalgono Bettini e Zingaretti
In seno al Pd, D’Alema mira invece a dare visibilità e spazio a quelle figure politiche che, assieme a Letta, hanno voluto prendersi la rivincita nell’era post-renziana. Notoria la sua vicinanza a Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti, di cui era consigliere ai tempi del Conte-bis. E proprio Bettini, a settembre, parlando alla festa del quotidiano di Marco Travaglio ha posto l’accento sulla necessità di evolvere il sistema politico verso un nuovo bipolarismo. Come D’Alema-prescritto di recente.
I “giovani leoni” non ruggiscono, i vecchi pezzi da novanta tornano a far correre la politica
Nella maretta che si è creata, Enrico Letta punta a fare a sua immagine e somiglianza le liste elettorali per i voti del futuro e il redde rationem con la falange filo-renziana residua di Base Riformista è solo rimandata. In prospettiva, dunque, d’Alema potrebbe aver spianato la strada anche al suo collega nel ruolo di ex presidente del Consiglio.
Mentre i “giovani leoni” della politica non ruggiscono, sono i vecchi pezzi da novanta come D’Alema a creare agitazione e dinamiche competitive, conflittuali, sistemiche. Rimettendo la politica a marciare del suo passo. Come battaglia di interessi, spesso convergenti anche tra attori distanti, di idee, di relazioni interpersonali. In un concetto, come fattore umano. Ci voleva, dopo due anni di blocco: e la corsa al Quirinale ci insegna quanta sete di vera dialettica politica tuttora continuiamo ad avere in questo Paese perennemente sull’orlo di una crisi di nervi.