di Francesco Floris
“Sono persone che hanno avuto un passato da benestanti”. La frase fa specie se a pronunciarla è Giuseppe Gentile, responsabile Pronto Pegno di Banca Sistema, il primo gruppo bancario nel credito su pegno in Italia con impieghi totali di oltre 75 milioni di euro, più di 38 mila clienti finanziati e 77 mila polizze emesse/acquisite nel 2020. L’analisi del gruppo (con dati aggiornati all’autunno 2020) mostra l’impatto della pandemia sull’economia italiana, da un’angolatura differente rispetto alle classiche statistiche.
Crisi, ecco i numeri del credito su pegno
Il numero delle polizze sottoscritte nel settore del credito su pegno in Italia è salito del 30%, come anche i rinnovi e i riscatti; le categorie di persone che hanno fatto ricorso allo strumento sono state dipendenti privati (35%) ma anche liberi professionisti (15%), imprenditori (10%), dipendenti pubblici (10%), pensionati (10%) e inoccupati (20%) intendendo familiari inoccupati e disoccupati; in aumento, grazie anche all’utilizzo di strumenti digitali come l’app Pronto Pegno, la fascia d’eta 30-40 anni che rappresenta il 40% della clientela del Gruppo operante nel settore dal 2017 con 12 filiali dedicate e che a luglio 2020 ha acquisito l’intero ramo d’azienda credito su pegno di Intesa Sanpaolo.
Per quali spese le persone portano i loro beni a quello che un tempo prendeva il nome di “Monte di Pietà”? Per il 35% di loro la necessità è quella di far fronte a spese quotidiane come casa, auto, riparazioni, rette, spese mediche. Il 20% ha necessità legate al nucleo familiare per materiale scolastico, libri, abiti, calzature, cibo. E fin qui – pur nella drammaticità – sono fatti noti. Poi però si osserva un 15% che lo fa per esigenze professionali, il 10% per tasse, contravvenzioni, un altro 10% addirittura per le spese voluttuarie come vacanze, tempo libero ma anche interventi di chirurgia estetica e tatuaggi. Il restante per acquisto e ristrutturazione di immobili o altre esigenze di liquidità immediata.
Banca Sistema: “Tatuatori e centri estetici”
“Quest’anno abbiamo avuto professionisti come i titolari di centri estetici, parrucchieri, tatuatori – spiega a True-News Giuseppe Gentile –. In particolare abbiamo notato un picco di queste categorie a fine maggio-inizio giugno 2020 con lo scopo di avere liquidità per adeguarsi alle misure di protezione all’interno dei propri locali o negozi perché in alcuni casi si parlava di interventi da decine di migliaia di euro che per una piccola azienda può essere un macigno”.
Oro, Rolex e Cartier
Ma oltre al tessuto delle pmi italiane il “collaterale” che il servizio di Banca Sistema vede più spesso è l’oro. Nel 90% dei casi sostituendo del tutto, o quasi, ciò che un tempo poteva essere la norma come pellicce e tappeti. “Soltanto il 2% degli oggetti che arrivano in vendita sono le classiche catenine o i braccialetti. Ci portano invece diamanti, Rolex, Cartier, quindi è chiaro che chi li dà in pegno sia una persona con almeno un passato da benestante” dice Gentile raccontando una vera e propria “geografia del pegno” che varia a seconda delle latitudini della penisola: Roma e Milano, oggetti prestigiosi e in particolare nella Capitale vanno per la maggiore orologi di marchi importanti dove si arriva tranquillamente “a 20-30-40 mila euro di pegno”. Su piazze come Firenze o Venezia-Mestre arrivano i diamanti figli di una certa nobiltà decaduta. A Napoli, a Palermo e a Rimini vengono portati oggetti d’oro. A proposito: quanto il valore medio? “Ci capita raramente di fare un pegno inferiore ai 500-600 euro” con l’oro che viene battuto a oro a 22 euro al grammo per le polizze semestrali e annuali, a 23 euro per quelle trimestrali. I dati interni fotografano invece un ticket medio del finanziamento dal valore di 1.200 euro. Ma all’interno di questa cifra media c’è tanta sperequazione fra chi deve pagare una bolletta e chi una cartella esattoriale da 30mila euro. È quindi la normalità “fare pegni anche per un valore di 20/25 volte tanto, in particolare quando il collaterale sono orologi prestigiosi”.
Solo il 2% in asta
C’è un fatto. Estremamente positivo. Questa forma di micro credito su pegno sembra funzionare: solo il 2% dei beni portati finisce poi all’asta, mentre il restante 98% viene riscattato rientrando nel totale possesso del suo proprietario. “Per noi un bene venduto all’asta è un bene perso che va ad alimentare il mercato dei compro oro – spiega Giuseppe Gentile –. Per legge potremmo vendere dopo un mese dalla scadenza, invece lo facciamo dopo 9-12 mesi proprio per dare il tempo alle persone di rientrare e se il cliente arriva anche un minuto prima dell’asta pubblica per riscattare il proprio bene lo può fare perché il nostro obiettivo è che i clienti rientrino in possesso dei loro beni”. Sull’intero mercato della penisola questa percentuale scende di poco: 5% che va in asta e 95% dei beni viene riscatto. Significa che chi fa uso dello strumento, lo fa per una temporanea necessità di liquidità. Magari più volte nel corso della vita o con regolarità. Qualunque sia il motivo, è poi nelle condizioni di rientrare evitando che la sua situazione economica si incancrenisca e si cronicizzi.
Uno strumento contro la crisi Covid?
Numeri che aprono a dei potenziali scenari: il credito su pegno potrebbe diventare uno strumento con cui far fronte alla crisi Covid. Perché? Uno dei “bubboni” pronto ad esplodere in Italia è infatti quello delle sofferenza bancarie, degli incagli, dei crediti deteriorati. O, per dirla in gergo: Npl, Npe, Utp. Sono i prestiti che non rientrano soffocando il sistema bancario e, a cascata, imprese e lavoratori. Un problema che attanaglia il sistema creditizio domestico su tre fronti differenti: da una parte non sono ancora stati “risolti” gli incagli figli della crisi 2008. Dall’altra le nuove norme bancarie europee e la vigilanza della Bce prevedono che gli istituti riducano di gran lunga entro il 2026 la loro esposizione. È su queste due condizioni che si abbatte la crisi economica generata dalla pandemia: solo a luglio 2020, secondo Nomisma, erano 14 i miliardi di euro di nuove sofferenze bancarie generate dai primi tre mesi di lockdown. Figlie di imprenditori e lavoratori che non possono ri-finanziarsi; lavoratori di commercio e ristorazione non assunti a tempo indeterminato che non riescono a pagare il mutuo; oppure proprietari di seconde case acquistate a debito per investimento in locazione (per esempio Airbnb o locazione turistica) e quindi con la rata del finanziamento non sospendibile. Tutte persone che magari attraversano un temporaneo periodo di difficoltà. Cosa accade di solito? Nulla. Ed è un problema. Le banche italiane spesso lasciano “marcire” la situazione. Prima per 90 giorni. Poi 180. Poi un anno e via dicendo fino a quando non si arriva a una procedura esecutiva per debiti con il pignoramento dei beni – soprattutto immobiliari – che finiscono per perdere quasi il 50% del loro valore di mercato una volta recuperati e messi all’asta dopo molti anni. Perché si arriva fino a questo punto invece di prendere subito contatto con il cliente della banca, dopo 2 o 3 mesi dai mancati pagamenti? E vedere così se è possibile trovare un’alternativa? Magari rimodulando la rata per un certo periodo; magari congelandola; oppure permettendo al cliente di accedere a forme di microcredito proprio per rimettersi in carreggiata.
Non avviene perché c’è da una parte una carenza di cultura e di organizzazione nel settore bancario, ma dall’altra anche perché la gestione “personalizzata” del cliente per un grosso istituto è molto costosa. Mentre invece fioriscono le società esterne di “collection” dati e gestione crediti che fanno proprio questo di lavoro. È un business fiorente in Italia e in tutto il sud Europa – per i motivi di cui sopra – che ormai vede lanciarsi nel settore Npl e Utp società che vanno dalle sgr ai fondi fino alle società informatiche e agli ex gestori di call center. Il loro lavoro è proprio quello di analizzare anche le posizioni critiche ma piccole, il taglio minimo a cui una banca non farebbe nemmeno caso portando il credito in sofferenza invece che muoversi con anticipo. Posizioni così piccole e temporanee dove un’intervento anche da poche migliaia di euro può essere risolutivo. Pronto Pegno e Banca Sistema non sono attivi attivi su questo filone ma secondo Giuseppe Gentile sarebbe possibile: “Si può fare – chiude – ma anche solo per l’individuazione e comunicazione del cliente con cui prendere contatto, servono degli accordi ad hoc di segnalazione e mediazione realizzati attraverso contratti e forme giuridiche particolari nel rispetto della privacy”. Potenzialmente dunque si può fare ma è complicato. Come il tracking dei contagi. Che se funziona può evitare il diffondersi del “virus” al resto dell’organismo.