Home Politics Barbie, posso essere femminista anche se non mi è piaciuto il film?

Barbie, posso essere femminista anche se non mi è piaciuto il film?

Barbie

Barbie, il mondo è diventato rosa. Di rosa ci si veste per andare a vedere il film di Greta Gerwig, il gigantesco battage pubblicitario ha fatto quasi esaurire le scorte mondiali di vernice “pink”. E, in tutta franchezza, si tratta di un gran bel “pink-washing” per Mattel, anche produttrice del lungometraggio. Tramite questo lungometraggio, in qualche modo chiede perdono per aver diffuso nei decenni un ideale di donna dagli standard inarrivabili, Barbie appunto, per poi assicurarsi la fetta di mercato giovane ricalibrandosi sui trend Instagram di inclusione, “siamo perfette così come siamo” e via dicendo. Il mercato (di Mattel) è salvo, gli incassi lo dicono forte e chiaro.

L’insopportabile retorica femminista sul film

Unica nota stonata, la retorica che ammanta tale titolo e che, ancora prima che uscisse, divideva il genere umano in due fazioni contrapposte. Ossia le femministe (brave e buone a cui Barbie sarebbe di certo piaciuto) e gli schiavi del patriarcato (che non lo avrebbero saputo sopportato). Si parla di rivoluzione, di un film necessario perfino. E se sciaguratamente non dovessi pensarla così, sei fuori dal mondo. Non che essere “fuori dal mondo” per come il mondo “ragiona” oggi sia poi un così grande peccato. Eppure, con buona pace delle polarizzazioni da hashtag, personalmente mi viene voglia di spararla alta: io mi considero e sono femminista. Anche se Barbie proprio non l’ho potuto sopportare. Come la mettiamo? 

Barbie, “nessuno è interessato al parere di un uomo su questo film”

Barbie è oramai sinonimo di “Barbarie”. Almeno lo è sui social dove, da molto prima dell’uscita del film, si sono generati e condivisi meme tesi a irridere i maschi eterosessuali che del fine lungometraggio, di sicuro, non avrebbero inteso una mèche. L’hype si è fatto via via più aggressivo e ora che la pellicola è tra noi, non è difficile imbattersi in tweet che recitino: “Nessuno è interessato al parere di un uomo su questo film”. Ohibò. Quando uscirà anche in Italia Oppenheimer di Nolan si potrà cinguettare un simile epitaffio (rovesciato)? Abbiamo i nostri buoni dubbi. E averne non significa essere “schiave del patriarcato”.

Al massimo, dotate di buonsenso. L’aggressività che si riscontra sui social riguardo a Barbie, pur sempre, lo ricordiamo, una bambola, discende anche dalla polarizzazione che il titolo, fin dal trailer, propone: una sorta di femmine contro maschi per distruggere il malvagio patriarcato. Una guerra che, su grande schermo, può anche essere divertente da vedere. Ma che diventa meno spassosa se applicata, tout court, alla nostra società reale. Non che sia perfetta, intendiamoci. Solo, dubitiamo fortemente che aggiungere disparità a disparità possa essere una soluzione percorribile. Anzi, percorribile lo sarà pure ma… utile? No.

Barbie, se non hai amato il film non puoi essere femminista

E veniamo all’ape regina delle assurdità: se non hai amato Barbie, non puoi essere femminista. L’ordine della sorellanza ti ritira il patentino, diventi come un ultras col Daspo. Però, rosa. Anzi, c’è chi ti suggerisce di farti un favore e di andare a leggerti articoli su articoli, quando non interi tomi, sul femminismo “per poterlo capire”. Questo è il punto vero: se non ti piace Barbie, anche in senso cinematografico comunque un prodotto messo sul mercato da Mattel per ripulirsi la coscienza e fare sempre più soldi, vuol dire che “non hai capito”. Quello che, umilmente, capisco è che la società in cui viviamo sia piena di disparità e di cose che mi fanno sinceramente incazzare.

Non mi piace il gaslighting, non apprezzo il catcallig (anche se, delle volte, quando esco di casa sciatta e qualcuno mi fischia comunque, a livello personale, oh non mi rende contrita). Odio il fatto che una donna venga considerata prima di tutto per il proprio aspetto, in ultimo per quello che sia effettivamente in grado di fare. Non me ne frega niente, però, delle percentuali. Credo nella realtà tangibile dei fatti, in quella imminente, non nel mondo delle favole dove ci sono, necessariamente, buoni e cattivi per semplificazione narrativa. La società non è una semplificazione narrativa. Al massimo può esserlo in claim pubblicitari e slogan politici. E vediamo ogni giorno le derive che ne possono conseguire e che, puntualmente, ne conseguono.

Barbie, non credo in un femminismo di canzonette e meme

Credo in un mondo di pari, in cui qualunque tipo di dibattito possa essere aperto senza ideologie, senza partire dal presupposto di avere monoliticamente ragione. Credo in un mondo fatto di maschi e femmine, per farla breve, di individui, di persone. Che non sono definite da ciò che hanno in mezzo alle gambe, ma da tutto il resto delle caratteristiche che le compongono. Credo nei maschi stronzi e nelle femmine arpie. Credo che se “l’ha fatto una femmina” non debba essere per forza una cosa buona e giusta perché siamo fallibili, tanto quanto i maschi. E allo stesso modo dovremmo essere considerate, sia nel bene che nel male. Non mi interessa la skincare e nemmeno la vostra beauty routine al melagrano di jojoba. Mi interessa sentirmi orgogliosa di quello che sono, con i miei pregi e i miei difetti, entrambi potenzialmente utilissimi all’interno di una società, e non di una ristretta comunità, che può pure darmi torto. Ma solo dopo avermi ascoltata. Credo che i termini “mascolinità” e “tossica” non debbano andare per forza a braccetto. Credo che esista pure una “femminilità” tossica assai. Solo che non va di moda parlarne. Non credo nella rappresentazione del maschio come di un eunuco imbecille, senza arte né parte, lì solo per ruttare, bere birra e, se sollecitato, sistemar lampadine o trasportare oggetti pesanti. Non credo nel maschio “utile”, credo nel maschio. E non credo che il suddetto maschio debba necessariamente rinunciare alla propria virilità per essere accettato, come fosse una sorta di “progresso”. Credo, da donna eterosessuale, che la virilità sia in sé molto eccitante. E credo infine che non rinuncerei mai a un orgasmo “vero” per quello che potrebbe darmi un succhiaclitoride di Hello Kitty. Credo che siamo diversi. E che perdere queste differenze sarebbe una sconfitta. Per tutti. Donne incluse.