di Dino Amenduni per Medium
Beppe Sala è stato eletto sindaco di Milano, per la seconda volta, con il 57.73% dei consensi. È la percentuale più alta mai raggiunta da un sindaco di Milano al primo turno da quando esiste l’elezione diretta dei sindaci (cioè dal 1993); è la prima volta che un candidato di centrosinistra vince al primo turno a Milano da quando è previsto il voto popolare diretto per questo incarico. Sala ha ottenuto 277.478 voti di preferenza, circa 53mila voti in più rispetto al primo turno delle amministrative del 2016 e circa 13mila voti in più rispetto al ballottaggio di cinque anni fa.
1. La vittoria è stata costruita mesi prima
Il nostro lavoro a supporto di Sala, del suo staff a Palazzo Marino e della fantastica squadra che ha composto il suo comitato elettorale (oltre che delle liste che lo hanno sostenuto) è iniziato con largo — finalmente — anticipo rispetto alle consuetudini contemporanee. Abbiamo infatti iniziato a collaborare nel mese di febbraio, in piena seconda/terza emergenza Covid e senza alcuna certezza sulla data effettiva delle elezioni (che infatti sono state spostate in autunno, un unicum della storia delle Amministrative, proprio per motivi di sicurezza sanitaria). Questo elemento si è rilevato determinante molto più di quanto sia stato percepito. Nelle ultime due settimane ho sentito troppo spesso (per i miei desideri) la frase ‘vabbè, è una campagna facile, avete già vinto’. È probabile che nelle ultime due settimane il dato fosse acquisito (anche se in proporzioni per me inimmaginabili: nel toto-voto avevo scritto 52% su un foglio, ed ero comunque perplesso su tutto quell’ottimismo), ma non si arriva mai a quel livello di serenità restando fermi. La campagna elettorale è stata vinta in due momenti scarsamente raccontati. Il primo episodio precede la nostra consulenza. Quando il 7 dicembre 2020, il giorno di Sant’Ambrogio, il santo patrono di Milano, Beppe Sala annuncia la sua ricandidatura con largo (e indefinito, considerando l’incertezza sulla data del voto) anticipo, crea un elemento di pressione fortissimo sul centro-destra locale. “Io ci sono”, e questa è stata per mesi l’unica certezza. Il secondo elemento non è collegato a un singolo giorno, ma al lavoro costruito nelle settimane tra aprile e maggio per raggiungere un obiettivo per un terzo politico, un terzo comunicativo e un terzo psicologico: mostrare ai nostri avversari che eravamo forti, e che sfidarci sarebbe stato pericoloso. Il successivo e lunghissimo avvitamento che la destra meneghina ha maldestramente gestito per cercare un* sfidante è figlio dell’incrocio tra queste due componenti. Beppe Sala ha vinto le elezioni molto prima delle due ultime settimane e, permettetemelo, molto prima che Luca Bernardo fosse annunciato come candidato del centrodestra. Sala ha vinto nel momento in cui molti nomi forti di quell’area hanno pensato di tenersi alla larga dalla competizione elettorale, convinti di non potersela giocare. Questo è a mio avviso l’elemento cruciale di questa campagna elettorale, e allo stesso tempo il più sottovalutato nelle analisi sin qui profuse.
2. Artigianato e produzione industriale nella strategia
Ogni campagna elettorale è un abito sartoriale, cucito da zero sulle esigenze dei candidati, tenendo conto delle variabili di contesto, la qualità dell’azione amministrativa pregressa, le caratteristiche degli avversari, i dati dei sondaggi. Il nostro lavoro obbliga a ricominciare da zero tutte le volte, ed è per questo che resta il più difficile e (quando va bene) gratificante nell’ambito delle professioni della comunicazione: perché tutto quello che hai imparato potrebbe non servire, perché se ti dicono che sei bravo comunque non serve a niente, perché esiste una componente di imprevedibilità legata ai fatti di attualità, che non si può controllare. Questa campagna elettorale non ha fatto eccezione. Abbiamo imparato da zero nuove dinamiche di lavoro di gruppo, abbiamo conosciuto una città di cui pensavamo di sapere qualcosa basandoci sugli stereotipi triti e ritriti su Milano, ci è stato giustamente chiesto di essere fisicamente presenti quanto più possibile e nonostante il Covid perché i sondaggi sono cruciali ma il polso e le emozioni talvolta lo sono altrettanto. Direi però il falso se affermassi che non abbiamo fatto tesoro di alcune precedenti esperienze, e in particolare della campagna per le Amministrative di Bari del 2019, a supporto del sindaco Antonio Decaro, per squadernare gli elementi strategici fondamentali, che si sono rivelati straordinariamente simili tra le due esperienze e che riassumerei in tre mini-regole che per ora sembrano reggere alla prova del tempo e della geografia: 1. quando si è sindaci (o candidati sindaci, ma di più se si è già in carica), bisogna parlare esclusivamente della propria città (test: scorrete a ritroso la bacheca di Sala negli ultimi mesi) 2. quando si lavora in un contesto politico nazionale sfavorevole (cioè in cui, in caso di elezioni politiche, vincerebbe la parte opposta alla tua), bisogna evitare qualsiasi forma di polarizzazione perché andrebbe a tuo svantaggio 3. questo è vero a maggior ragione se chi si candida ha capacità di attrazione che vanno al di là del recinto tradizionale della propria coalizione (e ciò è vero per Sala com’è stato vero per Decaro).
3. Quanto è difficile rinunciare alle liturgie
In questi mesi siamo stati — com’è giusto che sia — criticati (con grande eleganza, tra l’altro) su alcune scelte comunicative che apparivano azzardate prima di tutto perché sfuggivano alla regola aurea della pigrizia intellettuale: “si è sempre fatto così”. Sala ha deciso di non fare comizi perché “bisogna andare tra la gente”, non portarle in piazza per aizzarle. Si è deciso di non polarizzare la campagna elettorale negli ultimi giorni anche se c’era la prospettiva del primo turno che poteva giustificare di alzare i toni per generare mobilitazione nell’elettorato di centrosinistra, perché era più importante la consistenza del messaggio rispetto alle ragioni tattiche del momento. Durante il silenzio elettorale Sala non ha fatto assolutamente nulla sui social (non ha nemmeno pubblicato la foto di se stesso che andava a votare), mentre Meloni attaccava Fanpage per l’inchiesta sulle collusioni tra estrema destra e classe dirigente di Fratelli D’Italia a Milano (domanda: questa inchiesta ha fatto danni? Risposta attraverso un segnale debole: Chiara Valcepina, una delle dirigenti chiamate in causa, è stata eletta consigliera comunale. Quindi suppongo che tutto questo danno non lo abbia fatto) a urne aperte e il resto del mondo si nasconde (da anni) dietro il paravento del “la legge è del 1956, sui social si può fare tutto, quindi facciamo tutto”. Non fare le cose che sono attese “perché si è sempre fatto così” genera ansia, perché si ha sempre il timore che gli altri stiano costruendo un vantaggio mentre tu rimani immobile. E invece non è andata così. Poi sono consapevole che nella prossima campagna elettorale andrà esattamente come al solito: nonostante il caso di studio dice che non è obbligatorio fare certe cose perché si sono sempre fatte, ma che ogni strumento è, per l’appunto, uno strumento, e va attivato quando serve e se serve, ci sarà quell’ansia da fuga dalla liturgia che, anche se non spiega più niente a livello di consenso, è comunque rassicurante. In ogni caso: le liturgie, prese così come sono, non funzionano come prima. O comunque non funzionano in automatico.
4. “La destra fa meno paura se la vedi da vicino”
È la frase che personalmente considero la più efficace di tutta la campagna elettorale. L’ha usata il sindaco ieri durante il suo discorso dopo che le proiezioni gli davano un ragionevole margine di certezza sul risultato finale, e nasce da un editoriale di qualche settimana fa di Piero Colaprico, un giornalista di Repubblica, a commento dell’andamento della campagna elettorale.
Questa frase dice tantissime cose, provo a riassumere le più significative:
a. Le campagne elettorali ruotano attorno al confronto tra le classi dirigenti. Più la dimensione è micro (elezioni cittadine) più questo è vero, ma non è falso nemmeno alle politiche. La sinistra in Italia vince (solo) quando gioca su questa dimensione, perde quando pensa che si possano vincere le elezioni a soli colpi di comunicazione;
b. vedere la destra da vicino vuol dire accettare che esiste un livello di interlocuzione che va oltre i bastioni delle proposte di ciascuno. La sinistra è più forte su alcune cose, la destra è più forte su altre. Esiste un terreno potenzialmente comune su cui provare a risultare più credibile? Forse è quello dei diritti sociali, ed è forse questa la battaglia dei prossimi anni, resa esplicita dal Covid;
c. La pandemia ha disarticolato la dimensione della semplicità come driver di successo in comunicazione politica. La gestione di una pandemia non è semplice. La complessità è ora accettata e accettabile. Non è questo il momento di scimmiottare gli stilemi della destra, ma avere il coraggio di dire che è più difficile di così.
5. Cosa vuol dire l’astensionismo
A Milano ha votato meno di un elettore su due. Idem a Roma e Napoli. A Bologna è andata poco meglio. “Ha vinto l’astensionismo” come è stato scritto urbi et orbi? Certamente sì, qualsiasi elezione in cui vota poca gente è comunque una mezza sconfitta. Ma è indistintamente una sconfitta di tutt* e sono tutt* responsabili allo stesso modo? I dati dei flussi relativi al successo di Sala mi portano ad alzare, seppur precariamente, la mano. Un sindaco che amplia il suo consenso del 20% (da 214mila a 277mila voti) è responsabile del fatto che l’affluenza nella sua città è scesa del 7%? Io penso di no. Penso che la responsabilità, in questo caso specifico, sia ascrivibile prevalentemente al centrodestra e alla scarsa (per gli elettori) offerta politica.
A questo elemento locale ne aggiungerei altri due più nazionali: 1. non si è mai votato in autunno. La stagione fa la differenza? Davvero non lo so ma non lo considererei una variabile irrilevante 2. Nell’era del draghismo, in cui milioni di italiani vorrebbero solo Draghi e nient’altro, può essere che il valore delle elezioni sia stato deprezzato? Domanda aperta, lo vedremo alle prossime politiche.
6. Twitter è una bolla, arrendetevi
Durante le ore del silenzio elettorale mi sono imbattuto in questo tweet: “Fra i 100 tweet con più interazioni di questa campagna elettorale (negli ultimi tre mesi per Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna), uno è di Beppe Sala, 10 di Virginia Raggi e 89 di Carlo Calenda, autore anche dei primi 17 in classifica.”. 99 dei 100 migliori tweet non sono nemmeno arrivati al ballottaggio. Non serve aggiungere altro.
*ho lavorato, insieme alla squadra di Proforma, l’agenzia di comunicazione di cui sono socio, alla strategia generale, alla creatività e al design della comunicazione della campagna elettorale di Beppe Sala, che ha vinto le elezioni a Milano e continuerà così la sua esperienza da sindaco della città