Perché leggere questo articolo? Silvio Berlusconi lascia un vuoto grande nella politica. E anche il centrodestra non sarà più lo stesso. Vediamo perché.
Morto Silvio Berlusconi, si chiude definitivamente anche sul piano politico un’epoca storica inaugurata dalla celebre “Discesa in campo” del Cavaliere nel 1994. Quella, cioè, dell’ampia strategia imperniata sul bipolarismo imperfetto della politica italiana che ha avuto nel bilanciamento tra centrosinistra e centrodestra il suo perno. Narrativo, prima ancora che sistemico, ma funzionale a creare le grandi coalizioni e i campi larghi che abbiamo visto nelle ultime elezioni politiche.
Dal centrodestra al destra-centro
Simmetrico in cinque occasioni (1994, 1996, 2001, 2006, 2008), prima dei tre voti (2013, 2018, 2022) in cui l’ascesa del Movimento Cinque Stelle l’ha annacquato, lo schema bipolare è stato però l’artificio narrativo attorno a cui la dialettica politica si è amalgamata nell’ultimo trentennio. Sic transit gloria mundi disse, pietoso, Berlusconi apprendendo nel 2011 della morte di Muammar Gheddafi. Sic transit centrodestra, possiamo dire oggi.
Il centrodestra divenuto “destra-centro” con l’ascesa della Lega di Matteo Salvini prima e di Fratelli d’Italia poi non ha mai potuto fare a meno per governare e amministrare dei voti e della classe dirigente vicina al Cavaliere. Terzo per voti ma “garante” dell’ancoraggio di sistema della coalizione anche dopo l’ultimo voto politico. Il centrodestra plasmato da Berlusconi è stato una creatura ibrida. Mai convintamente schierato a destra, se non per fiuto tattico, Berlusconi ha voluto per anni essere punto di sintesi tra più aree, amalgamando gli opposti, spesso inconciliabili, di Lega e destra post-fascista.
Berlusconi, un pragmatico più che un uomo di destra
In quest’ottica, Forza Italia si è sempre identificata con il suo fondatore, che per lunghi decenni poi ha trasmesso tale identificazione all’intero centrodestra fino al sorpasso del Carroccio nel 2018.
Un’identificazione, questa, che ha portato Forza Italia a un posizionamento ibrido: è stata a lungo partito di governo per natura e strutturazione da un lato, formazione priva di un reale meccanismo di selezione interna della classe dirigente dall’altro; formazione in grado di attrarre al suo interno le sensibilità di liberali, popolari, cattolici, conservatori, esponenti della destra del Psi e europeisti ma che ha sempre costruito il suo programma elettorale su pochi principi cari al leader dall’altro.
In quest’ottica Berlusconi non è mai stato di destra organica. E ha perseguito con entusiasmo e tenacia la ricerca del consenso, anche a costo di un ridotto decisionismo politico, annacquando ogni riferimento ideologico. La visione di Berlusconi per la crescita del Paese lo conferma.
Un centrodestra organico ma mai consolidato
Riduzione delle imposte, sgravo burocratico, creazione di posti di lavoro, investimenti infrastrutturali. L’agenda di politica economica del Cavaliere si è sempre concentrata su una serie ristretta ma chiara di presupposti. Questi i “cavalli di battaglia” all’americana trasmessi per costruire la base del consenso attorno a Forza Italia. E messi a terra, in un contesto a dir poco paradossale, usando come leve della politica economica quelle imprese di Stato che hanno portato le rispettive aziende strategiche ad adattarsi ai meccanismi competitivi dell’era globalizzata. E sul cui processo di nomina Berlusconi ha consolidato un – raro – esempio di consolidamento nello Stato di una classe dirigente a lui vicina puntando sul ruolo di pesce pilota del fidatissimo Gianni Letta.
La coalizione di centrodestra italiana ha consolidato un nucleo stabile di un buon 40-45% di suffragi che si è travasato col passaggio del testimone di partito guida da Forza Italia alla Lega e infine a Fdi ma è sempre stata più un’alleanza elettoralistica che un sistema coerente sul piano politico e ideologico. Il ruolo decisivo di Berlusconi come dinamo inesauribile capace di dare forza alla coalizione agli inizi e di fare da “regista” negli anni del declino ha avuto come contrappasso un potere frenante non indifferente. La destra non è rimasta immune da personalismi e rivalità. Tanto che adesso la morte di Berlusconi lascia presupporre il mesto, e non meritato, declino della sua creatura, in cui già la diaspora si prepara.
Gli scenari nel dopo Berlusconi
Morto Berlusconi, Forza Italia vedrà tensioni tra l’ala filo-Lega e quella filo-Fdi. Ma il centrodestra, privo dello slancio vitale del Cavaliere, non sarà più lo stesso. Innanzitutto, sarà sempre meno “centro” senza capire come essere destra. Non tanto per già consolidate posizioni politiche, quanto piuttosto per la perdita del suo tradizionale baricentro. A cui, ad oggi, né Giorgia Meloni né Matteo Salvini si sono dimostrati capaci di sostituirsi in termine di visione, capacità di immaginazione politica, legami internazionali.
In secondo luogo, il centrodestra senza Berlusconi potrebbe vedere scollarsi il collante tradizionale dell’establishment vicino al Cav. Viatico necessario per leader come Meloni per entrare nello Stato da protagonisti. Tanto che ad oggi le recenti nomine pubbliche hanno dimostrato che gli unici “boiardi” vicini al centrodestra sono ancora, in larga parte, quelli emersi nell’era Berlusconi o nella recente coda draghiana.
La prospettiva, in futuro, sarà quella di vedere un centrodestra senza voci moderate, capace di alternarsi tra fasi di lotta e fasi di governo senza essere contemporaneamente di lotta e di governo come era Berlusconi. In difficoltà nel mediare, in Europa e in Italia, tra popolarismo e populismo. Atlantista a corrente alternata, ma con una rotta poco chiara dell’interesse italiano. Un “destra-centro” senza perni è per sua struttura instabile. Saprà Meloni evitare tutto questo? La morte del Cav è una sfida anche per il premier.