Perché leggere questo articolo? Il calcio influenza la politica nel discorso di Silvio Berlusconi. Vediamo come l’immagine vincente del Cavaliere parta dal Milan.
Il Silvio Berlusconi uomo di calcio è stato un continuatore del Cavaliere costruttore ed editore ed un anticipatore del futuro leader di Forza Italia e Presidente del Consiglio. La prima “discesa in campo” del costruttore milanese fu quella in elicottero, nel 1986, sul terreno del Milan poco dopo l’acquisto del club rossonero. Le vittorie del club rossonero in Italia ed Europa contribuirono a rendere Berlusconi una figura nota a livello internazionale, in misura paragonabile se non superiore a quella della proiezione internazionale dei suoi affari.
“Forza Italia!”, dal calcio alla politica
“In un paese che ha sempre fatto del calcio l’autobiografia della nazione la propensione di Berlusconi a mescolare pallone e politica ha trovato terreno fertile nell’immaginario nazionale, trasformando le fazioni politiche in tifoserie”, ha scritto Pippo Russo su Domani sottolineando un dato fondamentale che è bene riprendere. Sbagliato equiparare nell’attività calcistica di Berlusconi un tentativo di mera accumulazione del consenso o del “capitale originario” per lo sbarco in politica. Corretto, invece, ricordare la mescolanza che Russo sottolinea.
L’idea del Berlusconi “vincente” si costruisce tra Atene e Vienna, tra le due finali vinte contro Steaua Bucarest e Benfica che nel 1989 e nel 1990 restituirono al Milan la Coppa dei Campioni. Si consolida con il “bel giuoco” di Arrigo Sacchi e Fabio Capello, tra gli “Immortali” del primo e gli “Invincibili” del secondo. Arriva dunque alla politica mediato dal più classico dei cori da stadio nazionali, quel “Forza Italia!” che da grido per gli Azzurri divenne nome di un partito. Partito, ça va sans dire, condannato dal nome a dover essere sempre vincente. Berlusconi, parafrasando Winston Churchill, ha affrontato le battaglie politiche come se fossero state partite di calcio. Non a caso alla grande ambizione degli anni d’oro subentrò, dal 2018 in avanti, il ritorno al primo grande amore con l’acquisto del Monza, squadra del capoluogo della sua città adottiva di Arcore.
Berlusconi, il calcio e la politica
La Forza Italia delle origini era egemonica, come il Milan berlusconiano. La Forza Italia degli ultimi anni una forza d’equilibrio, moderata e residuale ma non insignificante, che giocava contro alleati e rivali visti come più forti dietro la guida, ritenuta dai suoi membri illuminata, del Cavaliere. Una “provinciale” d’assalto, come avrebbe dovuto essere il Monza giunto al primo acuto della Serie A dopo 110 anni di storia la scorsa stagione e premiato da una brillante salvezza.
Analizzando la parabola di Berlusconi, costruitosi come vincente anche grazie ai suoi trionfi sportivi, viene da pensare se sia stato più l’uomo di calcio a condizionare il politico che il politico e premier a usare a fini elettorali i consensi calcistici. “Il calcio è il calcio, la politica è la politica. Sono due cose imparagonabili e inconfrontabili. Il calcio è una cosa seria”, disse Berlusconi scherzando poco dopo l’esordio in A del Monza, una sconfitta 2-1 contro il Torino dell’epigono Umberto Cairo, lo scorso agosto. Non a caso è il lessico calcistico ad aver conquistato il mondo politico post-Berlusconi negli scorsi anni, non viceversa.
La rivoluzione del linguaggio
Si sta formando un governo? Ecco il toto-ministri. Un parlamentare cambia partito? Si tratta di “cambi di casacca”. Una legge viene tenuta a lungo nelle Camere? I politici denunciano la “melina”. “Il governo ha tirato la prima palla e ha fatto il suo primo goal”, provò nel 2013 a celebrare l’esordio del governo Letta l’allora segretario del Pdl e erede mancato di Berlusconi, Angelino Alfano. Sei anni dopo il Cavaliere discusse i ruoli nel centrodestra usando una metafora sportiva: “Se fossimo una squadra di calcio Matteo Salvini sarebbe un evidente centravanti di sfondamento, Giorgia Meloni uno di quei terzini che copre la fascia destra ed è capace da quella parte di andare in goal ed io naturalmente il regista a centrocampo”.
Il lessico tratto dal calcio semplifica il tanto vituperato “politichese”. Mostra la differenza, rivendicata spesso da Berlusconi, tra gli uomini “del fare” e quelli del “parlare”. Accende il discorso per un pubblico più ampio. Si presta alla perfezione all’epoca del bipolarismo e del maggioritario, in cui “vittoria” e “sconfitta” sono discorsi nettamente identificabili con l’esito di ogni voto politico. Mira a semplificare ogni discussione.
In questo Berlusconi è stato un innovatore più di quanto possa esserlo stato l’ibrido del presidente che usa la squadra per far politica. Un dato che in Berlusconi è meno marcato rispetto – per fare un esempio odierno – a uno Stefano Bandecchi qualsiasi che cavalca la presidenza della Ternana per conquistare elettoralmente il comune di Terni.
Calciomercato e elezioni, il nesso che non c’è
Il “pubblico del Milan” non è stato un bacino consolidato di suffragi semplicemente perché Berlusconi non scindeva il suo successo personale da quello dei suoi club e del suo partito. Per pura evidenza, il suo Milan doveva essere berlusconiano in quanto vincente. Non viceversa. Il presenzialismo di Berlusconi nel calcio, infatti, è stato più a livello di sport giocato che di presenza effettiva nei meccanismi di governance, delegati al fidatissimo Adriano Galliani. E anche sul celebre nesso, spesso sbandierato, tra i colpi di mercato e le elezioni, non dimentichiamo che molte altre squadre fecero acquisti ben più sontuosi di quelli del Milan berlusconiano in ogni fase cruciale.
Il colpo più costoso del Milan berlusconiano fu quello di Rui Costa nel 2001, completato a elezioni già vinte dalla Fiorentina assieme a Filippo Inzaghi. Shevchenko, Kaka e gli altri grandi protagonisti delle cavalcate milaniste arrivarono in anni non elettorali. Ronaldinho fu pre-annunciato nel 2008 poco prima del voto della primavera dello stesso anno. E solo Mario Balotelli, comprato a gennaio 2013, fu un colpo avvenuto a meno di un mese da un appuntamento elettorale nazionale.
Il berlusconismo conquista gli ex Milan
Francesco Giorgino, Direttore del Master Luiss in Comunicazione e Marketing politico ed istituzionale, ha notato che in Berlusconi convivono elementi diversi “canalizzati con sapiente regia comunicativa dentro i perimetri e i parametri di una narrazione individuale che, attraversando i territori dell’imprenditoria, della televisione, del costume, dello sport e soprattutto della politica, ha trasformato le imprese di un singolo soggetto in una vera e propria ideologia”. Il calcio è il “polmone” di questa narrazione. Tanto da creare un berlusconismo politico ed un berlusconismo calcistico. Ben visibile, quest’ultimo, nella continuità tra la sua esperienza politica e quella di molti suoi ex campioni.
Il Milan di Berlusconi è stato anche una fucina di futuri esponenti istituzionali: Andriy Shevchenko deputato in Ucraina, Kakhaber Kaladze sindaco della capitale georgiana Tibilisi e, soprattutto, George Weah presidente della sua Liberia sono stati i più celebri a “scendere in campo”. Seguendo, dal campo e non dalla dirigenza, le orme del presidente più vincente della storia del Milan. Perché la politica è una continuazione del calcio con altri mezzi. E il calcio è una cosa molto, molto seria.