Perché leggere questo articolo? La dimissioni di Bonaccini da governatore dell’Emilia-Romagna fanno perdere al centrosinistra il quorum di cinque Regioni per indire il referendum contro l’Autonomia.
Bonaccini ha un rapporto complicato con l’Autonomia. La riforma che il governo Meloni ha recentemente trasformato in legge, in attesa di attuazione, ha mostrato due nervi scoperti del Governatore dell’Emilia-Romagna. Il primo è che anni negli anni Bonaccini si è dichiarato favorevole all’Autonomia. Ha chiesto l’attuazione con legge ordinaria della riforma del Titolo V della costituzione – riforma voluta per altro nel 2001 da un governo di centrosinistra – invocandola con una lettere del 2018 al premier Conte e nel 2022 al suo successore Draghi. Ora che a Palazzo Chigi c’è Meloni, Bonaccini si è trasformato in oppositore dell’Autonomia. Suo malgrado, però, rischia di far naufragare il progetto del centrosinistra per ostacolare l’attuazione del progetto della maggiorana.
Bonaccini va a Bruxelles e mette a rischio il piano anti-Autonomia
L’elezione di Bonaccini al Parlamento europeo potrebbe avere un risvolto inatteso sulla politica italiana. Il governatore, come previsto, ha annunciato le proprie dimissioni dalla carica di Governatore dell’Emilia-Romagna, incompatibile con quella di europarlamentare. Diventeranno effettive dall’11 di luglio, quando alla Regione subentrerà l’amministrazione provvisoria dell’attuale vicepresidente Irene Priolo. La partenza di Bonaccini potrebbe essere un ostacolo insormontabile al referendum abrogativo contro l’Autonomia differenziata.
Con le dimissioni di Bonaccini verrebbe meno la via più semplice tra le due che il centrosinistra ha a disposizione per contrastare il progetto di Meloni sull’Autonomia. In Italia infatti esistono due modi per abrogare una legge ordinaria tramite referendum. Il primo passa dalle Regioni. Come indica l’articolo 75 della Costituzione, la domanda alla Consulta per indire un referendum abrogativo può partire da cinque Consigli Regionali. Questa era la strada più percorribile, gli strateghi del centrosinistra però non hanno tenuto conto di un inghippo.
Senza Bonaccini mancano le Regioni per il referendum
Al momento l’opposizione avrebbe il controllo di cinque Regioni. Sardegna, Toscana, Puglia, Campania e fino all’11 luglio l’Emilia-Romagna. Questo perchè nel momento in cui le dimissioni di Bonaccini diventeranno effettive la legislatura regionale sarà considerata finita. La vicepresidente Irene Priolo sarà facente funzione fino all’elezione del nuovo presidente e il consiglio resterà in carica solo per l’ordinaria amministrazione. Fino all’insediamento della nuova legislatura – che avverrà dopo le elezioni previste per l’autunno del 2025 – il consiglio regionale non potrà quindi promuovere o adottare atti formali, come la richiesta di un referendum abrogativo per la legge sull’autonomia differenziata.
Fino a fine anno rimarrà quindi in sospeso la via referendaria dei consigli regionali. I gruppi di maggioranza del consiglio regionale stanno lavorando a una risoluzione, che sarà presentata sempre la prossima settimana, che schiera la Regione Emilia-Romagna contro l’autonomia differenziata e sostiene ogni iniziativa per contrastarla. Se venisse approvato si tratterebbe comunque di un atto dal valore politico, ma non formale, come la Costituzione prevede, per la richiesta di un referendum.
Al centrosinistra resta solo una strada, molto più complicata
Le dimissioni di Bonaccini rischiano dunque di complicare il percorso referendario. Al centrosinistra resterebbe un’altra opzione, ben più complessa. Quella della raccolta di mezzo milione di firme. Un’operazione non semplice ma che, come stabilito da una sentenza della Corte Costituzionale, è resa più semplice dalla possibilità della raccolta online tramite identità digitale. Un esempio di campagne di questo tipo in tempi recenti sono stati i due referendum sulla legalizzazione della cannabis e dell’eutanasia, che hanno ottenuto ben più delle firme necessarie ma che sono stati bocciati dalla Consulta.