Perché leggere questo articolo? Meloni da prima critica del Mes a sua ratificatrice? Ecco perché per evitare il ritorno del rigore in Europa non sembra esserci altra strada.
Giorgia Meloni ratificherà la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes). Non c’è altra strada: serverà mettere nero su bianco il via libera di Roma alla riforma del Fondo salva-stati per avere un assenso europeo, e tedesco in particolare, alla riforma del Patto di Stabilità. Vera e ben più stringente partita politica da affrontare per evitare un disastroso ritorno dell’austerità nel 2024.
Meloni contro Meloni
La Giorgia Meloni premier del 2023 smentirà nuovamente la Giorgia Meloni dell’era dell’opposizione? Nel 2020 si parlava attivamente di due partite attive sul Mes dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. Una era legata al cosiddetto “Mes sanitario”, una linea di credito non attivata da nessun Paese per finanziare spese per il potenziamento del sistema di cura e prevenzione. La seconda era la riforma del trattato istitutivo del meccanismo “esecutore” dei piani di austerità di Grecia, Spagna e Irlanda ai tempi della crisi dei debiti sovrani. Ritenuta da Meloni ai tempi un viatico per un commissariamento economico dell’Italia da parte di un ente sovranazionale europeo.
Con la riforma, è bene ricordarlo, il Mes si ampliava dalla funzione di garante della tutela dei debiti sovrani in crisi a una di “rete di sicurezza” di sostegno al Fondo unico di risoluzione. Quest’ultimo sarebbe armato con un fondo da 68 miliardi di euro, pari all’1% dei depositi comunitari, immediatamente disponibile per finanziare eventuali processi di ristrutturazione degli istituti in crisi. Meloni nel 2020 aveva accusato Giuseppe Conte, allora premier, di cedimenti a Bruxelles per la riforma della normativa firmata nel 2011 dal governo Berlusconi IV, di cui era Ministro della Gioventù. Ma la riforma, firmata nel 2021, attende solo la ratifica italiana per entrare in vigore.
Do ut Mes?
A Bruxelles si sta pensando di ragionare in termini di do ut des. Sì alle richieste italiane, sostenute dalla Spagna di Pedro Sanchez e dal blocco mediterraneo, di un Patto di Stabilità più lasco e meno rigorista se in cambio Roma approverà una riforma pendente da quasi tre anni. Il governo Draghi ha calciato la palla in avanti, quello Meloni si è trovato la questione apertissima di fronte.
Chi è tra due fuochi è il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti. Il titolare leghista di Via XX Settembre ha da tempo gettato acqua sul fuoco sulle intemperanze di Meloni e del segretario Matteo Salvini, risalenti all’epoca della protesta anti-Mes sulle barricate parlamentari. In cui richiami all’austerità e confusione tra Mes sanitario e riforma contribuivano a intorbidire le acque. Ma al contempo Giorgetti subisce la pressione dai colleghi ministri dell’Eurogruppo, che chiedono certezza e impegni precisi.
Il sentiero stretto di Giorgetti sul Mes
Giorgetti ha già fatto capire di essere personalmente favorevole alla ratifica. Confermando un impegno già preso, a parole, ai tempi del governo Draghi. A giugno l’avvocato Stefano Varone, capo di gabinetto di Via XX Settembre, ha messo nero su bianco la posizione del Mef. Una posizione formalmente tecnica, e non politica, ma che svela il pensiero di Giorgetti, che tale lettura non l’ha mai sconfessata: il Mes, per il Tesoro, non creerebbe disastri all’economia. Il contrario di quanto detto da Meloni e Salvini nel 2020.
In una lettera consegnata alla Commissione Esteri della Camera, infatti, Varone ha scritto a proposito della riforma del Mes che non avrebbe comportato il commissariamento del Paese. Per Varone “non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio legato a suddetta istituzione. Inoltre non si ha notizia che un peggioramento del rischio del Mes sia stato evidenziato da altri soggetti quali le agenzie di rating che hanno invero confermato la più alta valutazione attribuitagli anche dopo la firma degli accordi sulla riforma. Rispetto alle prospettive degli altri Stati membri azionisti del Mes l’attivazione del supporto rappresenterebbe, direttamente, una fonte di remunerazione del capitale versato e, indirettamente, un probabile miglioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati“.
Verso la verifica in Parlamento
Quando la prossima settimana il Parlamento ragionerà della ratifica della riforma, tale lettera sarà un necessario punto di partenza. E Meloni dovrà tener conto del fatto che una ratifica del Mes potrebbe accelerare l’assenso europeo al piano di modifica del Patto di Stabilità in una “logica di pacchetto” capace di avvicinare anche l’unione bancaria su cui Roma punta. L’opzione prediletta dalla maggioranza potrebbe essere l’aggiunta di un protocollo al testo di ratifica contenente l’impegno informale del governo a non ricorrere mai ai prestiti Mes. Mentre il deputato del Partito Democratico Enzo Amendola, Ministro agli Affari Europei del governo Conte II, ha proposto in Commissione Esteri, ove è capogruppo dem, che un’eventuale futura attivazione possa essere fatta solo con una maggioranza parlamentare qualificata di due terzi per spingere Meloni e i suoi a accelerare la ratifica.
Del resto, quel che nel 2020 l’attuale premier non ricordava mai era che la possibilità per uno Stato di usufruire del Mes non è vincolante ma facoltativa. E che Conte, alla guida di un governo in cui il suo Movimento Cinque Stelle era nettamente anti-Mes, stava arrivando a un compromesso simile. Ovvero ratificare il Mes impegnandosi a non utilizzare i suoi fondi. Un processo che, paradossalmente, fu frenato dall’ascesa di Draghi, “garante” per antonomasia dell’Italia in Europa. E che ora si riversa sul governo, chiamato a scelte difficili. Ma un accordo a Bruxelles sul Patto, ci si sta accorgendo, val bene un Mes. E ormai la ratifica è solo questione di ufficialità: non sembra esserci alternativa per sbloccare la situazione sull’austerità e il rigore, vero incubo dell’Italia.