L’idea di Giancarlo Giorgetti commissario europeo per l’Italia dopo le elezioni per il Parlamento di Strasburgo stuzzica da tempo le attenzioni di Giorgia Meloni e della Lega di Matteo Salvini.
Le ambizioni europee del titolare del Mef
L’uomo più europeista del Carroccio, il titolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha negoziato due manovre con Bruxelles e giocato (con difficoltà) la partita della riforma del Patto di Stabilità è indicato come un possibile garante comunitario del governo di centrodestra. Giorgetti, ricordano i ben informati, sotto sotto ci spera. Con un governo litigioso e in affanno su molti fronti da un lato e una manovra sull’ottovolante in arrivo per fine 2024 con la cinghia da tirare e il rischio che su Via XX Settembre si scateni una battaglia politica, l’idea europea è da lui pervicacemente perseguita.
La strada per il politico varesino è però decisamente in salita. Perché per ogni punto a favore della sua candidatura c’è, al contempo, un sostanziale freno. Giorgetti vanta rapporti consolidati dentro alle istituzioni europee e ai big dell’euro-potere. Nota la sua sintonia con Mario Draghi, nel governo di unità nazionale guidava lo Sviluppo Economico ed ha avuto un ottimo rapporto di lavoro col commissario all’Industria Thierry Breton. Inoltre, Giorgetti è vicinissimo al mondo del Partito Popolare Europeo, in particolare all’Unione Cdu-Csu tedesca. Ma al contempo, il freno politico è dato dalla prospettiva che verso i membri del gruppo Identità e Democrazia di cui la Lega fa parte si crei un vero e proprio “cordone sanitario” in fase di negoziazione della futura Commissione.
La corsa di Giorgetti alla Commissione Ue
Mai un esponente formalmente riferibile al gruppo sovranista, da cui Giorgetti ha più volte preso le distanze, è entrato nell’esecutivo Ue. E la principale sfida per Giorgetti è data proprio dalla necessità di rompere tale sortilegio. Un altro tema caldo è capire che commissariato guiderà l’Italia. L’uscente Paolo Gentiloni ha la pesante poltrona agli Affari Economici, e da inizio secolo Roma ha avuto una volta la presidenza (Romano Prodi) della Commissione Europea e tre volte la vicepresidenza.
I vicepresidenti Franco Frattini, Antonio Tajani e Federica Mogherini hanno detenuto portafogli notevoli: Giustizia, Industria e Affari Esteri. Proprio il commissariato all’Industria parrebbe funzionale alla nomina di Giorgetti, ma su questo fronte andrebbero messe in conto le ambizioni di Breton di un secondo mandato. O, in alternativa, gli obiettivi del Partito Socialista Europeo di occupare questa casella.
La posizione della Lega
Del resto, la posizione del Carroccio in Europa è chiara: la Lega non parteciperà a coalizioni di “campo largo” europeista e sdegna, ricambiata, l’idea di una replica della maggioranza che sostiene Ursula von der Leyen. “Vediamo che tipo di commissione si andrà a creare”, ha detto a True-News il numero due di Salvini, Andrea Crippa. La Lega in Europa non è disposta a scendere a patti e compromessi con la sinistra e con i socialisti, sulla persona di Giorgetti per noi sarebbe un onore avere una persona in Europa molto importante per la Lega ma devono sussistere le condizioni politiche perché questa cosa possa verificarsi”. Le parole di Crippa mostrano un secondo vincolo non indifferente: la difformità tra l’idea di Europa che ha in mente il Carroccio e quella desiderata, con ogni probabilità, dal suo alfiere al Mef.
Il nodo Mef: onere, onore e vincolo per Giorgetti
Last but not least, c’è il nodo dell’attuale incarico di Giorgetti. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è più di un semplice dicastero. Amministra uno “Stato nello Stato”. Dal Mef si controlla la “borsa” del governo; si gestiscono dossier legati a nomine e partecipate; vengono controllate le amministrazioni centrali della previdenza e dell’analisi economica; si guida una burocrazia strategica profondamente innervata nello “Stato profondo” e con diramazioni che arrivano fino al Quirinale. Principalmente attraverso la Ragioneria Generale dello Stato e la Direzione Generale del Tesoro. Governare il Mef è come guidare uno Stato. Cambiare titolare del Mef impone un onere politico sia per chi lascia la carica sia per l’esecutivo che si trova a dover rimescolare le carte.
A Roma c’è un detto comune, quello secondo cui “il Mef non si lascia”. Cambiare titolare all’Economia e alle Finanze significherebbe, per Meloni come per chiunque altro, riaccendere appetiti e ambizioni. Ovvero condizionare dinamiche strategiche e prospettive nell’esecutivo, aprendo a una fase di transizione che vedrebbe il Tesoro svoltare in una fase critica per la scrittura della Manovra qualora Giorgetti andasse in Europa. Se Giorgetti fosse nominato commissario europeo e passasse il vaglio del Parlamento europeo, in sostanza, il Mef si troverebbe in un interregno critico. Qualora fosse nominato e non passasse tale esame, si potrebbe presentare dimezzato politicamente al negoziato con la stessa Commissione Ue quando la prossima manovra sarà messa al vaglio dell’Europa. Bruxelles val bene un Mef? Presto per dirlo. Ma per il politico varesino della Lega il Mef è al tempo stesso un onore, un onere e un vincolo non indifferente. Essendo questa carica difficilmente barattabile per altre a corsa di un governo già avviata.