Perché leggere questo articolo? Non è semplice sportwashing. Il calcio è uno dei puntelli della strategia di soft power di Arabia Saudita e Qatar. Le monarchie del Golfo stanno cambiando il proprio volto, anche attraverso il pallone secondo Roberto Arditti, Direttore Editoriale Formiche e Presidente Kratesis.
Lunedì 4 settembre al Forum di Milano è stato siglato il Forum italo-saudita di Milano. E’ stato firmato un memorandum d’intesa che coinvolge 1300 imprese in più di 20 accordi. Si stringono ancora di più le maglie della collaborazione tra Italia e Arabia Saudita. Ma la discesa in campo delle monarchie petrolifere del Golfo è iniziata tempo fa, in ben altri campi. True-news.it ha intervistato Roberto Arditti, Direttore Editoriale Formiche e Presidente Kratesis. L’autore de “La guerra in casa” è un esperto di soft power, in grado di ripercorrere le tappe del progressivo sdoganamento di Arabia Saudita e Qatar.
Petrolio e calcio, dollari e tecnologia: sportwashing o soft power? Dottor Arditti, si fa un gran parlare di petroldollari, ma qual è il vero volto dei paesi del Golfo?
Tutto torna, in una strategia raffinata e ambiziosa che è stata riassunta in un documento, il Vision 2030. E’ il piano strategico per il decennio della casa reale saudita. E’ il documento programmatico del principe Mbs e che sta trovando pieno compimento, nonostante “l’incidente di percorso” della morte di Jamal Khashoggi nel 2018. Il soft power saudita è il simbolo di una classe dirigente che, pur mantenendo il rigoroso controllo politico e morale della casa reale, vuole cambiare il paese.
Che paese sta diventando l’Arabia Saudita?
Non è più il paese di 15-20 anni fa. I sauditi stanno mostrando al mondo che non sono più semplicemente esportatori di petrolio, che con le rendite acquistano bene e ricchezze straniere. Al tempo stesso, l’Arabia sta provando a riscrivere la propria impostazione, trasformandosi in un paese islamico del XXI secolo. A Riad si stanno sforzando – gradualmente – di uscire dal passato. Si iniziano a vedere donne al volante, anticamera di un maggior – e sempre centellinato – coinvolgimento di figure femminili nella politica e nella società. Gli sceicchi hanno lanciato il loro messaggio al mondo: non siamo più il pozzo del mondo, e nemmeno i custodi di un islam retrogrado. In questa idea di islam che sta nella modernità rientra perfettamente il soft power saudita che stiamo osservando sempre più.
Eppure fino a poco tempo fa, in anni di abbassamento del prezzo del petrolio, c’era chi prevedeva il collasso delle economie del Golfo. C’è stato un momento in cui l’Occidente sarebbe stato in grado di frenare l’espansione del mondo saudita e qatariano?
Più no che sì. Mentre in Nord America – e di conseguenza alcune delle maggiori economie occidentali – riducevano la dipendenza dai combustibili fossili, contemporaneamente si moltiplicava il fabbisogno di India e Cina. I paesi esportatori di petrolio sono anche aumentati in termini numerici e d’importanza – si pensi a Nigeria e Venezuela. I detentori delle fonti fossili per produrre energia non hanno mai conosciuto un vero calo della domanda. Hanno diversificato i loro clienti e stanno tenendo sotto controllo la produzione per tenere alto il prezzo. Il punto originale della strategia saudita è che non stanno facendo come fece Gheddafi in Libia negli anni Settanta. Anziché investire in Occidente – il Rais lo fece con la Fiat, ad esempio – gli sceicchi stanno investendo direttamente in Arabia Saudita. Il fine ultimo di Saudi Vision 2030 è rivoluzionare l’Arabia Saudita.
In che modo?
Ci sono tre iniziative di soft power interessanti. La prima è che hanno capito la lezione del Qatar sul fronte calcistico. L’Emirato ha fatto bingo, acquistando il Paris Saint Germain e aggiudicandosi i mondiali del 2022 – che avvenne nella seduta più incredibile della storia della Fifa nel 2010, come racconto nel libro. Il calcio è uno straordinario strumento di soft power che ora in Arabia vogliono valorizzare al massimo: rendendo anche quello saudita un campionato competitivo. Uno salto logico che diversifica la strategia saudita. Non gli interessa più dimostrare di contare nel nostro calcio, ma portare il grande calcio in casa propria.
Quali sono le altre iniziative di soft power saudita?
Il secondo punto è l’acquisizione dell’Expo 2030, che vede l’Arabia Saudita in netto vantaggio sulla coreana Busan e su Roma. Si tratta di un evento fondamentale per le relazioni diplomatiche. Ricordo che all’Expo del 2015 giunsero in sei mesi in Italia sessanta tra capi di stato e primi ministri. In sei mesi sono numeri di ospiti che non raggiunge nemmeno la Casa Bianca. E’ un evento istituzione che farà sì che tutti i potenti si recheranno in vista dallo sceicco. Uno straordinario strumento di soft power.
Quanto sta guardando al futuro l’Arabia?
Qui veniamo alla terza iniziativa di soft power di Riad: The Line, la città del XXI secolo. Stanno progettando e realizzando il modo di vivere il modo di vivere degli esseri umani del futuro.
Questa proiezione nel futuro si esaurirà col 2030, o pensa che stiamo entrando nel secolo del Golfo?
Né l’una, né l’altra. Sicuramente le monarchie del Golfo godono di una forte stabilità: non c’è nulla che può mettere in discussione il potere. Poi ci sono tanto soldi a corroborare la spinta. A fare da contraltare c’è un problema strutturale di questi paesi: la demografia. Il futuro passa anche dai posti in cui vivono le persone. A metà secolo la Nigeria avrà 350 milioni di abitanti, l’Arabia meno di 40. La scarsa popolazione è un tema complesso da risolvere per un paese in gran parte desertico. L’apparato di sicurezza e stabilità saudita riesce a reggere senza andare in difficoltà per momento, ma se nel futuro arrivassero milioni di stranieri le cose potrebbero cambiare. Per questo il governo dello sceicco sta procedendo con molta cautela.
Di fronte all’espansione del soft power del Golfo, come possono tutelarsi le nostre società occidentali?
Anche qui il calcio è una bella cartina di tornasole. Con tutta la simpatia che non avevo per i promotori, devo ammettere che la Superlega rappresenta – sportivamente parlando – una risposta. Un campionato di calcio europeo, nell’area più ricca del mondo e che vanta più di 500 milioni di persone, ha tutte le credenziali per ambire ad essere l’unica competizione che conta nel panorama mondiale. E senza abdicare ai principi occidentali di libertà, democrazia e concorrenza. Per cooperare col mondo emergente del Golfo serve però realismo. Come non abbiamo fatto l’esame del sangue sulla democrazia cinese, prima di investire negli anni Novanta; o sulla democrazia in Urss quando la Fiat investì su Togliattigrad… Fermo restando che l’Arabia Saudita non è più il paese di vent’anni fa.