Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’elezione diretta del presidente del consiglio sta infiammando il dibattito politico. Per il centrodestra il premierato è garanzia di stabilità, dem e grillini annunciano barricate. Si dividono invece i centristi di Azione e Italia Viva, con Calenda in disaccordo con la riforma e Renzi invece possibilista: “Noi del resto – ha dichiarato su TrueNews Davide Faraone, fedelissimo di Renzi – siamo sempre stati d’accordo con l’elezione diretta del premier”
Il dibattito sul cosiddetto premierato, la riforma costituzionale cioè che dovrebbe portare all’elezione diretta del presidente del consiglio, ha accentuato la spaccatura tra Azione e Italia Viva. Anzi, forse ha dato modo di rendere ancora più evidente la separazione tra le due forze centriste un tempo alleate.
Carlo Calenda, leader di Azione, ha bocciato la riforma abbozzata dal ministro Casellati e considerata dal presidente del consiglio Giorgia Meloni come “la madre di tutte le riforme”. Matteo Renzi invece si è mostrato possibilista e ha aperto a una collaborazione con l’esecutivo ma a patto di modifiche al piano già presentato al consiglio dei ministri.
Il perno della discussione riguarda soprattutto l’elezione diretta del futuro capo dell’esecutivo. Azione sostiene di guardare piuttosto al modello tedesco, per Italia Viva invece rappresenterebbe un passo in avanti per il sistema italiano: “Non stiamo aprendo a destra – sostengono su TrueNews fonti di Italia Viva – nessuno può accusarci di collaborazionismo con Meloni, semplicemente non diciamo di no a prescindere alle riforme”. Ma come mai il nodo relativo all’elezione diretta del premier sta suscitando profonde discussioni anche tra le altre forze politiche?
Un sistema ibrido che desta perplessità
La questione di fondo è che il sistema ideato all’interno della riforma costituzionale al momento appare lontano dagli altri sistemi vigenti in Europa e non solo. La più classica delle divisioni tra le varie democrazie occidentali è quella tra repubbliche presidenziali e repubbliche parlamentari. Nel primo caso, il capo dello Stato è anche capo dell’esecutivo, come ad esempio negli Usa. Nel secondo invece, la figura del capo del governo non corrisponde a quella del capo dello Stato.
Ovviamente ci sono poi delle sfumature tra un sistema e un altro. In Francia ad esempio, il presidente della Repubblica è eletto dal popolo e ha un ruolo molto più che cerimoniale, ma condivide il potere con un primo ministro. È la forma quindi semi-presidenziale che tante volte è stata evocata in passato anche in Italia. Ci sono poi differenze tra una repubblica parlamentare e un’altra. In Germania il cancelliere può nominare i ministri, è il perno del potere politico federale ma non è capo dello Stato e la sua nomina deve essere approvata dal parlamento. Il quale può anche avvalersi della sfiducia costruttiva, ossia una sfiducia votata però solo a patto di dare vita a una nuova maggioranza parlamentare. Esattamente come avviene nella monarchia costituzionale spagnola.
In Italia i padri costituenti hanno previsto una repubblica parlamentare con scarni poteri dati all’esecutivo. Circostanza che ha causato, secondo diversi detrattori dell’attuale impianto istituzionale nostrano, una forte instabilità. La riforma della Meloni interverrebbe proprio su questo punto: il presidente del consiglio infatti, con la modifica costituzionale, verrebbe direttamente eletto a suffragio universale. Non solo, ma in caso di dimissioni o sfiducia, il presidente della Repubblica dovrebbe incaricare un esponente della sua coalizione. L’intento è quindi di garantire la stabilità, ma anche di evitare i ribaltoni e i governi tecnici.
L’impressione di essere davanti a una forma istituzionale ibrida e poco chiara, soprattutto perché non sperimentata altrove, emerge proprio dall’impostazione del ruolo del presidente del consiglio. Anche se eletto direttamente, non sarà capo dello Stato. L’Italia quindi continuerebbe a essere una repubblica parlamentare, ma con un parlamento con pochi poteri nella scelta e nella nomina della compagine di governo.
Perché si guarda (anche) al sistema tedesco
Per il centrodestra un sistema del genere sarebbe sinonimo della tanto ricercata governabilità. Pd e Movimento Cinque Stelle hanno invece annunciato barricate in parlamento: sia per i dem che per i grillini, la proposta di modifica presentata dalla Meloni snaturerebbe la costituzione e rischierebbe di creare pasticci istituzionali. Le posizioni della maggioranza e delle due principali opposizioni appaiono però scontate: i partiti a sostegno del governo fanno infatti quadrato attorno la riforma, Pd e pentastellati al contrario promettono battaglia.
Per questo, per capire l’aria che tira in parlamento, appare interessante focalizzare i riflettori sulle opinioni dei due ex alleati centristi. Calenda con Azione da un lato e, per l’appunto, Renzi con Italia Viva dall’altro. Il numero uno di Azione ha manifestato nei giorni scorsi tutte le sue perplessità sulla riforma, a partire dal modello ibrido semi parlamentare che uscirebbe fuori: “Invece di andarci a inventare dei modelli mai visti e mai sperimentati nel mondo – ha dichiarato Calenda sul Corriere della Sera – perché non possiamo optare per quello che, peraltro, dà anche il potere al cancelliere di scegliersi i ministri?”.
Il riferimento è al modello tedesco. Come detto in precedenza, si tratta di un sistema che garantisce un certo potere all’esecutivo e che, al tempo stesso, garantisce il contrappeso parlamentare con l’istituto della sfiducia costruttiva. Calenda ha pubblicamente elogiato il sistema in vigore a Berlino anche a proposito della stabilità politica: “Si tratta di un modello molto consolidato – si legge ancora nell’intervista – e che, dal ’90, ha prodotto quattro cancellieri invece dei nostri quattordici presidenti del Consiglio, e dieci governi invece dei nostri ventidue esecutivi”. In poche parole, secondo Calenda per garantire stabilità non occorre passare all’elezione diretta del capo dell’esecutivo ma attribuirgli semplicemente maggiori poteri.
Il premierato secondo Italia Viva
Il partito di Renzi ha invece aperto all’ipotesi premierato. L’ex premier lo ha ribadito nero su bianco anch’egli sul Corriere della Sera. Ma dalle parti di Italia Viva non si vuol sentir parlare di apertura a destra. Davide Faraone, uno dei fedelissimi della prima ora di Renzi, ha confermato a TrueNews la posizione sia del partito che sua personale già espressa nelle scorse ore su X: “Siamo stati i primi a proporre l’elezione diretta del premier – ha dichiarato Faraone – La destra voleva il presidenzialismo, la sinistra ancora non l’ho capito. Adesso la destra accetta che il Presidente della Repubblica resti arbitro ed è un passo avanti. Tuttavia molte cose non ci convincono della proposta fatta dalla Meloni e ci batteremo in Parlamento per migliorare il testo”.
Tra gli elementi giudicati al momento poco convincenti, ci sono quelli collegati alla legge elettorale, così come i mancati riferimenti al superamento del bicameralismo perfetto. Un argomento quest’ultimo centrale nella riforma presentata nel 2016 dal governo Renzi e poi bocciata dagli elettori.
“Dare un nuovo assetto istituzionale al Paese è decisivo – ha poi concluso Davide Faraone – lo abbiamo sempre detto, non ci lasceremo condizionare da chi, in passato, ha sempre detto di no a prescindere, a destra come a sinistra”.