Perché leggere questo articolo? Su Stellantis e Ucraina Carlo Calenda parla chiaro. E questo gli va riconosciuto: è in controtendenza con la nostra politica.
Carlo Calenda entra a gamba tesa contro John Elkann, Repubblica e il presunto “conflitto d’interessi” per coprire la ritirata dall’Italia di Stellantis e traccia una linea rossa morale sul sostegno all’Ucraina. Una settimana da vero leader, quella dell’ex ministro dello Sviluppo Economico e segretario di Azione, che sul braccio di ferro con la Real Casa Agnelli-Elkann e la reiterazione del sostegno a Kiev contro l’aggressione russa si è messo personalmente in gioco.
Calenda, una settimana da leader
Nella settimana in cui è caduto l’anniversario della morte del modello politico di Carlo Calenda, Winston Churchill, l’esponente della formazione liberale italiana ha fatto quel che raramente i nostri esponenti politici fanno sui temi caldi: ha parlato chiaro. Ha collegato pensieri e azioni politiche. E, di conseguenza, ha suscitato dibattito e, dunque, contribuito alla vivacità della democrazia. Qualcosa di non scontato. Su queste colonne, in passato, non siamo stati certamente indulgenti verso il leader di Azione: abbiamo criticato il suo eccessivo mito della “competenza” e ne abbiamo sottolineato l’eccessiva tendenza a scagliarsi contro gli elettori quando i voti remano contro le sue formazioni. Ma così come su True-News non lesiniamo, in maniera bipartisan, critiche e rimbotti vale anche il principio give the credit when it’s due.
Il braccio di ferro con Elkann
Stellantis e Ucraina sono due esempi di questo tipo. Sul primo fronte, Calenda lo ha detto a viso aperto: “Stellantis non è più italiana e chiede soldi per restare”. E, sì: è proprio così. In passato Calenda ha criticato l’asse venutosi a creare tra i quotidiani del Gruppo Gedi e la Cgil di Maurizio Landini per consolidare un “patto del silenzio” sulla deindustrializzazione di Magneti Marelli, venduta dal gruppo Exor nel 2019.
Calenda attacca il fatto che il governo Meloni vada a Canossa da un gruppo non più italiano credendo alle sue promesse di portare a un milione di vetture l’anno la produzione nel Paese. Ma soprattutto si spinge contro l’uso politico-mediatico di Gedi per “coprire la ritirata” degli Agnelli-Elkann dall’Italia. Ammette che il re è nudo. Undici anni fa Vittorio Feltri su Il Giornale parlando dell’Avvocato Giovanni Agnelli lo definitva un uomo “passato alla storia come re d’Italia non tanto per ciò che ha dato al Paese, quanto per ciò che ha avuto”. Essenzialmente, Calenda chiede che tale definizione non sia oggi applicata al nipote, John Elkann. E che la “vedovanza” della Fiat, che parlando con True-News è stata esplorata anche da un torinese Doc come Bruno Babando, sia accettata dal sistema-Italia.
Il 24 gennaio, invece, Calenda ha parlato al Senato in risposta all’ordine del giorno del leghista Massimiliano Romeo in cui si apriva alla ricerca di scenari di disimpegno italiano sull’Ucraina. Calenda ha contestato la presunta sovrapposizione tra una volontà italiana di avere la pace tra gli ucraini e i russi e quella di chiedere la continuità della solidarietà con Kiev. Tutto questo in nome di una giustificazione portata a viso aperto: la “stanchezza da guerra” degli italiani.
Calenda e la stanchezza da guerra
“Di che cosa sono stanchi gli italiani che pagano un euro al mese perché gli ucraini combattano questa guerra? Siamo stanchi di un euro al mese?”, si è chiesto, intervenendo, Calenda. “E quanto vale il fatto che gli ucraini stiano difendendo la pace?”, ha aggiunto. “Di cosa siamo stanchi? Non si capisce bene. Gli ucraini sono stanchi, di due anni di guerra, ma non solo per quello: sotto i russi ci sono stati e non hanno avuto solo i 4 milioni di morti dell’Holodomor, ma tutta una serie di storie individuali”.
Calenda, in quest’ottica, ha avuto la consapevolezza di ricordare due temi fondamentali. Innanzitutto il predominio della politica estera su quella interna, troppo spesso negata da molti attori sul fronte italiano. In secondo luogo, il portato delle lezioni della storia e della geopolitica per la sicurezza nazionale odierna.
Calenda segue Kissinger e ragiona in termini di imperi ed equilibrio di potere. Ricorda che “la Russia da Pietro il Grande in poi è sempre stata impero, perché non si è mai costituita nazione” e ribadisce: “il contenimento della Russia è una delle grandi chiavi della politica estera europea da molto tempo a questa parte”.
Le lezioni della storia
Gli ucraini “hanno il senso della storia che noi non abbiamo, e la storia richiede scelte dure. La storia non si fa con la speranza che Putin diventi buono”, ma con le decisioni concrete. Carlo da Roma chiama alla difesa comune europea, alle decisioni cruciali per consolidare l’Europa di fronte alla crisi ai suoi confini. Se di “stanchezza” bisogna parlare, è il grande invito che fa ai colleghi parlamentari, sono le classi dirigenti prima che i popoli a doversene assumere la responsabilità.
In una guerra d’Ucraina che si va cristallizzando proprio per stanchezza accumulata, a mancare finora è stata la vera politica. E di politica dovrà, in futuro, vivere l’Europa per vivere in tempi duri e navigare le nebbie del domani. Un discorso, quello di Calenda, che ha avuto, al di là del giudizio del contenuto, l’indubbio merito di invitare a riflettere sul futuro dell’Italia e dell’Europa. E dunque a guardare oltre le contingenze. Di fronte a un’opinione pubblica che va polarizzandosi su Chiara Ferragni, Selvaggia Lucarelli e amenità varie, un’indubbia boccata d’ossigeno su ciò che, veramente, è cruciale. A cui dovrà seguire un’inevitabile riflessione politica e strategica. Da parte di Calenda e di tutti i suoi colleghi delle istituzioni.