Perché leggere questo articolo? Camaldoli per tre giorni torna capitale del mondo democristiano. Mattarella, Zuppi, Parolin: tutti a ricordare il codice alla base della Costituzione. In una fase di acuta polarizzazione politica simbolo di unitarietà.
Il 21 luglio a Camaldoli la presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella coronerà quello che, oltre trent’anni dopo la fine del partito della Balena Bianca, sarà “l’ultimo giorno della Democrazia Cristiana”. Si aprirà nel monastero toscano una tre giorni dedicata all’ottantesimo anniversario del Codice di Camaldoli, il documento dei giovani studiosi cattolici che alla vigilia della caduta del regime fascista si trovarono a immaginare il domani in piena seconda guerra mondiale.
Chi c’era a Camaldoli nel 1943
Mattarella prima e i dioscuri vaticani, il presidente della Cei Matteo Maria Zuppi e il segretario di Stato Pietro Parolin, porteranno in scena con i loro interventi nel convegno il rilancio dell’importanza della lezione dei giorni di Camaldoli. Ispirati dal futuro papa Paolo VI, Giovan Battista Montini, segretario di Stato vaticano, e coordinati dal vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi, un gruppo di intellettuali cattolici vicini alla Federazione degli universitari cattolici (Fuci), all’Azione Cattolica e alla Dottrina sociale della Chiesa lavorò dal 18 al 24 luglio alla preparazione dei principi che avrebbero dato spunto alla Costituzione.
C’erano gli economisti Sergio Paronetto, Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni, strateghi dello sviluppo e della ricostruzione. Erano presenti, come auditori e contributori, alcuni futuri cavalli di razza della Dc: Aldo Moro e Giulio Andreotti innanzitutto. A cui si aggiungevano Guido Gonnella, Paolo Emilio Taviani e l’intellettuale-politico di area cattolica più prolifico in quei tempi: Giorgio La Pira, futuro sindaco di Firenze.
Il codice, alla base della Costituzione
Il Codice di Camaldoli riassunse le basi di un’economia sociale di mercato alternativa sia al capitalismo anglosassone che al totalitarismo di stampo fascista o comunista; promosse una serie di visioni politiche che mettevano al centro i corpi intermedi formali (partiti, sindacati, etc.) e non, come la famiglia. Elaborò molto attentamente la questione della funzione sociale della proprietà e della dignità del lavoro. Mise dunque organicamente a terra tutti quei principi con cui la Dc si sarebbe, dopo la Resistenza, costituita come partito cattolico ma non clericale; conservatore sui valori ma non reazionario; anticomunista ma non escluso dalle riflessioni sul lavoro e lo sviluppo umano.
Il documento “Per la comunità cristiana. Principii dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli” pubblicato nel 1945 sulla rivista degli studenti universitari di Azione Cattolica riassunse i principi del Codice di Camaldoli. E anticipò ampiamente la Costituzione repubblicana. Onorarlo, per Mattarella, significa abbeverarsi alla fonte di una tradizione politica in cui è stato consolidato lo sviluppo del Paese e programmata la Ricostruzione. E dunque richiamare il ruolo del primato della politica come ordinatore sociale. Ma anche mandare un forte messaggio alla comunità politica nazionale.
Il senso della visita di Mattarella a Camaldoli
In un contesto di polarizzazione e divisionismo, il Quirinale, perno del sistema repubblicano, deve giocare non solo da arbitro ma anche da garante del patto repubblicano. Dunque delle regole del gioco in cui si sostanzia l’azione dell’agone politica. Oggi messe a repentaglio da un complesso di forze politiche, mediatiche e ideologiche che aprono alla guerra del “tutti contro tutti”. Una tendenza che dopo la tregua imposta dal governo Draghi e dall’emergenza è riesplosa con virulenza dopo il voto di settembre.
Dal welfare alla giustizia, dai diritti civili alla visione per il futuro (dall’ambiente all’ordinamento repubblicano) le attuali coalizioni politiche si sono fatte sempre più litigiose. Il richiamo di Mattarella, che a Camaldoli proporrà una riflessione sulla base dei principi di quella sinistra democristiana di cui ha fatto parte, è da tempo centrato sull’elemento unificante della politica nazionale. Dal valore della Resistenza alla Costituzione, il patriottismo del Quirinale richiama agli elementi comuni valorizzati per primi con forza da Carlo Azeglio Ciampi e ripresi da Mattarella.
Vaticano e Quirinale concordi: al Paese serve un perno
Vedere Zuppi e Parolin al fianco di Mattarella, inoltre, mostra la continuità tra la storia politica democristiana e post-democristiana a cui il Presidente della Repubblica si rifà. E inoltre segnala la volontà del Vaticano e dell’episcopato italiano di giocare, ancora una volta, un ruolo sociale, metapolitico prima che interventista in senso stretto, nel contesto italiano. Ove la polarizzazione e lo svuotamento del centro ha creato linee di fratture anche nell’episcopato partendo dal tema dei valori non negoziabili e arrivando fino a temi come l’accoglienza dei migranti e l’agenda di politica estera di Roma e dell’Oltretevere. Un’Italia stabile garantisce stabilità anche alla Chiesa, insomma.
Dunque l’episcopato e il Quirinale celebrano Camaldoli anche per ricordare i tempi andati in cui c’era maggior concordia istituzionale e politica. Un tempo che si sostanzia nella “nostalgia da Dc” che pervade un’ampia fetta di politica e narrazione mediatica italiana. E che molti fraintendono come segnale della mancanza di un centro che può colmare il vuoto dell’era democristiana. Ma più che di un centro, la mancanza è di un perno. Non lo sono state le coalizioni del bipolarismo, non lo è stato il Partito Democratico nella sua fase di “partito-Stato” dello scorso decennio, non lo è stato il sistema-Draghi nel suo anno e mezzo di durata. Questo è quanto manca al Paese. E nella lezione politica di Camaldoli si possono trarre, forse, le lezioni per poterlo ricostruire.