Si potrebbe usare il detto milanese “ofelè fa el tuo mestè” o, anche, volando più alto, il motto che campeggia sotto la testata dell’Osservatore Romano “unicuique suum”, il concetto non cambia: a ciascuno il suo (mestiere): l’ofelè, per i non milanesi, è il pasticcere.
Un consiglio che sembra non attecchire in Italia, soprattutto per la fitta schiera di opinionisti televisivi, che nel passaggio dalla pandemia alla guerra come argomento di conversazione nei talk show, sono “sopravvissuti” a virologi, immunologi e infettivologi. Mentre questi ultimi sono scomparsi dai radar, loro, gli opinionisti, sono rimasti saldamente legati alle poltrone degli studi televisivi e oggi discettano di strategie militari e sanzioni alla Russia con la stessa sicumera con la quale discutevano di vaccini e misure anti-Covid.
Il paese dei guru
Che abbia ragione il professor Raffaele Simone, linguista di fama internazionale, quando scrive in un post su Facebook che “Per motivi oscuri, l’Italia è il Paese europeo occidentale in cui più spesso sorgono e fioriscono guru”?
Seguiamo il suo ragionamento: “Per mesi ne abbiamo avuti a decine in tema di virus, pandemie, vaccini e simili. Ogni giorno in tv, si sono fatti autori di libri, libretti e dispense e qualcuno si è perfino lasciato indurre a girare film sulla propria vita. Opinioni molte, scienza poca; confusione di idee presso il popolo, totale, a non parlare della sfiducia nella scienza che ne è via via venuta. Poi sono arrivati (o forse meglio arrivate) a frotte con lo schwa e i suoi derivati, che stavano per creare una guerra civile: spettacoli teatrali, manifesti, contromanifesti, dichiarazioni, libri, interventi in tv, polemiche, improperi, invettive, messe al bando, fatwe e ogni altra sorta di tammurriata.
Gli storici che sanno tutta la storia del mondo
Ora arrivano a battaglioni le guru a esternare sull’Europa centro-orientale e i suoi guai: tema dannatamente difficile, perché il sapere è intrecciato con l’ideologia, e perché la lettura dei giornali non basta, ma occorre conoscenza di documenti e testi, russi, ucraini e di altra origine, sulle relazioni tra i due paesi, sulle figure coinvolte, sui complicatissimi precedenti storici”.
Ma chi sono quelli che “dichiarano, pro o contro, ma sempre col ditino alzato e con l’aria di dire: chi ti credi di essere?”. “Paolimieli, antonipoliti, gianniriotti, lucianicanfori, federichirampini e i soliti storici-che-sanno-tutta-la-storia-del mondo, dalle origini a oggi, in tutti gli emisferi, nessuna plaga esclusa, con l’aggiunta di filosofi misti e dell’ubiqua Donatella (Di Cesare, ndr), sempre accigliata e corrusca, ignara di ironia, con un’albagìa che lèvati”, spiega Simone.
Mieli, Rampini e Severgnini: tuttologi ubiqui
Difficile non concordare con lui se ci si focalizza sui nomi indicati. Paolo Mieli riesce ad essere su più canali a volte contemporaneamente (su Rai Storia con Passato e presente in veste di conduttore, ospite di Otto e mezzo dalla Gruber e, visto che ci sei, che fai? non rimani a fare da ospite anche a Floris in Dimartedì?).
Che il problema possa essere quello di un ego ipertrofico dei soggetti, lo lascia pensare il caso di Federico Rampini. Come spiegare altrimenti l’opera Capire la geopolitica in venti volumi in abbinamento con il Corriere della Sera, dove Rampini si è subito accasato dopo il pensionamento da Repubblica? Curatore della collana, sui primi cinque titoli, quattro sono a sua firma: proporzione che declina solo lievemente nel resto della serie: di ventidue libri, nove sono dell’inviato con le bretelle.
Intanto Beppe Severgnini, altro giornalista a cui l’ego non fa difetto, ospite quasi fisso dalla Gruber (a pensar male: sarà Urbano Cairo, sempre molto attento ai costi, che impone di utilizzare elementi della scuderia Rcs- La7 per risparmiare in una formula “all you can eat” del talk?) non perde occasione per ricordare i suoi trascorsi all’estero. A ogni eccezione alle sue parole da parte di altri ospiti, parte il refrain “io la Russia la conosco abbastanza bene per averci vissuto e lavorato per un periodo…”. Viene da pensare a Totò e ai suoi tre anni di militare a Cuneo che lo avevano forgiato come uomo di mondo. Dopotutto Severgnini è da poco diventato il biografo ufficiale del generale Figliuolo e non ci meraviglieremmo di vederlo con la penna d’alpino sulla cabeza blanca.
Canfora, il più divisivo
Il più divisivo di tutti è stato sicuramente il professor Luciano Canfora che nell’intervista rilasciata giorni fa al Riformista ha inanellato una serie di inesattezze da far tremare i polsi, a partire dall’affermazione che il presidente ucraino Zelensky è salito al potere con un colpo di Stato (è stato democraticamente eletto al secondo turno con il 70% dei voti). Che abbia o no “smaltito ideologicamente la fine del comunismo e il crollo dell’Unione Sovietica”, come qualcuno lo ha accusato, il vero problema è che Canfora, filologo classico e storico dell’antichità romana e greca, pur avendo diritto di dire la sua su tutto come cittadino, non dovrebbe essere elevato a guru quando parla di storia contemporanea.
Ma Canfora è pugliese, e forse la storia dell’ofelè non gli è ancora nota.