Michela Murgia, scrittrice e femminista d’assalto ma con poco sale in zucca, ha proposto di sostituire le desinenze con lo schwa. In pratica, invece di scrivere “cari amici”, in caso di uomini e donne, si dovrebbe scrivere “carə amicə”.
Una cretinata di dimensioni ipergalattiche per chiunque capisca qualcosa di linguistica, ma visto che non siamo qui per fare una lezione di lettere classiche, la cosa ci interessa il giusto. Il problema è che a forza di andare dietro a queste stupidate, ci si scordano i problemi seri. E la Murgia, invece di proporre “elementi consonantici attribuiti alla lingua indeuropea comune”, dovrebbe pensare ai veri problemi dell’uguaglianza di genere. I problemi dell’uguaglianza sono figli di una diseguale distribuzione del potere, e il potere in Italia è prima di tutto elettivo. Il sindaco, il governatore, il parlamentare eccetera, detengono una buona fetta del potere pubblico. Così funziona nelle democrazie. Quindi, la prima cosa che dovrebbe fare un movimento che vuole dare la voce alle donne è quella di avanzare candidature ovunque. E la prima cosa che dovrebbe fare una compagine (come quella del centrosinistra, ad esempio) che si professa progressista dovrebbe essere di candidare donne. Tutto chiaro? Direi lampante. E invece no.
Pochissime donne candidate alle elezioni
Alcuni giorni fa sono state presentate le liste e le candidature in tutta Italia. Per curiosità sono andato a guardarmi i dati, nelle principali città. A Roma ci sono 22 candidati sindaco. VENTIDUE. Se la giocano in quattro: tre uomini e una donna: Virginia Raggi, Carlo Calenda, Roberto Gualtieri ed Enrico Michetti. Totale donne candidate su 22? Sei.
A Milano, nell’illuminata Milano dei diritti e della parità, ci sono 13 candidati. Quante donne? Due. Chi se la gioca? Due maschi: Beppe Sala e Luca Bernardo. A Torino 13 candidati sindaco e due donne totali. Chi se la gioca sono due maschi. Stefano Lo Russo e Paolo Da Milano. Napoli, 7 candidati. Due donne. Chi se la gioca sono due maschi: Gaetano Manfredi e Catello Maresca. Salerno, 9 candidati e due donne. Se la giocano in due, Vincenzo Napoli e Michele Sarno. Indovinate? Maschi. Bologna, 8 candidati e due donne. Se la giocano in due: Matteo Lepore e Fabio Battistini. Due maschi. Rimini, 6 candidati. Se la giocano Jamil Sadegholvaad e Enzo Ceccarelli. Donna? Una. A Savona addirittura ci sono zero donne in lizza. Cinque candidati, se la giocano in due: Angelo Schirru e Marco Russo. Torniamo in Lombardia, a Varese. Sette candidati, zero donne, si sfidano Davide Galimberti e Matteo Bianchi. Grosseto, 8 candidati: se la giocano Antonfrancesco Vivarelli Colonna e Leonardo Culicchi. Donne zero.
Questo elenco è parziale ma neanche tanto. Sono le città più importanti in cui si va al voto tra meno di un mese. La cosa che salta all’occhio è che non solo le donne candidate rispetto al totale sono pochissime: su 98 candidati sindaci, stiamo parlando di 15 donne. Ma che nessuna, tranne forse Virginia Raggi, si gioca davvero la partita. I partiti del centrodestra e del centrosinistra hanno schierato solo maschi OVUNQUE. E questo l’hanno fatto con la complicità delle donne di ogni città, e con la complicità dei vertici nazionali, che non hanno profferito parola. Del resto, è sempre meglio fare una battaglia sullo schwa: è come il nero. Sta su tutto e sfina. E soprattutto consente, il giorno dopo le elezioni, di continuare a menarla con il potere maschile.