di Francesco Floris
Meglio soli che male accompagnati, vuole la saggezza popolare. Chissà cosa ne pensa Carlo Calenda. C’è anche lui tra gli “orfani” delle dimissioni a mezzo Facebook di Nicola Zingaretti da segretario del Pd? Può darsi. Perché all’ex ministro dello Sviluppo economico faceva gioco porsi in contrapposizione ai progetti di alleanza Pd-Cinque Stelle del governatore del Lazio. A cominciare dalla partita principe. Anzi, Capitale: il sindaco di Roma. Dove Calenda, che non ha fatto un passo indietro nemmeno per sbaglio sulla sua corsa in solitaria per il Campidoglio, poteva e può giocare il ruolo di grillo parlante e bastone fra le ruote drenando i voti fra i centristi contrari a qualunque alleanza pur di battere la destra. E poi giocarsi quel gruzzolo di voti al ballottaggio. Impresa non impossibile quella di infilarsi nelle geometrie variabili e nelle contraddizioni del pericoloso ménage a trois che vedeva i dem puntare a un’alleanza con i grillini, ma ponendo il veto sulla riconferma di Virginia Raggi (magari con nomi come Roberto Gualtieri e ora addirittura lo stesso Zingaretti?), la sindaca di Roma non gettare la spugna magari puntando sui fuoriusciti dal MoVimento e i Cinque Stelle “governativi” disposti forse a sacrificare Roma in cambio dell’appoggio a Napoli – patria di Roberto Fico e a un tiro di schioppo dal “fortino” campano, di Luigi Di Maio. Stesso discorso in Lombardia e a Milano. Dove Azione di Carlo Calenda cresceva nelle tessere e nell’interesse della base centrista ponendosi in dialogo con Pd, Italia Viva, Radicali, Più Europa ma anche la lista di Alleanza Civica riunita intorno a Franco D’Alfonso e a una vecchia conoscenza dell’ex numero uno del Mise, il sindacalista Marco Bentivogli.
La dipartita di Zingaretti regala il Partito democratico alla lotta fra le correnti. Dove troverà ora spazio Carlo Calenda? Di certo non in dialogo con l’ala di sinistra dei dem rappresentata dal ministro Andrea Orlando, l’ex ministro Giuseppe Provenzano e Anna Rossomando che invece guardano a Gianni Cuperlo e Barbara Pollastrini. La corrente dei “sindaci” di Dario Nardella e il presidente Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro (più Giorgio Gori) si riunisce intorno a Stefano Bonaccini e ha bisogno di “amministratori” non di velleità da leader di partiti personali. Forse Azione può guardare a “Base Riformista” di Lorenzo Guerini, Luca Lotti e Simona Malpezzi? O ai Giovani Turchi (ci sono anche gli ex Giovani Turchi) con Matteo Orfini, Giuditta Pini e Francesco Verducci? Fra i dem ci sono anche gli uomini che si riuniscono attorno all’associazione “Fianco a Fianco” con Graziano Delrio (in lizza per il posto di segretario), Debora Serracchiani e Matteo Mauri come anche la cosiddetta “Area Dem” di Roberta Pinotti, Piero Fassino e Dario Franceschini. Il tutto mentre gli “zingarettiani” di Goffredo Bettini, Roberto Gualtieri e Paola De Micheli si riorganizzano e decidono il da farsi. Tanto affollamento. In epoca di distanziamento sociale, per Carlo Calenda, meglio solo che male accompagnato.