Perché leggere questo articolo? Tucker Carlson attaccato per aver intervistato Vladimir Putin. Ma prima bisognerebbe almeno vedere il lavoro dell’ex anchorman Fox.
L’anchorman conservatore Tucker Carlson è stato bersagliato da una raffica di critiche dopo aver annunciato di essersi recato a Mosca a intervistare Vladimir Putin. L’ex conduttore di Fox News, vicinissimo all’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è diventato il primo giornalista occidentale a sentire con le sue orecchie la versione del capo di Stato di Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022.
In un discusso video pubblicato su X e che ha raggiunto 60 milioni di visualizzazioni, Carlson ha indubbiamente lanciato un attacco forse inelegante al sistema mediatico americano, accusandolo di aver fatto “propaganda al governo”, cioè all’amministrazione di Joe Biden, con le numerose interviste a Volodymyr Zelensky, a suo avviso funzionali a espandere “la presenza americana nella guerra in Est Europa”. Carlson ha dichiarato di essersi recato a Mosca in quanto “è il nostro dovere di giornalisti” e anche per un motivo patriottico: “amo gli Stati Uniti e la loro prosperità”, ha detto, sottolineando che quest’ultima è “messa a rischio dal contesto globale sempre più caotico”. Ragion per cui appare necessario, a suo avviso, sentire entrambe le parti in causa della guerra.
Why I'm interviewing Vladimir Putin. pic.twitter.com/hqvXUZqvHX
— Tucker Carlson (@TuckerCarlson) February 6, 2024
Il mondo secondo Carlson
Carlson è, notoriamente, un esponente di quella componente del mondo conservatore oggi maggioritaria nell’area culturale vicina al Partito Repubblicano. Iper-libertaria sui temi economici, conservatrice su quelli sociali, dedita alle culture war contro il woke, il politicamente corretto e il mondo progressista (la Radical Left loro spauracchio), è una destra scettica della globalizzazione e tendenzialmente isolazionista in politica estera. La quale sull’Ucraina ha trovato più volte motivo di scontro col presidente Joe Biden.
Giuste o sbagliate che siano le visioni di Carlson e della sua componente, maggioritaria nel Partito Repubblicano in cui i “tradizionali” conservatori si appellano a un’Amazzone pentita di questa cordata, Nikki Haley, il dato giornalistico è importante. E semplice: qualsiasi giornalista nel mondo vorrà essere Tucker Carlson. E vorrà esserlo ancora di più quando vedrà l’intervista che Carlson ha promesso di pubblicare “senza filtri”. Forse vorrebbero esserlo in particolare i maggiori denigratori dello stesso Carlson.
Attacchi e sostegni all’anchorman
“Molti giornalisti hanno intervistato Putin, che fa anche discorsi frequenti e ampiamente seguiti”, ha scritto Anne Applebaum , giornalista e storica americana, su X. “L’intervista di Carlson è diversa perché non è un giornalista, è un propagandista”, ha aggiunto la Appelbaum, noto “falco” antirusso. “Povero, povero Vladimir Putin”, ha deriso Yaroslav Trofimov del Wall Street Journal , anche lui su X. “Finora nessuno in Occidente ha avuto la possibilità di sentirlo spiegare tutte le eccellenti ragioni per cui ha dovuto farlo. invadere l’Ucraina”. Per il giornalista ucraino-americano Igor Sushko Carlson è da etichettare come “propagandista”.
In Italia la galassia del centro liberale più atlantista è stata in prima linea nel promuovere questa narrativa. Alan Friedman lo ha definito “vigliacco e complottista”. Per Marta Ottaviani, giornalista attiva in politica estera e critica di Putin, “disinformare e confondere le persone” è l’obiettivo di Carlson. Pungente l’affondo di Gabriele Carrer di Formiche: “Al Cremlino hanno fatto un Brindisi per Carlson”, ha scritto il giornalista della testata filo-statunitense per eccellenza del panorama italiano, riferendosi alla contestata intervista di Giuseppe Brindisi a Sergej Lavrov del maggio 2022
A difendere Carlson, da sinistra, Glenn Greenwald, il giornalista che ha fondato The Intercept e contribuito alla rivelazione del caso Wikileaks. Greenwald ha denunciato gli attacchi a Carlson di chi addirittura vuole proporre la messa in stato d’accusa dell’anchorman con l’Espionage Act. La più onesta è stata Christiane Annapour della Cnn che ha negato, come detto da Carlson, che lui è stato l’unico a tentare di intervistare Putin: Annapour ha dichiarato di aver richiesto per due anni un colloquio a Putin.
Carlson come Biloslavo o come Fallaci?
Del resto, il vero giornalismo coglie ogni opportunità: nel 2011, ad esempio, quando era un paria internazionale Muammar Gheddafi ricevette per la sua ultima intervista un giornalista italiano di razza come Fausto Biloslavo. Ne uscì un colloquio interessante che vale anche oggi come memoria storica della fine del regime del Colonnello in Libia. L’esatto opposto di quanto fatto da Oriana Fallaci che, oltre quarant’anni fa, avendo l’occasione di intervistare in Iran l’ayatollah Ruhollah Khomeini sprecò l’opportunità trasformando il dialogo in un comizio di superiorità morale ostentata. Quanto di più distante dalla necessità del vero giornalismo di mettersi nei panni degli altri.
L’intervista di Carlson andrà giudicata su questi presupposti e su questo taglio. Non dal target della stessa, cioè Vladimir Putin. Dire a prescindere che Carlson non è l’intervistatore adatto per Putin significa negare, con una certa dose di ipocrisia, che in fin dei conti quel che emerge è un pizzico d’invidia per non essere testimoni in prima persona di questa opportunità. Qualunque giornalista da due anni pagherebbe a peso d’oro per l’opportunità che Carlson ha ottenuto a Mosca. A lui la responsabilità di non sprecarla. Ai suoi critici il compito di giudicare a lavoro pubblicato e sui temi, non sulle idee preconcette.