Perchè questo articolo potrebbe interessarti? Manco una multinazionale milionaria riesce più a permettersi l’affitto a Milano: sventola bandiera bianca lo storico McDonald’s di San Babila, lì a servire panini dal 1996. Negli anni Ottanta, quando si chiamava Burghy ed era italianissimo, il locale aveva visto nascere il fenomeno giovanile dei paninari. Che oggi ci mancano assai, pare, anche se all’epoca sbertucciarli era sport nazionale…
Disimpegno politico, pessimo gusto nel vestire e slang da incubo. Questi i tre prerequisiti base per potersi considerare membri dell’élite dei “paninari” negli anni Ottanta. Chi c’era li ricorda con nostalgia mista a orrore, chi ancora non era nato ne ha sentito parlare come un fenomeno generazionale giovane, diffuso a livello pandemico e di cui sostanzialmente pentirsi in età adulta riguardando vecchie, imbarazzanti foto. Il 6 dicembre chiuderà a Milano il McDonald’s di San Babila, causa caro affitti, e quella data segnerà la morte dei paninari. Perché era lì, per quanto il locale all’epoca si chiamasse Burghy e fosse italianissimo, che i giovani col Moncler e la cintura El Charro si ritrovavano nei roaring 80s per far bisboccia e sentirsi “troppo giusti”. Lutto nazionale? Così pare.
Panino e paninari
Il passare del tempo rende tutto più affascinante. E oggi, infatti, ci ritroviamo a rimpiangere con occhio lucido perfino i paninari. O almeno, i media dicono che dovremmo. Se alcuni termini di loro conio fanno ancora pressoché parte della nostra lingua (“squinzia” e “sfitinzia”, quantomeno a Milano, vivono e lottano tutt’oggi con noi), altri sono finiti giustamente nel dimenticatoio: una bella ragazza, per esempio, era quella che faceva “fondere la cotenna“. Inoltre, ogni cosa si divideva in due categorie: “troppo giusto” o “troppo scarso”, con allungamenti di “o” ad lib a sottolinearne l’entità.
È buffo pensare come oggi si celebri il simbolico “funerale” di un fenomeno generazionale che, quando esisteva, veniva sbertucciato dai più. Un giorno ci ritroveremo a piangere per i gabber? Per gli emo? Chi può dirlo… Fatto sta che ritrovarsi a lacrimare per la chiusura di un McDonald’s faccia quasi strano: fino a qualche anno fa, la multinazionale di fast food a stelle e strisce era considerata Il Maligno. Il cibo proposto veniva (e viene) etichettato, per usare un eufemismo, come “non salutare”, se non alla stregua di veleno per topi, da moltissimi, disposti anche a scendere in piazza per protestare contro un ineluttabile destino: l’espandersi della catena a livello mondiale.
Manco le multinazionali possono permettersi l’affitto
Fa male? Vabbè, comunque è buono. Questa la sentenza definitiva. Negli anni, perfino chef stellati da Cannavacciuolo a Cracco hanno prestato il loro sapere culinario per inserire nel menù della catena burger gourmet a prezzi popolari. Un morso di Crispy McMaster e “sta’ senza pensier”.
Di tutta questa storia, dalla morte dei paninari (RIP) alla graduale “normalizzazione” (parola sempre orrenda!) di McDonald’s, sfugge forse il particolare più croccante: il locale in San Babila chiude per via dell’affitto troppo alto che non si può più permettere di sborsare. In buona sostanza, nemmeno una multinazionale milionaria come quella della grande M è in grado di sobbarcarsi il flagello di un canone mensile meneghino. Milano, la città in cui una stanza doppia in condivisione nella periferia più profonda può arrivare serenamente a costare 700 euro al mese, spese escluse, come se ti facesse un favore, uccide ancora: i paninari, uno storico McDonald’s lì dal 1996 e… il prossimo potresti essere tu. A meno che non lo sia già.
Caro-panino
Qualcuno ai vertici del Pirellone o di Palazzo Marino prima o poi si interesserà a questo carovita “trooooooppo scarso” e quel giorno scoprirà che ci saremo già tutti imbarcati nella terza classe dello SpaceX di Elon Musk, verso Marte. Il popolo ha fame? Dategli un tetto di bacon. Finché dura, ora e sempre, forza panino!