Lo hanno definito “l’ultimo democristiano”, l’ultimo testimone della lunga tradizione della Balena Bianca. In queste ore di voto per il Quirinale è stato di certo l’ultimo giapponese della politica. Ma Pier Ferdinando Casini è, prima di tutto, l’attuale decano del Parlamento italiano. Il 66enne politico bolognese è entrato a Montecitorio giovanissimo, nel lontano 1983, e non ha mai abbandonato la Camera se non per spostarsi di poche centinaia di metri, al Senato della Repubblica, nel 2013. Otto legislature alla Camera e due al Senato hanno contraddistinto il cursus honorum di un politico che, unico assieme a pochi altri (Umberto Bossi, ad esempio) ha attraversato tre “Repubbliche”: la Repubblica dei partiti, la Prima, quella del bipolarismo, la Seconda, quella del tecnopopulismo, la Terza. Fino ad arrivare ad accarezzare il sogno quirinalizio nel voto odierno.
Casini, il centrista per eccellenza
Ex doroteo, ex compagno di cordata di Arnaldo Forlani nell’ultima era della DC, sempre attivo nei palazzi senza mai richiedere per sé incarichi ministeriali, Casini ha costruito negli anni il suo profilo politico su pochi, ma precisi punti fermi.
In primo luogo, la sua natura di centrista per eccellenza in un Paese senza un vero centro politico gli ha permesso di sopravvivere, dai tempi del Centro Cristiano Democratico a quelli dell’Unione di Centro, nelle maglie strette del bipolarismo. Tutto questo ha portato spesso Casini ad essere accusato di trasformismo e opportunismo, ma va sottolineato che il politico bolognese ha avuto la capacità di promuovere azioni autonome, come ad esempio la scelta di rompere con il Popolo delle Libertà dopo la sconfitta elettorale del centrodestra nel 2006, la solitaria traversata del deserto dell’opposizione al governo Letta dopo il flop della coalizione pro-Monti del 2013, la decisione di accettare la “patata bollente” della presidenza della Commissione Banche del Senato nel 2017.
Le relazioni internazionali coltivate da Casini
In secondo luogo, ed è ciò che ha reso possibile parlare di Casini come quirinabile, le relazioni internazionali. Da Presidente della Camera dei Deputati (2001-2006) Casini ha iniziato a sviluppare una diplomazia parlamentare complementare a quella del governo e degli enti diplomatici, sottolineando a più riprese l’inserimento del contatto tra i politici romani e quelli delle assemblee dei Paesi alleati nel blocco euroatlantico come una priorità per cementare il confronto sui comuni valori e i comuni obiettivi di lungo periodo. Assieme a Marcello Pera, presidente del Senato, Casini ha inoltre lavorato per organizzare, nel 2002, lo storico discorso di Papa Giovanni Paolo II alla Camera, primo caso di visita di un pontefice romano a Montecitorio.
E non finisce qui: nella fase conclusiva del suo mandato alla Camera, nel 2005, Casini è stato eletto presidente dell’Unione Interparlamentare, l’organizzazione internazionale dei parlamenti nazionali dei Paesi democratici, carica che ha ricoperto fino al 2008. Nel 2006 è succeduto all’ex premier spagnolo José Maria Aznar alla carica di presidente dell’Internazionale Democratica Centrista, alla cui testa fino al 2015 ha sviluppato i suoi legami nel quadro dell’ortodossia euroatlantica. Si spiegano in questo modo, ad esempio, gli accorati appelli con cui Casini si è messo in testa alla rivendicazione politica per un maggior coinvolgimento italiano nell’opposizione al governo venezuelano di Nicolas Maduro dal 2018 in avanti.
Casino maestro delle ritualità e dei tempi della politica
Terzo punto, Casini ha saputo padroneggiare le ritualità e i tempi della politica. Realtà tutt’altro che scontata nell’era del maggioritario e dell’appiattimento del Parlamento. La vera forza del politico bolognese sono state, nel corso della carriera, le relazioni interpersonali. L’ex vicedirettore del Giornale e compagno di palazzo di Casini nell’era berlusconiana Paolo Guzzanti, che lo conosce bene, ha così sintetizzato la figura di Casini in un articolo per Il Riformista: “Casini è un uomo delle istituzioni, vicino quanto basta alla chiesa ma non ho mai saputo esattamente quanto e a chi, è un uomo che sa giocare a scacchi nella vita, conosce le aperture e le chiusure di tutte le partite senza per questo avere del pelo sullo stomaco ma una buona punta di cinismo sì”. Abituato a parlare direttamente al potere piuttosto che a gestirlo, Casini sa, parafrasando La Grande Bellezza, che nella Roma contemporanea non è veramente influente chi organizza le feste ma chi ha il potere di farle fallire. Non a caso lui solo ha potuto, alla prova dei fatti, essere un concorrente credibile per Mario Draghi nella corsa al Colle.
Casini “quirinabile” nel Parlamento più populista di sempre
“Recuperato per un pelo all’elezione alla Camera dove stava per non farcela due legislature fa”, Casini poi ce l’ha fatta e, nota Guzzanti, “ha trovato il suo ecosistema, lo ha trasformato in giardinetto, ha aperto del report lasciando transitare aria e persone che la respirano rendendosi disponibile appunto en reserve”, muovendosi nel silenzio per costruire la partita più importante della carriera. Il derby con Mario Draghi ha dimostrato l’esistenza di una vera e propria categoria di esponenti della classe dirigente che hanno una conoscenza dei tempi e dei modi della politica enormemente superiore a quella dei giovani leoni della Terza Repubblica. E il fatto stesso che un esponente del sistema, delle radici dell’Italia repubblicana e del cuore democristiano del Paese come Casini sia papabile in un’elezione presidenziale votata, sulla carta, dal Parlamento più “populista” di sempre testimonia il bizzarro caso di eterogenesi dei fini a cui la politica italiana va incontro da anni.