Perché questo articolo potrebbe interessarti? La procura di Milano apre un fascicolo su due psicologhe del San Vittore, accusate di manipolare le perizie su Alessia Pifferi. Quest’ultima è la mamma imputata per aver fatto morire di stenti sua figlia nel 2021. Indagata anche il suo avvocato. E su questo insorge l’Ordine del capoluogo lombardo. True News ha sentito l’avvocato Mirko Mazzali, che difende una delle psicologhe indagate: “Situazione che creerà imbarazzi”
A pochi giorni di distanza dal riesplodere delle discussioni sul caso di Olindo e Rosa, i due coniugi all’ergastolo in quanto ritenuti colpevoli per la strage di Erba e per i quali è stata chiesta la revisione del processo, la cronaca giudiziaria italiana si arricchisce dei nuovi sviluppi di un caso destinato a suscitare scalpore. Si tratta, in particolare, del caso di Alessia Pifferi. La mamma cioè accusata di aver fatto morire di stenti la propria figlioletta di 18 mesi nel luglio 2021.
Il terremoto giudiziario delle scorse ore sul caso Pifferi
Si tratta di un fascicolo scottante, in primis per la drammaticità del fatto da cui è partito. C’è di mezzo infatti la morte di una bimba e un’accusa molto pesante nei confronti del genitore. Pifferi, 37enne residente a Milano, in quel luglio del 2021 secondo la pubblica accusa avrebbe deciso di assentarsi volontariamente dalla propria abitazione e seguire il compagno.
La bambina sarebbe così rimasta da sola per almeno una settimana, con soltanto un biberon al suo fianco. Circostanza quest’ultima che avrebbe provocato una morte avvenuta per stenti. L’episodio ha inevitabilmente scosso l’opinione pubblica già prima dell’inizio della fase processuale. Nelle scorse, all’interno degli uffici del tribunale di Milano, si è avuto un incredibile colpo di scena: la procura ha aperto un fascicolo contro due psicologhe del carcere San Vittore. Si tratta, in particolare, di Letizia Marazzi e Paola Guerzoni. Per loro l’accusa è quella di falso ideologico e favoreggiamento.
La tesi del pubblico ministero, Francesco De Tommasi, è che le due professioniste avrebbero manipolato Alessia Pifferi per far risultare un vizio di mente al processo. Non solo, ma nella vicenda c’è poi un ulteriore dettaglio non secondario: nel registro degli indagati è stata iscritta anche Alessia Pontenani, legale della Pifferi. Un fatto quantomeno singolare: l’avvocato di un imputato rischia di essere a sua volta imputato in un altro dossier, la cui accusa è rappresentata dallo stesso pubblico ministero. De Tommasi infatti, oltre ad aver firmato le carte della nuova inchiesta, rappresenta la pubblica accusa nel procedimento a carico di Alessia Pifferi.
La vicenda legata all’avvocato difensore
Mirko Mazzali è il legale sia di Paola Guerzoni che di Letizia Marazzi, le due professioniste del San Vittore raggiunte dall’indagine. Conosce quindi molto bene la vicenda e ai microfoni di True News ha commentato l’aspetto legato al difensore di Alessia Pifferi: “Si tratta di un fatto molto grave – dichiara l’avvocato Mazzali – è una vicenda molto particolare e che ha diversi punti di cui si dovrà ancora discutere molto”.
Il nodo principale riguarderebbe, sempre secondo il legale, l’imputazione stessa dell’avvocatessa Pontenani: “Al momento non si capisce il motivo per cui è indagata – ha rimarcato il legale – non si comprende cosa si imputa alla collega. Può esserci forse un concorso morale, ma davvero non comprendo perché trascinare lei all’interno del fascicolo”.
Nelle carte dell’inchiesta, Pontenani ufficialmente risulta accusata di falso ideologico. Gran parte dei documenti riguardano comunque le due psicologhe del carcere milanese. Secondo la procura, Guerzoni e Marazzi avrebbero fatto di tutto per far risultare l’imputata Pifferi affetta da vizi mentali e da problemi cognitivi.
Le cose che non tornano dell’indagine
“Sarebbe stato attestato falsamente – si legge nelle carte del fascicolo – che la donna aveva un quoziente intellettivo pari a 40 e quindi un deficit grave, con un test non utilizzabile a fini diagnostici e valutativi”. Il test in questione sarebbe quello noto con il nome di test di Wais. “Le due psicologhe – prosegue la procura del capoluogo meneghino – avrebbero svolto una vera e propria attività di consulenza difensiva, non rientrante nelle loro competenze”. In poche parole, oltre ad aver voluto far attestare elementi non veritieri, il loro lavoro avrebbe riguardato anche ambiti non riguardanti le attività in carcere ma quelle invece del tribunale. Tentando così, almeno stando alla tesi della procura, di condizionare il processo.
“Parlando nel merito della vicenda, certamente non posso dire come andrà a finire”, ha proseguito ai nostri microfoni l’avvocato Mirko Mazzali. Ci sarà un procedimento in cui il legale proverà a dimostrare l’innocenza delle due professioniste indagate. Innocenza di cui, in altre interviste rilasciate nelle scorse ore, si è detto convinto. Sul caso dell’avvocatessa indagata però, Mazzali tiene a sottolineare un ulteriore punto: “Nel processo Pifferi potrebbero sorgere degli imbarazzi – ha aggiunto – l’avvocato Pontenani potrà continuare a essere il legale, ma certo non mancheranno imbarazzi”. Un problema non di second’ordine sotto il profilo delle garanzie difensive: “Guardi – ha infatti concluso Mazzali – almeno secondo me in questo caso il pubblico ministero ha un concetto particolare del sistema di difesa”.
La reazione dell’ordine degli avvocati di Milano
Dopo la notizia del procedimento contro l’avvocatessa Pontenani, dal capoluogo lombardo sono arrivate le reazioni della camera penale e dell’ordine degli avvocati. I legali milanesi hanno espresso perplessità per quanto si sta registrando nelle ultime ore: “È grave (o meglio inaccettabile) – si legge in una nota dell’ordine – che la notizia che l’avvocatessa di Alessia Pifferi, accusata dell’omicidio della figlia di soli 18 mesi, sia stata indagata per falso ideologico e favoreggiamento sia stata divulgata dalla stampa”.
“Tutto ciò – proseguono – è contro il principio di presunzione di innocenza, soprattutto in termini di lesione reputazionale indelebile”. L’ordine degli avvocati ha poi commentato negativamente l’operato del pubblico ministero in merito, anche e soprattutto, l’iscrizione nel registro degli indagati della loro collega.
“Non si comprende, in verità – si legge ancora nella nota – la necessità di ipotizzare un reato di falso in capo al difensore che ha utilizzato un documento ufficiale del carcere per formulare le proprie richieste di prova: ma non intendiamo entrare nel merito. Non possiamo non stigmatizzare queste modalità di azione del pubblico ministero. È difficile, mettendosi nei panni della collega, non avere la sensazione di un implicito invito a fare un passo indietro”.