Perché leggere questo articolo? Il governatore Toti è agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. Lui e il suo avvocato premono per un interrogatorio il prima possibile ma i pm non sembrano avere fretta. Ma queste attese infinite prima di essere sottoposti ad interrogatori sono giuste? True-News.it ha intervistato l’avvocata e professoressa Marilisa D’Amico.
Sono giorni che sui giornali italiani si parla dell’arresto del governatore della Liguria Giovanni Toti. Questa bufera giudiziaria ha portato il governatore agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. Dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere, Toti si è mostrato più volte volenteroso nel voler spiegare la sua verità. “Voglio chiarire”, queste le parole dell’indagato.
Lo stesso avvocato del governatore, Stefano Savi, ha richiesto più volte un’interrogatorio per il suo assistito. Lo stato d’animo di Toti sarebbe quello di “voler spiegare una serie di fatti”.
Toti vuole essere interrogato, i pm non hanno fretta
Tutto nella norma quindi. Se non fosse per il fatto che i pm non sembrano avere fretta nell’interrogare Toti. “Aspettiamo ci dicano una data”, queste le parole di Savi. Secondo le ultime notizie trapelate, il diretto interessato non sarà interrogato prima del 27 maggio, con possibilità di vedere slittata questa data giorno dopo giorno. La procura ascolterà infatti prima le persone non indagate a conoscenza dei fatti e in ultimo il governatore della Liguria.
Insomma l’avvocato e Toti stesso premono per essere ascoltati il prima possibile. I pm invece procedono con più cautela.
Non solo Toti. Anche il caso La Russa
Queste attese infinite prima di arrivare ad un’interrogatorio non sono una novità nei casi giudiziari italiani. Basta ricordare il caso del figlio del presidente del Senato La Russa che ha dovuto aspettare oltre quattro mesi prima di essere sottoposto ad un’interrogatorio.
Questo strano meccanismo che porta ad una serie di lungaggini infinite è stato spiegato dall’avvocata, professoressa e Prorettrice dell’Università degli Studi di Milano Marilisa D’Amico intervistata da True-News.it.
D’Amico: “L’imputato può insistere di essere interrogato”
“Il calendario degli interrogatori è deciso dal pm, in base alle esigenze istruttorie, e anche se l’interrogatorio fosse anticipato la conclusione delle indagini avverrebbe molto tempo dopo”, ha spiegato D’Amico. Anche dopo l’interrogatorio le tempistiche per arrivare ad una decisione definitiva sono comunque lunghe. “Vero é”, continua, “che l’imputato può insistere per essere interrogato con sollecitudine, anche per conoscere le contestazioni rivolte a lui, e questo è, secondo le dichiarazioni pubbliche rese, ciò che sta chiedendo il difensore di Toti”.
Il problema della gogna mediatica
Uno dei problemi maggiori di queste lunghissime attese è ovviamente la gogna mediatica alla quale l’indagato è sottoposto. “La durata delle indagini effettivamente espone alla gogna mediatica”. Questo però, secondo la professoressa “è un problema della comunicazione politica e dello sfruttamento della notizia”.
Fondamentale però è un principio di diritto che molti, in questi casi, tendono a dimenticare. “Qualsiasi indagato è innocente fino alla condanna. La presunzione di innocenza è un principio di civiltà”, ha aggiunto D’Amico.
I tempi lunghi della giustizia italiana che “favoriscono le strumentalizzazioni”
Ci si chiede quindi se ci siano dei motivi politici dietro queste attese infinite. La lungaggine però, secondo l’avvocata, “dipende dalla complessità delle indagini, non dalla carica politica”. La legge infatti “deve essere sempre uguale per tutti”. Questo quindi sarebbe un problema che si ripropone di volta in volta in ogni caso giudiziario del nostro Paese. “Ci possono essere atteggiamenti opportunistici, ma comunque i tempi della giustizia italiana sono sempre molto lunghi e favoriscono le strumentalizzazioni”, ha aggiunto.
Il diritto alla difesa? “Indiscutibilmente un diritto costituzionale”
La professoressa D’Amico ci tiene comunque a specificare quanto sia importante che l’interrogatorio venga garantito il prima possibile e che l’intero caso giudiziario possa svolgersi nel minor tempo possibile. “L’indagato ha ragione nel chiedere la massima velocità possibile, per poter esporre le proprie difese”, ha affermato.
Da non dimenticare inoltre che il diritto alla difesa è sancito proprio dalla Costituzione Italiana all’articolo 24. E la stessa avvocata D’Amico lo ribadisce. “Il diritto alla difesa è indiscutibilmente un diritto costituzionale: la persona indagata ha il diritto di chiedere di essere interrogata. Ma non ne ha l’obbligo”. La lesione in questo caso “deriva anche molto dalla fuga di notizie e dalla comunicazione. Poi la procedura dà il suo contributo ai tempi lunghi”, ha concluso.