Manca ormai pochissimo all’appuntamento cruciale della politica italiana, l’evento che segnerà i destini del Paese, si spera per i prossimi sette anni: il 24 gennaio inizieranno le consultazioni per l’elezione del Presidente della Repubblica. Politici e media ripetono a gran voce parole e perifrasi che vengono spesso date per scontate e, sebbene non siano direttamente chiamati a votare in quest’elezione, rischiano di non essere comprese dai cittadini.
Ecco un decalogo delle parole chiave per arrivare pronti all’elezione del prossimo Capo dello Stato.
Quirinale
Iniziamo dal luogo simbolo, l’oggetto del desiderio, il Colle più alto di Roma. Il Quirinale è la sede della Presidenza della Repubblica, e dista solo 800 metri – 11 minuti a piedi secondo Google Maps – da Palazzo Chigi, la sede della Presidenza del del Consiglio. Nella storia repubblicana, ben quattro dei dodici Capi dello Stato si sono precedentemente insediati a Palazzo Chigi, in qualità di premier: Segni, Leone, Cossiga e Ciampi. Il nome del prossimo inquilino del Quirinale sarà però scelto a Palazzo di Montecitorio, dove i parlamentari in seduta comune prenderanno parte alle votazioni.
Grandi elettori
L’onere e l’onore di eleggere il prossimo Capo dello Stato spetta ai 1009 grandi elettori. Il termine è attestato dal Medioevo: è diventato di uso comune per definire i notabili che nel corso dei secoli hanno eletto prima il Re dei Romani e, a partire dalla Bolla d’Oro del 1356, i principi che avevano il diritto di eleggere il Sacro Romano Imperatore. Grandi Elettori sono previsti anche negli Stati Uniti: sono i 538 delegati, suddivisi per stato, che concorrono all’elezione del presidente alla Casa Bianca.
Delegati
Ai 961 deputati della Camera (630) e del Senato (321, di cui 5 senatori a vita) si aggiunge la platea dei 58 delegati regionali, a cui la Costituzione ha attribuito il compito di “assicurare la rappresentanza delle minoranze”. Ognuna delle 20 regioni ne nomina tre – per prassi, due sono scelti dalla maggioranza all’interno della giunta regionale e uno è espressione della minoranza – ad eccezione della Valle d’Aosta che ne elegge solo uno.
Settennato
I Grandi elettori decidono il prescelto per un mandato della durata di sette anni. Nella storia repubblicana non sempre il settennato è giunto a compimento: per scongiurare il “bis” (la rielezione, capitata solo con Giorgio Napolitano nel 2013) alcuni presidenti si sono dimessi prima della naturale scadenza del proprio mandato. De Nicola, fu eletto capo provvisorio dello Stato e rimase in carica solo 4 mesi, fino alle prime elezioni politiche della storia repubblicana, nel maggio 1948. Segni si dimise dopo solo due anni, a causa di un ictus nel 1964; Giovanni Leone nel 1978, travolto da uno scandalo corruttivo, abbandonò il Quirinale a pochi mesi dal termine del settennato; come Francesco Cossiga, entrato in contrasto col Parlamento nel 1992, mentre entrava nel vivo la stagione di Mani Pulite. Il secondo mandato di Napolitano si concluse in anticipo – come ampiamente annunciato alla rielezione – dopo un anno e mezzo nel 2015.
Semestre bianco
L’articolo 88 della Costituzione impedisce al Capo dello Stato di sciogliere le Camere durante gli ultimi sei mesi del proprio mandato, se coincidano con la fine della legislatura. Il semestre bianco è stato pensato per evitare che negli ultimi mesi del suo mandato il presidente della Repubblica possa mandare il Paese a elezioni anticipate e favorire così la formazione di un Parlamento meglio disposto verso una sua rielezione.
Scrutini e quorum
L’elezione del Presidente è decisa dallo scrutinio, la votazione dei delegati in sessione plenaria. A causa della pandemia in corso, l’elezione del 2022 subirà delle modifiche nel regolamento: per prevenire il contagio tra i “grandi elettori”, ogni scrutinio sarà suddiviso in più turni da 50 elettori. Gli scrutini proseguono a oltranza finché un candidato non raggiunge il quorum, cioè fino a che non ottiene la maggioranza: qualificata (i due terzi dei votanti) nei primi tre scrutini, a partire dal quarto assoluta (metà più uno). La maggioranza è sempre dei presenti in aula, allo stato attuale – salvo modifiche dell’ultimo minuto – le quarantene pandemiche potrebbero giocare un ruolo cruciale, riducendo il numero dei grandi elettori. Solo De Nicola (1948), Cossiga (1985) e Ciampi (1999) sono stati eletti al primo scrutinio e con maggioranza qualificata; nel 1964 ci vollero 21 scrutini per eleggere Saragat, nel 1978 addirittura 23 per l’elezione di Leone.
Franchi tiratori
A far aumentare il numero degli scrutini necessari contribuiscono gli spauracchi di ogni candidato designato: i franchi tiratori. Il termine fa riferimento al lessico militare dei cecchini “franchi” – privi di inquadramento nell’esercito regolare – ed è attestato a partire dalla Rivoluzione francese. Sono i non allineati, quei deputati che – secondo la Treccani – “in votazioni segrete, votano in modo diverso da quello concordato o ufficialmente deciso dal proprio schieramento”. C’è chi li definisce “il sale della democrazia”, chi li ritiene “topi che escono dalle tane”; quello che è certo è che nelle Quirinarie sono decisivi. “Veleno, pugnale o franchi tiratori” è la celebre espressione di Carlo Donat-Cattin, capo di gabinetto di Aldo Moro, caduto sotto i colpi dei franchi tiratori; ne sanno qualcosa anche Fanfani, Andreotti e Prodi.
Kingmaker
Se i franchi tiratori sono i falchi, ogni candidato può contare sulle proprie colombe: gli elettori che assecondano la volontà del partito o del leader. L’accettazione può trasformare il grande elettore in sherpa – trasposizione politica del popolo che porta in vetta gli alpinisti – attivo pontiere che fa convergere voti sul candidato; o in peone – bracciante agricolo, indigeni o meticcio, che per secoli i conquistadores spagnoli ha costretto a lavori forzati in America Latina – passivamente sottomesso a volontà superiori.
Con le buone o con le cattive, il presidente deve servirsi di un kingmaker, di chi – nell’ombra o coram populi – manovra per incoronarlo. Nel XV secolo Richard Neville, conte di Warwick, tramò per far rimpiazzare sul trono due re inglesi, divenendo così il primo kingmaker della storia; che nella teoria dei giochi è il giocatore senza sufficienti risorse ma che sceglie quale avversario far vincere. Tra pochi giorni, nel grande gioco del Quirinale cercheranno di ritagliarsi questo ruolo Salvini, Renzi e Letta influenzando – per poi rivendicare – la partita dell’elezione del Capo dello Stato.
Papabili
La vicinanza al Vaticano rende la partita per il Colle più alto della politica italiana simile a un conclave. Da settimane assistiamo a un tiro al piccione – l’impallinamento che deriva dalla pratica sportiva, ora vietata, di far fuoco sui volatili liberati dalle gabbie – di politica e media che cercano un candidato papabile per il Quirinale. Attenzione però al detto romanesco secondo cui spesso chi entra Papa nel conclave esce cardinale: i grandi elettori optano volentieri per un outsider, chi nel linguaggio sportivo non è considerato favorito alla vigilia.
Bruciatura
Come nella Cappella Sistina, al Quirinale c’è attesa per la “fumata bianca” – il segnale che dall’Ottocento annuncia al popolo l’avvenuta elezione di un pontefice, facendo bruciare le schede con paglia umida o lattosio. Per arrivare all’Habemus Papam, il candidato presidente deve stare attento alla “bruciatura”: l’affossamento di un nome votazione dopo votazione. Nel segreto dell’urna occorre impedire che i grandi elettori si “annusino”, convergendo su un nome alternativo – spesso puntato o improbabile (P. Romano o Rocco Siffredi ne sono esempi storici) – segreto o inosservato ai più, ma riconoscibile agli aspiranti congiurati.
Bonus: Catafalco
La prossima elezione non vedrà la partecipazione di un grande protagonista delle Quirinarie: il catafalco. Dal 1992 i grandi elettori entravano in una cabina in legno e velluto bordeaux, dentro la quale compilavano la scheda poi inserita nell’insalatiera, il nome ironico con cui viene chiamata l’enorme urna. Causa covid, questa volta gli elettori non entrano nel “catafalco” – il cui nome rimanda all’impalcatura di legno ricoperta di parati sulla quale si pone la bara durante i funerali – ma in nuove cabine dotate di un sistema di aerazione.