Perché questo articolo potrebbe interessarti? Su Catania sono piombate le sette piaghe d’Egitto: incendio in aeroporto, blackout elettrici, caldo torrido, mancanza di acqua in alcuni quartieri. Ma non si tratta di punizioni divine, bensì di nodi venuti al pettine grazie alle emergenze. La città etnea in questo momento è lo specchio di tutti i vari problemi che attanagliano l’intero nostro Paese.
Il 5 maggio 1947 è una data storica per l’aviazione civile italiana: da Torino quel giorno è partito il primo volo di Aerolinee Italiane Internazionali, la futura Alitalia. Quel viaggio inaugurale ha avuto come destinazione Catania. Basta questo per comprendere l’importanza dello scalo etneo non solo per la Sicilia ma anche nel contesto italiano. Nel 2022, con dieci milioni di passeggeri ospitati, l’aeroporto di Catania Fontanarossa è stato il sesto più trafficato a livello nazionale. Subito dopo Fiumicino, Malpensa, Bergamo e Venezia, in classifica arrivano gli scali del sud di Napoli e Catania per l’appunto.
L’incendio che nei giorni scorsi ha costretto alla chiusura l’aerostazione dell’aeroporto etneo, ha rappresentato quindi una vera e propria catastrofe sul fronte dei trasporti. Ed ha come aperto una maledizione su Catania: dopo il rogo, sulla città è piombata anche l’afa, l’assenza di luce generata dai blackout e la mancanza di erogazione idrica in diversi quartieri. Episodi non certamente imputabili solo al caso.
Un’emergenza senza fine
Giusy è una delle tante frequentatrici dell’aeroporto catanese. Ha un figlio che lavora a Roma e spesso da Agrigento sceglie lo scalo etneo per raggiungerlo. “Sono partita pochi giorni prima dell’incendio – è la sua testimonianza su TrueNews – E sono tornata due giorni dopo la chiusura dello scalo”. Il suo aereo è stato fatto atterrare a Trapani. “Da lì è iniziato un vero e proprio pellegrinaggio – racconta – siamo arrivati ovviamente con notevole ritardo, poi cinque ore di autobus verso Catania e il caldo non ha certo reso agevole lo spostamento”. L’odissea è terminata in piena notte: “Finalmente intorno alle 2 siamo arrivati a Fontanarossa, lì avevo parcheggiato la macchina. Dopo il volo e il bus, ho fatto un’altra ora e mezza per raggiungere Agrigento e finalmente tornare a casa”.
La sua è una delle tante storie degli ultimi giorni che testimoniano quanto stia incidendo, su turisti e cittadini, la chiusura dell’aeroporto di Catania. Lo scalo formalmente è in funzione. Quando si arriva sul piazzale difronte il terminal principale, la situazione sembra normale. Ci sono decine di passeggeri pronti a imbarcarsi, con valigie e borsoni al seguito. Le tensostrutture montate vicino gli ingressi danno invece l’idea di quanto sta accadendo. Si fa il checkin, si effettua l’imbarco e poi si aspettano i bus per raggiungere gli aeroporti da cui si parte. I più fortunati vanno a Comiso, lo scalo più vicino e gestito dalla stessa società della struttura catanese. Inizia invece un lungo viaggio per chi viene destinato a Palermo o Trapani, città situate nella punta opposta dell’isola.
In molti provano a ripararsi dal caldo aspettando gli autobus sotto delle pensiline: proprio nei giorni dell’incendio, la Sicilia è rimasta stretta nella morsa di una delle più intense ondate anticicloniche degli ultimi anni. Le temperature, tra il 20 e il 25 luglio, hanno costantemente oltrepassato i 40 gradi. “Si fa quel che si può – commenta al telefono un dipendente di una società di autobus, una delle tante allertate per fronteggiare l’emergenza – tutta la nostra flotta è a disposizione, tutti i nostri mezzi stanno facendo la spola tra gli aeroporti siciliani, chiaro che le distanze sono importanti e quindi si creano disagi. Ma nessuno rimane a piedi”.
L’emergenza è stata amplificata poi dall’impossibilità dell’aeroporto di Palermo di continuare ad accogliere i voli di Catania e dal sovraccarico di tutti gli scali siciliani. Il 25 luglio, il ministro Matteo Salvini ha assicurato che si sta facendo il possibile per rendere nuovamente fruibile Fontanarossa: “A Catania – ha riferito – ad oggi si viaggia al 40%”. Dentro il terminal si lavora, si pensa a soluzioni alternative, forse si tornerà alla piena normalità i primi di agosto. Ed è anche un via vai di inquirenti. La procura ha aperto un fascicolo e, al momento, emergerebbe come il rogo potrebbe non aver avuto origine dolosa.
L’incendio come fulmine a ciel sereno
Tra i chi frequenta abitualmente lo scalo, c’è incredulità. “Sì, forse occorreva potenziarlo perché ho sempre avuto l’impressione di un aeroporto piccolo rispetto alle esigenze – dichiara un cittadino appena sceso da uno degli autobus partiti da Fontanarossa – ma non pensavo a una cosa del genere”. L’incendio è arrivato come un fulmine a ciel sereno, mentre sull’area stanno per partire investimenti relativi all’allungamento della pista e alla realizzazione di altre opere importanti. Un fulmine che ha spalancato poi un’autentica maledizione sulla città. Catania, dal giorno del rogo, non ha avuto più pace.
Le piaghe su Catania
Nei giorni successivi alla chiusura di Fontanarossa, i catanesi hanno assistito quasi impotenti a un rapido evolversi degli eventi. Il caldo ha mandato in tilt i sistemi di erogazione elettrica, con blackout diffusi in diversi quartieri. A Cibali, zona nota per ospitare lo stadio, alcuni cittadini nei giorni scorsi sono scesi in strada e hanno bloccato il traffico per reclamare attenzione. All’interno delle loro case al buio, era impossibile accendere l’aria condizionata e difendersi da temperature diventate improvvisamente africane.
Poi è stata la volta degli incendi che hanno colpito la provincia. E forse anche a causa dei roghi alcune condutture dell’acqua hanno subito danneggiamenti. Molte abitazioni quindi hanno dovuto fronteggiare un’altra emergenza. C’è chi, nello stesso arco di tempo, è rimasto senza luce, senza aria condizionata e senza acqua. Una piaga a tutti gli effetti, una condizione difficile da fronteggiare.
Nel frattempo, il caldo rovente ha creato altre situazioni molto gravi nel resto dell’isola. Anche a Palermo, nella giornata di martedì, l’aeroporto è stato chiuso per alcune ore a causa degli incendi e del fuoco che ha lambito le piste di Punta Raisi. Per alcune ore, la Sicilia ha avuto i suoi due maggiori aeroporto fuori uso. E sempre nel capoluogo, i roghi sono stati così imponenti da costringere all’evacuazione di interi quartieri e far tirar fuori dai cassetti ai palermitani le mascherine per poter uscire di casa. A molti siciliani, in poche parole, non è rimasto altro che fissare il termometro e augurarsi un rapido passaggio dell’ondata di caldo.
La vulnerabilità dell’Italia
Non si può parlare però di sventura. La Sicilia è stata messa letteralmente a ferro e fuoco non certo dal destino. Ogni nodo sull’isola è venuto al pettine nelle ore più critiche dell’anno. Con una certa manutenzione si potevano evitare gli incendi attorno Palermo. Così come si potevano evitare i blackout a Catania. E anche sull’aeroporto forse si poteva fare di più. Di certo, la vulnerabilità di un’infrastruttura così importante è un campanello d’allarme non indifferente. E che non riguarda soltanto la Sicilia.
L’isola al momento è solo l’emblema si una situazione più generale di vulnerabilità dell’Italia. Un Paese dove non si garantisce l’ordinario e dove quindi ogni emergenza diventa straordinaria. La mancata manutenzione è una delle cause dell’alluvione in Romagna dei mesi scorsi, così come forse una più adeguata attenzione avrebbe potuto evitare il crollo del viadotto Morandi di Genova nel 2018. Le piaghe su Catania, sulla Sicilia e sull’Italia non sono segnali di punizione divina. Al contrario, sono emblema di un Paese quasi rassegnato oramai ad agire solo nelle emergenze.