Il confine è sempre molto labile. E quando si supera, esattamente come accade per quello reale, resta difficile stabilire se si stia esercitando il sacrosanto diritto a dire la propria anche attraverso la satira o si stia irrimediabilmente precipitando nel cattivo gusto.
“Charlie Hebdo”, il settimanale satirico francese, dove gli islamisti fecero una strage dopo la pubblicazione delle vignette su Maometto, in una delle sue ultime edizioni, ha pubblicato una vignetta in cui un uomo, presumibilmente un “pappone”, a giudicare dalle fattezze e dalla postura, dice testualmente: “Mi fermo con le puttane russe” per aggiungere “prendo quelle ucraine”. Fa ridere o almeno sorridere? Forse solo per le sembianze delle due donne disegnate in déshabillé, ma con il viso evidentemente maschile (una ha addirittura i baffi). La vignetta, invece, nel suo complesso, poco o niente. Perché sintetizza il pregiudizio verso le donne delle due nazionalità, ucraina e russa, che, sembra di capire, per alcuni francesi non possano aspirare ad altro se non a prostituirsi. L’equazione donne dell’est-marciapiede è quello che se ne ricava.
Lo scivolone di Annunziata e Di Bella
E’ un po’ quello che è successo da noi, con i commenti a microfoni aperti di Lucia Annunziata e Antonio Di Bella: per i due giornalisti, convinti di non poter essere ascoltati durante la messa in onda di un servizio durante una delle tante maratone sulla guerra, gli ucraini non sono che “migliaia di camerieri, cameriere, badanti… e amanti”. I due poi si sono scusati, ma la frittata, per due giornalisti di lungo corso con lunghe esperienze di inviati all’estero, era bella che fatta.
I due episodi, pur se apparentemente distanti, pongono un quesito, di non semplice soluzione: si può fare dello spirito su una guerra o su una tragedia? “Charlie Hebdo” non è certo nuovo a queste uscite: basta ricordare le vignette che pubblicò dopo il terremoto in Italia, con tre volti, uno dei quali sporco di sugo, sfruttando l’eterno cliché degli italiani mangiaspaghetti, lo stesso che nel 1977 portò il tedesco “Der Spiegel” a mettere in copertina l’immagine di una P38 sopra un piatto di spaghetti col titolo “Vacanze italiane: sequestro di persona, estorsione, rapina a mano armata“.
Satira e guerra
Il binomio non è nuovo: già durante il primo conflitto mondiale molti disegnatori satirici diedero il loro contributo. I caricaturisti si trasformarono “nella punta di diamante” della propaganda nazionale contro i nemici. Proprio in Francia, tra il 1915 e il 1920, fu pubblicata la rivista “La Baionette”, che venne principalmente distribuita ai soldati francesi per prendersi gioco dei tedeschi e della loro stupidaggine. Lo stile delle vignette proposte dalla rivista sfociava però raramente nel volgare. In Italia negli stessi anni veniva pubblicata la rivista satirica “L’Asino”.
La satira, però, deve esaltare i difetti del potente mettendolo sullo stesso piano dell’uomo comune, perché per sua stessa natura è un esercizio di democrazia contro il potente. E dare della prostituta o dell’amante alle donne di una popolazione non è andare contro chi detiene il potere e lo ha usato per scatenare una guerra, ma è cattivo gusto e sessismo portato all’esasperazione.
Parola ai vignettisti
In un articolo pubblicato oggi sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” a firma di Michele de Feudis, che è anche collaboratore dalla Puglia del “Foglio”, a interrogarsi sulla “satira al fronte” sono tre protagonisti del “campo dello sberleffo contro il potere”: Federico Palmaroli, in arte Osho, Vauro Senesi e Nico Pillinini.
Dice Palmaroli: «Cerco spunti a latere rispetto all’evento bellico. La guerra non fa ridere. La butto sull’aspetto politico» e aggiunge: «Ho attacchi continui perché, per molti utenti, se c’è la guerra non puoi toccare l’argomento in maniera scherzosa. Sbagliato: la satira si fa sulle tragedie, non sulle commedie». Per Vauro, invece, «il vignettista non deve fare sconti, deve avere la punta acuminata della matita per bucare il pensiero unico».
Nico Pillinini, storico vignettista del quotidiano barese da poco tornato in edicola, dice: «Il nostro compito è far pensare oltre gli schemi. È difficile strappare un sorriso, ma è indispensabile fare i conti con la realtà, anche disegnando un corridoio umanitario a forma di torpedone di carri armati russi. O con una vignetta nella quale un giornalista intervista Putin e gli chiede cosa abbia da dire sul conflitto. La sua risposta? “Umanamente non avrei nulla da dire”».
Vignette e social
La satira, complici le grandi possibilità di comunicazione offerte da internet e dai social, è entrata nella guerra russo-ucraina con nuove modalità: vecchi obiettivi, delegittimare e irridere il nemico, nuovi strumenti, quelli che la tecnologia offre. Così, contro un nemico che non conosce la parola ironia (figuriamoci poi l’autoironia), come può essere Vladimir Putin, sono scesi in campo i “meme”, immagini, video o frasi declinate in maniera spiritosa, che si diffondono in maniera virale sul web. Anche in questo caso, tra i tanti che ritraggono Putin accarezzato da Adolf Hitler o al telefono con Joe Biden che prende spunto da una vecchia pubblicità della Telecom, forse allora ancora Sip, dove i due si rivolgono l’invito reciproco ad attaccare per primo (nello spot c’erano due fidanzati che non volevano interrompere la comunicazione e dicevano all’altro di riattaccare per primo) – spuntano altri che cavalcano il tema della bellezza delle donne ucraine. Ci sono tre ragazze molto avvenenti che passeggiano spensierate con una frase che invita: “ospita anche tu una rifugiata ucraina”. Con un milione di profughi già usciti dal paese in guerra – se ne calcola che saranno quattro milioni gli sfollati costretti a lasciare l’Ucraina – non proprio una battutona.