Chi pensa che Mario Draghi sia un accidente del destino, e che la politica lo stia subendo, fa un grave errore. Mario Draghi, ovvero il re dei tecnici, che fa le cose senza clamore (e non c’è clamore perché non c’è discussione, si fa così e basta), è il supertecnico che diventerà con ogni evidenza il supercapo di tutti i politici, ovvero il capo dello Stato. E sarà un bene, ci speriamo.
Giova però ricordare che quel che sta avvenendo non sarà privo di conseguenze. Perché non si può ridurre la politica a un uomo, seppure straordinario. Se fosse meno straordinario, o se fossimo in altre parti del mondo, si chiamerebbe dittatura, che non va mai bene neppure quando è eccellente e illuminata. In questo caso non è dittatura perché non c’è imposizione: semplicemente la politica si è dissolta come neve al sole di fronte alla necessità di avere un governo davvero di emergenza e davvero di larghe intese. Salvini può divincolarsi un po’ per cercare di non subire emorragie nei confronti di Giorgia Meloni, ma in fondo che cosa importa? Pare chiaro che al voto subito non ci si va, almeno fin quando non è finito definitivamente il lavoro decisivo sul PNRR: quando poi ci sarà solo da fare il lavoro manuale e non di concetto, potrà farlo qualcun altro.
Quale futuro per la politica dopo Draghi
Ora, veniamo al punto. L’attuale situazione politica è questa. Il Pd pare più muto di quanto lo fosse prima: ogni tanto tira un urlo identitario (“tassa di successione!”, “ius soli!”, “antifascismo!”), ma di fatto ha perso qualunque spinta propulsiva, ad oggi. Il fatto che uno come Beppe Sala non ci voglia proprio nessuno, nella sua campagna, la dice lunga di quanto sia uno sfollagente. A sinistra sono divisi come al solito, quindi contavano poco prima e contano meno adesso. Il Movimento 5 Stelle è all’interno di una transizione che costerà lacrime e sangue, e soprattutto una perdita di quote di potere talmente marcata da risultare vertiginosa. Anche qui: non è un caso che su Milano, per dirne una, hanno provato in tutte le maniere a non correre alle elezioni. Esattamente come ha fatto Matteo Renzi, che pure ce l’ha fatta a intrupparsi in un unico contenitore con Carlo Calenda. Questa cosa dei riformisti può essere un germoglio, ma per adesso è una pia speranza.
A destra è pure peggio. Fratelli d’Italia avanza ma dove deve andare da sola Giorgia Meloni? E i solchi che si scavano con la Lega sono assai difficili da colmare. La Lega, per parte sua, è in un travaglio interiore e sempre alle prese con l’atavica questione: ha una classe dirigente per governare il Paese? Oppure si affida a un Durigon senza sensi di colpa? Infine, Forza Italia: ormai tutti, ma proprio tutti, hanno capito che è finita. Ma non sanno dove andare in quel buco nero che una volta era un partito enorme, pieno di idee, affatto di plastica ma concreto. E poi ci sono i cattolici, per cui vale il discorso della sinistra: frammentati e in fondo poco rilevanti.
Teddy Roosevelt diceva che quando si ha un problema bisogna fare ciò che si può, dove si è, con quello che si ha a disposizione. In questo caso, Mario Draghi. Con una controindicazione: ha una data di scadenza ben precisa.