“Il coraggio di vedere oltre la crisi: fare ciò che è difficile, ciò che è buono, unirsi, credere in noi stessi, credere nel nostro Paese, credere in ciò che possiamo fare insieme”. Con queste parole, durante la cerimonia d’insediamento dell’amministrazione di Joe Biden il 20 gennaio scorso, Kamala Harris assumeva la carica di vicepresidente degli Stati Uniti. Prima donna e prima persona di colore a ricoprire questo ruolo, Harris è stata un elemento portante della campagna elettorale che ha dato a Biden le chiavi della Casa Bianca. I manifesti elettorali, i “santini” distribuiti per le strade e i messaggi pubblicitari durante i comizi riportavano sempre, come da tradizione, il suo nome in evidenza accanto a quello del candidato presidente: “Biden- Harris”, sempre e comunque.
Il cono d’ombra su Kamala Harris
A distanza di undici mesi, con l’amministrazione che si avvia a compiere un anno, Kamala Harris si ritrova oggi in un cono d’ombra dal quale sembra non riuscire a venir fuori. Un angolo da cui incide veramente poco sulle dinamiche e sulle iniziative del governo federale. Il suo nome è tornato alla ribalta il 19 novembre scorso, ma giusto per qualche ora. Giusto il tempo necessario perché Biden – “seguendo le procedure indicate dalla Costituzione” – le trasferisse i suoi poteri mentre veniva sottoposto ad una colonscopia in anestesia totale. Il fatto che sia stato necessario un fatto del genere a permettere a Harris di tornare a far capolino sui giornali la dice lunga sulla sua condizione.
Vicepresidente Usa: un ruolo per lo più istituzionale
Vale la pena, però, sottolineare almeno tre aspetti importanti per rispondere alla domanda “che fine ha fatto Kamala Harris?”.
Il primo è che tradizionalmente la figura del(la) vicepresidente rappresenta un ruolo per lo più istituzionale, che si dedica a incontri ufficiali, inaugurazioni, tavole rotonde e incontri con associazioni, sindacati e quant’altro. Sono stati rari i casi in cui i vice si sono esposti in primissima persona in azioni dirompenti e degne della prima pagina. Spesso, infatti, il numero 2 della Casa Bianca è chiamato ad agire nell’ombra per garantire l’interesse nazionale e dell’amministrazione in carica.
E’ quanto emerge, in maniera molto esagerata a dire il vero, dal film “Vice” del 2019, in cui Christian Bale interpreta Dick Cheney, vicepresidente ai tempi di George W Bush. Quest’ultimo viene dipinto sostanzialmente come un pupazzo a cui il numero 2 della Casa Bianca fa fare sostanzialmente ciò che vuole, giocando sempre dietro le quinte. Al contrario, John Adams – primo vicepresidente Usa e successore di George Washington – definì il ruolo come “l’ufficio più insignificante che l’invenzione dell’uomo abbia mai escogitato”. Il primo vicepresidente di Franklin Delano Roosevelt, John Nance Garner, descrisse l’incarico come un’attività che “non vale un secchio di sputi caldi”.
Kamala Harris: il suo voto è decisivo al Senato
Il secondo aspetto riguarda il modo in cui i fatti americani vengono raccontati negli Usa e all’estero. Se si legge la stampa statunitense capita sicuramente spesso di imbattersi in una notizia riguardante Kamala Harris, che oltre a presenziare occasioni ufficiali pubbliche ha anche il ruolo di vicepresidente del Senato. Alla camera alta del Congresso i seggi sono divisi equamente, 50-50, tra democratici e repubblicani.
E’ per questa ragione che il voto della numero 2 di Biden risulta decisivo per far passare determinate iniziative di legge. Se si sfogliano i quotidiani stranieri e italiani è chiaro invece che ci si concentri maggiormente sulla politica estera statunitense, piuttosto che sulle dinamiche interne. Pertanto è molto più facile che si leggano i nomi del presidente Biden, del segretario di Stato Antony Blinken, del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, piuttosto che quello della vicepresidente.
Harris e lo scottante dossier messicano
Terzo, ma non meno importante, Biden ha affidato a Harris la gestione del dossier probabilmente più scottante per l’amministrazione americana: quello dei flussi migratori al confine tra Usa e Messico. La vicepresidente vi si è ritrovata praticamente impantanata, dopo che a giugno – nel corso di una visita nel paese centroamericano – aveva fatto suo l’appello “Non venite al confine”. Era un periodo turbolento, in cui masse di migranti si stavano spingendo verso gli Usa incoraggiati dalle promesse dell’amministrazione Biden di adottare una politica più umana rispetto a quella trumpiana sul fronte dell’asilo.
In verità, come facilmente intuibile andando oltre le logiche propagandistiche, sul fronte migratorio c’è una grande, estrema continuità fra le ultime amministrazioni Usa, indipendentemente dal colore politico. Il presidente che “apre le porte” a chiunque arrivi dal Messico non è ancora arrivato alla Casa Bianca. E probabilmente non ci arriverà mai. Il fatto, però, che a pronunciare le fatidiche parole “Non venite al confine” sia stata proprio Harris – di ascendenze haitiane e indiane – simbolo dell’inclusione e del sogno americano fondato sulle opportunità, ha fatto un certo effetto sull’opinione pubblica dem.
Harris, carta da “rispolverare” per le elezioni di medio termine
Poste tutte queste premesse, vale la pena concludere dicendo che in molti sono comunque convinti che Biden debba “rispolverare” la carta Harris in vista delle elezioni di medio termine 2022 e per frenare l’emorragia di consensi in atto. Così come ha chiesto all’ex presidente Barack Obama di essere molto presente in occasione della COP26 di Glasgow sul clima.
“Building back a better vice presidency”
Lauren Leader, co-fondatrice e CEO di “All In Together”, un’organizzazione di educazione civica femminile, scrive dalle colonne del quotidiano The Hill: “Questa vicepresidente è stata una risorsa in passato. Se lei e Biden saranno intelligenti, sarà di nuovo una risorsa”. Il suo articolo di commento si intitola emblematicamente “Building back a better vice presidency”, parafrasando il nome del piano di spesa sociale da 2.000 miliardi di dollari voluto da Biden chiamato “Build back Better”. In altri termini, Biden avrà bisogno del ticket democratico al gran completo se non vuole trovarsi, nel giro di un anno, a governare il paese con un Congresso in mano ai repubblicani. Kamala Harris, in questo contesto, non può certamente restare nell’ombra.