Schivo, poco amante della ribalta mediatica, attento al basso profilo; eppure estremamente potente e influente. Alessandro Rivera è il Direttore Generale del Tesoro dall’agosto 2018. Ha guidato la macchina dello “Stato nello Stato” del Ministero dell’Economia e delle Finanze negli ultimi tre governi. Diventando, sotto traccia, una delle figure più importanti del mondo del potere italiano.
Una lunga carriera nei ministeri economici
Rivera è nato a L’Aquila nel 1970. Erede di una famiglia storica del capoluogo abruzzese, che affonda la sua presenza nella regione addirittura ai tempi di Federico II di Svevia. Tra i suoi antenati della famiglia Rivera si segnalano Giuseppe fondatore della Società abruzzese di Storia Patria (1888); lo storico Cesare Rivera; e il nonno Vincenzo Rivera, botanico, intellettuale tra i firmatari del manifesto antifascista nel 1925; poi membro dell’Assemblea Costituente, deputato della prima (1948-1953) e della terza (1958-1963) legislatura per la Democrazia Cristiana, co-fondatore e primo rettore dell’Università dell’Aquila.
L’intera carriera di Rivera, laureatosi in Economia, si è svolta sino ad ora entro gli apparati romani del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Nel 2000, in particolare, è entrato nella Direzione per il sistema bancario e finanziario del Dipartimento del Tesoro. Ha ottenuto il primo diretto contatto con l’allora direttore generale Mario Draghi; la sua specializzazione diventano, fin dall’inizio, le crisi bancarie e finanziarie.
Rivera ha cominciato al Mef elaborando i dati dei bilanci delle fondazioni bancarie. Poi è entrato in Cassa depositi e prestiti per rappresentare il ministero stesso. Azionista di riferimento di Via Goito, iniziando a conoscere anche il settore delle partecipate. Al cambiare delle maggioranze, e dopo che Draghi aveva lasciato ai futuri ministri dell’Economia Domenico Siniscalco prima e Vittorio Grilli poi il ruolo di Direttore Generale del Tesoro Rivera non ha cessato di fare carriera, tanto che nel 2008 il ministro Giulio Tremonti, appena rientrato in Via XX Settembre dopo la vittoria elettorale del centrodestra e la nascita del governo Berlusconi IV, lo ha scelto proprio in sinergia con l’allora direttore generale Grilli quale Capo della Direzione per il sistema bancario e finanziario del Dipartimento del Tesoro in cui aveva lavorato diversi anni.
Lo stratega del Tesoro
Con la crisi globale in via di sdoganamento, Rivera viene incaricato da Tremonti e Grilli di lavorare a una proposta di emissione finanziaria; tale da poter gestire al meglio la sfida dell’aumento della capitalizzazione delle banche italiane e il sollievo al debito nazionale. Rivera, a soli 38 anni, si è trovato nel cuore del Mef; guidando il team che a partire dal 2008 mise a punto le obbligazioni studiate per migliorare la capitalizzazione delle banche italiane. I cosiddetti Tremonti Bond. Critico dell’eccesso della speculazione finanziaria, ha contribuito anche a gestire per l’Italia i dibattiti per il progetto europeo di freno allo short selling, la vendita allo scoperto di titoli non direttamente posseduti dal venditore, ma prestati da un fornitore.
Ai tempi del governo Monti, con Grilli promosso titolare del Mef, del governo Letta, con Fabrizio Saccomanni titolare dell’incarico, e degli esecutivi di Matteo Renzi e Gentiloni che videro Pier Carlo Padoan ministro per quasi tre anni Rivera ha espanso la sua responsabilità alle banche in crisi del Centro e Nord Italia. Sua fu la pressone per l’utilizzo del Fondo Interbancario di Tutela Depositi (Fitd) come strumento di soluzione dei problemi degli istituti in difficoltà, cassato dalla Commissione Europea sul caso Tercas in un contesto in cui l’Italia ha avuto poi soddisfazione in sede di Corte di Giustizia Europea.
Già sul finire del 2013 Rivera indicò in Monte dei Paschi di Siena e Carige due banche a rischio, facendone menzione a Saccomanni per interventi strutturali di risoluzione delle crisi. La caduta del governo Letta impedì riflessioni politiche sul tema. Nel 2011, inoltre, è entrato nel board di STMicroelectronics, azienda italo-francese dei semiconduttori, in rappresentanza dell’Italia e del Mef azionista del gruppo.
L’ascesa a Direttore Generale
Il 2 agosto Giovanni Tria, Ministro dell’Economia del governo Conte I, promosse Rivera a direttore generale dopo le dimissioni di Vincenzo La Via in carica dal 2012 (oggi è Ceo di Promontory, la società di consulenza di Ibm). Si era, a quei tempi, nei primi mesi del governo gialloverde. Rivera fu fortemente sponsorizzato da Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per la Lega, ma ricevette fin dall’inizio una fredda reazione da parte del Movimento Cinque Stelle, che durante la discussione della successiva manovra finanziaria individuarono in lui, nell’allora Ragioniere Generale dello Stato Daniele Franco, oggi titolare del Mef, e in Roberto Garofoli, allora capo di gabinetto del Mef e oggi sottosegretario a Palazzo Chigi, la “troika” di tecnici che avrebbe minato le proposte di legge per la politica economica gialloverde inserendo con misteriose “manine” norme sgradite.
Rivera però si è costruito un consenso bipartisan e, dopo la nascita del governo Conte II, Roberto Gualtieri gli ha messo in mano buona parte dei dossier inerenti la gestione delle emissioni strategiche per il contrasto alla pandemia, dal Btp Italia al Btp Futura, la negoziazione con l’Europa sul possibile uso del Meccanismo Europeo di Stabilità e il timing della stagione delle nomine da concordare con Palazzo Chigi. Inoltre, si è dovuta a Rivera l’intuizione di proporre Sace come garante per le emissioni di liquidità durante la pandemia.
L’era Draghi: il Mef diventa il regno di Rivera
Da responsabile di processi chiave a supporto dell’elaborazione e dell’attuazione delle scelte di politica economica e finanziaria del Governo, sia in ambito nazionale che internazionale Rivera si è trovato in un ruolo centrale, da “giovane Draghi” dicevano molti già nel 2020. E quando l’ex governatore della Bce è stato chiamato a Palazzo Chigi da Sergio Mattarella, Rivera ha avuto l’apoteosi della sua carriera.
La stagione draghiana ha imposto un’accelerazione all’importanza del ruolo del Direttore Generale, che ha guidato il Mef da febbraio 2021 ad oggi in una vera e propria diarchia con Franco, nominato titolare del Mef nel ruolo inedito di collante tra il premier e l’apparato di Via XX Settembre.
In sostanza, come un alto comando di un esercito impegnato su due fronti, Franco e Rivera hanno spartito le competenze: al ministro e ai suoi sottosegretari la definizione delle norme concrete, la scrittura del Piano nazionale di ripresa e resilienza coi tecnici e le negoziazioni con le parti sociali, compiti che hanno occupato un’enorme fetta di tempo nei primi mesi del governo; a Rivera il nodo nomine, tra i perni dell’agenda Draghi.
L’uomo delle nomine
Si è creato un vero e proprio triumvirato di fatto per la gestione delle nomine nel 2021 e 2022: quello costituito da Rivera, Draghi e Francesco Giavazzi, consigliere economico del premier. Draghi e Giavazzi concordavano le linee guida dei profili manageriali da scegliere per aziende come Cdp, Ferrovie dello Stato, Snam e Fincantieri, Rivera sceglieva le prime short list da presentare a Giavazzi per una prima scrematura e a Draghi per la scelta definitiva. Un processo che Rivera ha compiuto con il sostegno di Filippo Giansante, economista aquilano come lui, capo della “direzione VII del Mef, Valorizzazione del patrimonio pubblico”, ricorda Il Foglio “l’uomo a cui il direttore generale del Tesoro delega il compito di confrontarsi coi cacciatori di teste per fare una prima scrematura tra i molti pretendenti a guidare le partecipate di stato”.
Rivera è stato al centro di importanti giochi di potere. E per il futuro si è candidato ad essere uno dei grand commis più influenti nel sistema-Paese. Sarà interessante come potrà raffrontarsi con le prossime maggioranze di governo e se il suo potere di influenza, legato alla conoscenza pressoché totale della macchina del Mef, continuerà a rimanere tale. In ogni caso è certo per lui un ruolo futuro da “riserva della Repubblica”. E non va escluso un suo inserimento nel toto-nomi per il ruolo futuro di Ministro dell’Economia. I casi di Grilli e Siniscalco, suoi predecessori come direttori generali, sono in tal senso di buon auspicio.