Giovanni Melillo è il nuovo procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Lo ha nominato il plenum del Csm a maggioranza. Melillo, attuale procuratore capo a Napoli, ha avuto la meglio, con 13 voti a favore, sugli altri candidati: il capo della procura di Catanzaro Nicola Gratteri (a cui sono andate 7 preferenze) e il procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia Giovanni Russo (5 i voti espressi a suo favore).
Il favorito vince la corsa
Melillo prende il posto di Federico Cafiero De Raho, in pensione da febbraio scorso. Alla vigilia del voto, nota Il Fatto Quotidiano, era dato per favorito: “Il procuratore di Napoli in passato ha già lavorato a lungo alla procura nazionale, già pm negli uffici giudiziari del capoluogo campano poi è stato nominato aggiunto e quindi capo. Nel suo curriculum anche una parentesi al Quirinale. Gratteri, magistrato in prima linea da anni contro la ‘ndrangheta, era l’unico che poteva aspirare la poltrona, ma non è andato gli oltre 7 voti che erano previsti”.
La lunga carriere di Melillo
Melillo, 61 anni foggiano di origine, tocca dunque il vertice di una carriera che lo ha visto protagonista di diverse istituzioni. Dopo il concorso da magistrato si è fatto le ossa nel capoluogo partenopeo, in una Pretura che è stata bottega di formazione importante, ideologica e professionale: quella, diventata argomento di mitizzazioni e racconti, nel quartiere Barra a Napoli, al fianco Peppino Fusco e Paolo Mancuso, che sarebbe diventato coraggioso giudice istruttore, coordinatore della Dda napoletana e poi procuratore capo a Nola.
A 31 anni, inquadrato nella “sinistra” del mondo togato in Magistratura Democratica, Melillo compì il passaggio dalla Pretura di piazza San Francesco a Castelcapuano. A inizio anni Novanta, nel pieno degli sforzi antimafia del sistema Paese, come ricordato da Il Mattino Melillo “si occupò di fascicoli importanti, con colleghi più anziani ed esperti come Franco Roberti, Luigi Gay, Antonio Laudati” e lo stesso Mancuso. Con loro lavorò alle inchieste di Camorra “scaturite dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia importanti come Pasquale Galasso o Carmine Alfieri. Rapporti tra politica e camorra e tra imprenditori e camorra, rivisitazione di vicende passate come il caso Cirillo al centro dei fascicoli”.
Otto anni a Napoli (1991-1999) e poi Roma. Negli anni successivi, dopo essere transitato alla segreteria generale della presidenza della Repubblica come consulente giuridico (1999-2001), passa alla Procura nazionale antimafia, dove ha lavorato su casi scottanti, come le bombe del 1993. Nel primo decennio degli Anni Duemila Melillo ha contribuito a mettere in piedi la struttura consolidata dell’Antimafia moderna.
Melillo tra Napoli e Roma
Dal 2009 è tornato a Napoli, dapprima come procuratore aggiunto e, dopo la fase da capo di gabinetto di Andrea Orlando al Ministero della Giustizia (2014-2017) come capo della procura. Come ricorda Il Mattino dopo il suo ritorno a Napoli “agli inizi, gli viene assegnata la responsabilità della sezione dei reati di criminalità comune. E lì infatti segue le indagini sui libri trafugati alla biblioteca napoletana dei Girolamini. Poi il passaggio, che il suo curriculum giustifica, al coordinamento della Dda affidato allora a più magistrati, tra cui anche Federico Cafiero de Raho” suo predecessore all’Antimafia. Eletto a stretta maggioranza, con 14 voti favorevoli e 9 contrari, procuratore di Napoli, nel 2017.
Melillo da procuratore ha messo in campo una struttura simile a quella di altre organizzazioni del resto d’Italia, costruendo una strategia basata su pool e gruppi di lavoro in modo da favorire la formazione di competenze specifiche non solo nei settori tradizionali come antiterrorismo, antimafia, corruzione, ma anche, nota Repubblica, “nei reati collegati a manifestazioni sportive oppure alla violenza giovanile durante la movida”. I risultati della più recente delle inchieste sulla produttività del tribunale hanno prodotto però esiti contrastanti. Nel 2021 Il Riformista ha accusato la Procura di mandare in un nulla di fatto la metà dei processi aperti per i quali non riesce a produrre prove o a costruire capi d’accusa in tempi stretti.
Ora la sfida della carriera
Ciononostante, Melillo ha sempre sostenuto un rilancio dell’azione antimafia da portare soprattutto contro la trasformazione delle organizzazioni malavitose in fornitori di servizi o “terzisti” capaci di prosperare in tanti campi, dalla logistica alla protezione, per la carenza di sicurezza, la percepita assenza dello Stato, la sfiducia pubblica. Ed è alla base di consenso delle mafie che dovrà lavorare per proseguire il lavoro di Cafiero. Per il magistrato partito dalla periferia, si tratterà della più importante e prestigiosa sfida di una carriera arrivata al vertice a 61 anni, età in cui un magistrato tutto si può definire fuorché attempato.