Uffici postali, supermercati, spazi ricreativi, tutto ciò di cui si ha bisogno a soli 15 minuti dalla propria abitazione. Quartieri ben organizzati, completi di ogni tipo di servizio. Il tutto per l’ambiente, la comodità e le relazioni sociali. Ma siamo sicuri sia così semplice realizzare la cosiddetta “Città a 15 minuti”?
La pandemia da Covid-19 ha cambiato improvvisamente e repentinamente il nostro stile di vita e le nostre abitudini. Da un giorno all’altro ci siamo ritrovati chiusi tra le mura domestiche con, per alcuni, la necessità di continuare la propria professione da casa e, per tutti, l’obbligo di svolgere le commissioni indispensabili appoggiandosi esclusivamente ai servizi più vicini al proprio domicilio.
Città a 15 minuti a Parigi: l’idea del docente Carlos Moreno
Questi cambiamenti stanno alla base dell’idea “La Ville du quart d’heure”, teorizzata per Parigi da un docente della Sorbona, Carlos Moreno. Il progetto propone una nuova smart city che possa permettere ai cittadini di raggiungere i servizi – uffici, scuole, supermercati, parchi pubblici, strutture per praticare sport, piazze per cultura e spettacoli, negozi per lo shopping – in pochissimo tempo a piedi o, al massimo, in bicicletta.
Anche in Italia, metropoli come Milano, Roma e Torino, hanno preso in considerazione il progetto soprattutto sulla base di una visione ecologica delle città, con l’intento di rivitalizzare molte zone periferiche, garantendo aria più pulita, nuovi stimoli alla vita sociale nei quartieri, e quindi solidi e duraturi rapporti interpersonali. È indubbio che gli obiettivi alla base della “Città a quindici minuti” siano nobili ma, come si suol dire, “tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare”.
“La città del quarto d’ora è una città che funziona quando hai un certo tipo di densità abitativa” spiega Enrico Puccini, architetto e ricercatore romano, animatore dell’Osservatorio Casa Roma e già collaboratore dell’amministrazione ai tempi della giunta di Ignazio Marino, “altrimenti diventa anti-economica”.
Le nostre città si sono espanse a macchia d’olio e, in alcune aree, la densità abitativa è molto scarsa. Questo quindi precluderebbe quella affluenza di clientela necessaria a far sì che i servizi funzionino come dovrebbero.
“Quando si fa il ridimensionamento dei servizi, soprattutto nelle periferie, è fondamentale il bacino d’utenza. Se questo non è sufficientemente grande da poter garantire l’efficacia di quel servizio, stai buttando dei soldi pubblici”. Ecco quindi la falla. Falla legata ad una particolare mancanza: l’assenza di un sistema di monitoraggio delle città.
“Osservatorio nazionale delle politiche della città”: in Francia esiste, in Italia no
In Francia, per esempio, c’è L’Observatoire national de la politique de la ville – in italiano “Osservatorio nazionale delle politiche della città”, un organismo riconosciuto che effettua ricerche certificate. In Italia non c’è nessun sistema del genere. Un problema, in quanto le città sono in continua crescita e le decisioni vengono prese senza ricerche certificate o dati sostanziali su quello che è l’andamento dei centri abitati. Un po’ come se andassimo in ospedale, spiega Enrico Puccini, e ci sottoponessero ad un intervento senza alcuna diagnosi, ma esclusivamente sulla base delle intuizioni dei medici.
“In Francia, per i progetti di rigenerazione urbana, hanno diviso in griglie da duecento per duecento metri le città e, per ognuna, hanno calcolato il tasso di povertà assoluta. Da qui è nata la teoria dei quartieri di intervento prioritari”. E su questi quartieri, critici e degradati, è stata svolta l’indagine per dare il via alla “Città da quindici minuti”, la quale ha mostrato che proprio in queste zone i servizi non mancano.
Lo stesso discorso vale per metropoli italiane come Roma e Milano, dove lo spazio per i servizi o i servizi veri e propri ci sono, eppure molti sono vuoti, abbandonati o malmessi. “Forse questo dovrebbe fare pensare che la città è qualcosa di più articolato e complesso, che non possiamo ridurre solo alla presenza dell’ufficio postale o della piscina” puntualizza l’architetto Puccini.
Città a 15 minuti a Milano: come fare con l’hinterland?
Si parla anche di una questione strutturale. Specialmente l’hinterland delle nostre città, sono strutturate per le macchine, pertanto una riconversione sarebbe complessa. “Questo progetto andrebbe bene nella città consolidata dove c’è una densità abitativa elevata e la presenza di tessuti urbanistici già predisposti” conclude l’architetto.
A quanto pare quindi, “La città a 15 minuti” rischia di essere, come tanto altro in Italia, uno slogan vincente da urlare ai quattro venti, ma praticabile non oltre le zone centrali delle grandi città. Tutto fumo e niente arrosto insomma.