Perché questo articolo potrebbe interessarti? Giorgia Meloni è volata in Cina per un’importante missione di Stato. A Pechino ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping e firmato un piano d’azione triennale per rilanciare i rapporti economici tra Roma e il Dragone. Gli obiettivi del Dragone e le speranze del governo italiano sono però agli antipodi. Ecco com’è andato il viaggio di Meloni oltre la Muraglia
Per Giorgia Meloni il viaggio in Cina è stato un successo su tutta la linea. La premier italiana è volata oltre la Muraglia nel bel mezzo delle crescenti tensioni tra Unione europea e Pechino, è stata ricevuta dal presidentissimo cinese Xi Jinping e, ciliegina sulla torta, tornerà a casa forte di un piano d’azione triennale firmato con il Dragone da sbandierare come successo diplomatico.
Per Xi Jinping l’incontro con la premier italiana è stato invece meno entusiasmante, e per più motivi. Primo tra tutti: la sua ospite è la stessa che ha stracciato l’accordo sulla Nuova Via della Seta, il progetto infrastrutturale lanciato dallo stesso Xi nel 2013 per allacciare rapporti privilegiati con vari Paesi del mondo.
Il governo Meloni ha anche rafforzato l’alleanza tra Roma e Washington, espresso freddezza nei confronti delle auto elettriche made in China in arrivo in Europa, lanciato messaggi di vicinanza nei confronti di Taiwan. Eppure, nonostante tutto questo, i leader di Italia e Cina avevano necessità di incontrarsi, facendo leva l’uno sull’altro per rilanciare le rispettive immagini internazionali.
Com’è andato il viaggio di Meloni in Cina?
Meloni, dopo aver incassato qualche colpo basso di troppo in Europa, si è riscoperta vulnerabile. Doveva lanciare un messaggio forte, far vedere di essere ancora la “regina” incoronata dall’Economist ed elogiata dalla stampa europea.
La premier italiana ha quindi cercato di utilizzare la realpolitik, proprio come i suoi colleghi Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Viktor Orban.
C’è solo un piccolo problema: l’Italia è stata troppo esplicita e plateale nell’allontanarsi da Pechino e blindare l’alleanza con le democrazie occidentali, gli Usa e la Nato. E non solo per l’uscita dalla Via della Seta, una rottura simbolica che Xi non ha affatto dimenticato.
Al netto di tutto questo, Meloni ha strappato un piano d’azione che definirà i prossimi tre anni della cooperazione bilaterale italo-cinese. È ancora un documento nebuloso, si vedono a malapena i contorni, ma rappresenta comunque una buona base – auspicano a Palazzo Chigi – per riprendere i discorsi con il Dragone.
Meloni vorrebbe riequilibrare i rapporti commerciali con la Cina esplorando nuove forme di collaborazione. Vorrebbe anche approfondire i lavori in campi strategici quali l’intelligenza artificiale, la tecnologia e l’automotive. Secondo il Centro Studi Confindustria, del resto, il potenziale export che l’Italia può ancora colmare nel mercato cinese vale 2,4 miliardi di euro soltanto per i beni di consumo e 2 miliardi per quelli strumentali.
La lettura di Pechino
Meloni, dicevamo, felice e soddisfatta potrà tornare a casa e rivendicare un piano d’azione triennale per sostituire l’ingombrante Via della Seta. Attenzione però, perché il primo ministro cinese Li Qiang ha sì offerto la sponda alla sua ospite, ma ha evocato “lo spirito” della Belt and Road Initiative (“avrebbe assicurato pace, cooperazione e inclusività”) nel ribadire l’opportunità di portare a “nuovi livelli” la cooperazione tra i due Paesi.
Dunque: in qualche modo, tra una perifrasi e l’altra, Pechino è riuscita a rimettere al centro delle relazioni italo-cinesi il concetto di Via della Seta. È una questione più che simbolica per Xi, che ha lanciato la strategia e che intende dimostrare al mondo intero di avere l’aplomb giusto per attirare a sé qualunque Paese. Anche i partner di ferro degli Usa, e pure quelli che avevano scelto di rifiutare la Via della Seta salvo poi “pentirsi”. Nei prossimi mesi vedremo dunque una campagna comunicativa cinese ben diversa da quella italiana.
In ogni caso, la Cina è ancora interessata – e non potrebbe essere altrimenti – a stringere accordi con Roma, desiderosa di ottenere una spinta in materia di investimenti in ambiti industriali strategici come la mobilità elettrica e le energie rinnovabili. I colossi statali cinesi, soprattutto i grandi marchi automobilistici, sono ben felici di investire in Europa per bypassare dazi e polemiche. E visto che l’Italia ha fame di investimenti…