Ottimo meno, trenta, scarsetto, 5.77, buono e mezzo sono alcuni dei giudizi che compaiono sulla copertina (illustrata da Alessio Spataro) del libro di Cristiano Corsini, ‘La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto’. Tutti giudizi a cui siamo avvezzi ma che senza la valutazione, secondo il docente, non mostrerebbero “quali azioni vadano intraprese per migliorare”. Abbiamo intervistato il docente di pedagogia sperimentale per capire come funziona la valutazione e perché è il momento di introdurla nelle scuole.
C’è un momento in cui è stato messo in discussione il voto nel sistema scolastico?
“In Italia la funzione del voto è stata messa in discussione dalla fine del fascismo. Visalberghi e Lodi (entrambi pedagogisti, ndr) negli anni Cinquanta mettevano in evidenza che, essendo la scuola chiamata non a perpetuare le disuguaglianze di partenza ma a promuovere il pieno sviluppo e la partecipazione di tutte e tutti, aveva senso usare la valutazione come elemento trasformativo”.
Come funziona la valutazione?
“La valutazione è un processo che consente di migliorare apprendimento e insegnamento. L’insegnante attribuisce valore a qualcosa che studentesse e studenti hanno realizzato, mettendone in evidenza i punti di forza e di debolezza e fornendo indicazioni concrete di miglioramento. Se vuole essere educativa, la valutazione deve fare i conti con l’autovalutazione. Studentesse e studenti apprendono in maniera più significativa quando imparano a usare la valutazione”.
Mentre il voto come funziona?
“Il voto è una sintesi apparentemente oggettiva, è un “6” o un “sufficiente” che però occulta tutta la soggettività delle decisioni dell’insegnante e non mostra quali azioni vanno intraprese per migliorare”.
La valutazione sostituirebbe del tutto il voto a scuola?
“No. A scuola i voti vanno usati sulle schede di fine quadrimestre e di fine anno. Il problema non è il voto, ma quello che esso, in itinere, rappresenta. I voti non sono obbligatori né vietati nella valutazione quotidianamente svolta in aula ma sono effettivamente utili in funzione rendicontativa esommativa, cioè sono utili a restituire, al termine di un determinato periodo di insegnamento, il livello degli apprendimenti di uno studente o di una studentessa. Pensare che i voti abbiano una funzione formativa significa confondere voto e valutazione. Per questo, usare i voti in itinere è poco sensato, dato che la valutazione in itinere ha una funzione formativa, ovvero ha lo scopo di orientare insegnamento e apprendimento”.
I docenti sono obbligati a usare i voti in itinere?
“Ci sono docenti che si dicono convinti di essere obbligati dalla legge a calcolare la media aritmetica per decidere il voto da presentare allo scrutinio, ma non è così, non esistono leggi simili. L’impiego dei voti in itinere è di fatti ancora piuttosto diffuso”.
Usare i voti ha aspetti positivi per la scuola?
“Non che io sappia. Decenni di ricerche empiriche su concrete esperienze non hanno riscontrato effetti positivi dei voti. Una valutazione incentrata sul voto ha maggiori possibilità di essere una valutazione fondata su una visione riproduttiva (e dunque poco efficace e per nulla equa) selettiva e competitiva dell’insegnamento. Tuttavia, ritengo inappropriato urtare la suscettibilità di chi crede che sia utile usare i voti: da laico, nutro rispetto per le scelte di fede, a meno che tali scelte non abbiano un impatto negativo sull’esperienza di tante persone”.
Perché un insegnante dovrebbe scegliere la valutazione?
“E’ ampiamente dimostrato che la scelta di descrivere quanto svolto da studentesse e studenti e fornire indicazioni concrete su come migliorare non solo rende più chiara la valutazione, ma migliora notevolmente gli apprendimenti e motiva verso un orientamento intrinseco. Al contrario, il voto comporta lo sviluppo di una visione competitiva dell’apprendimento e mercificata del sapere: si studia per andare meglio di Tizio o di Caio o per prendere un bel voto, non per imparare cose belle e significative. E allora, dipende da qual è il nostro obiettivo. Se in itinere vogliamo migliorare apprendimento e insegnamento, è meglio usare riscontri descrittivi. Se invece vogliamo stilare classifiche che di educativo hanno ben poco, usiamo i voti”.
Cosa significa per gli studenti corrispondere a un voto?
“Il voto in itinere spesso è impropriamente usato per calcolare la media aritmetica e quindi è percepito da chi apprende in modo ansiogeno prima, durante e dopo la prova. La prova diventa un momento cruciale da cui scaturirà un numero che, anche in termini proiettivi rispetto al giudizio di genitori e docenti, migliorerà o peggiorerà la media aritmetica. Tutto si trasforma in una competizione insensata”.
Togliendo il voto ne gioverebbe la salute degli studenti e della scuola?
“Eviterei di pensare che basti togliere il voto in itinere per ottenere miglioramenti. Infatti, su ansia e rendimento incidono anche tanti altri fattori e, inoltre, il voto andrebbe sostituito con una valutazione educativa, ma questa richiede competenze metodologiche non banali e non può essere improvvisata”.
I maturandi stanno affrontando proprio ora un periodo stressante. Che cosa ne pensa dell’esame?
“A me pare che, nel complesso, l’esame sia legato a una visione povera della valutazione e, di rimando, della scuola. Il voto finale è eccessivamente ancorato alle medie aritmetiche degli anni precedenti. A differenza di quanto avviene nel corso dell’anno e per gli scrutini, per gli esami è obbligatorio fare riferimento alle media aritmetica. Credo sia opportuno dare maggiore spazio alle scelte e ai ragionamenti approfonditi svolti dalle persone adulte che hanno seguito ragazze e ragazzi, ovvero i loro docenti”.
Esistono scuole italiane che usano la valutazione? Si sono già notati risultati?
“Nel nostro Paese ci sono alcune scuole e alcuni docenti che hanno adottato la valutazione. Ho l’impressione però che sia ancora un fenomeno limitato. Non si tratta di “scuole senza voti”, ma di scuole che praticano in itinere, e senza violare alcuna norma, la valutazione educativa. Il voto c’è, ma sta sulla scheda o, talvolta, anche in itinere, ma solo al termine di un percorso. Sui risultati abbiamo dati, ma il fenomeno in Italia è ancora scarsamente diffuso e per questo le evidenze più robuste provengono da esperienze svolte all’estero, anche se da noi ricerche come quelle di Grion (Valentina, docente, ndr) in ambito universitario confermano che, generalmente, i voti inibiscono l’apprendimento e, al contrario, i feedback lo sviluppano”.
Come si è trovato chi ha scelto la valutazione? Sa se è tornato al voto?
“Noto che istituti e singoli docenti che hanno scelto la valutazione educativa stanno sperimentando un miglioramento degli apprendimenti e nelle relazioni umane e mi pare improbabile che tornino al voto. Tuttavia, credo che nulla sia scontato e che non esistano ricette. D’altra parte, sebbene sia fondamentale conservare un atteggiamento scientifico anche in abito educativo, va ricordato che l’educazione è arte, non scienza”.