Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il vero problema in Sicilia non sembra essere rappresentato dal fatto che Totò Cuffaro voglia riprendersi la scena, quanto da una velata nostalgia di molti nei suoi confronti: il cuffarismo è specchio di un Mezzogiorno dove non è ancora tramontata la cosiddetta “prima Repubblica”.
“Lui è tornato” verrebbe da dire. Salvatore Cuffaro, meglio conosciuto come Totò, è oramai nuovamente tra i protagonisti della politica siciliana e non solo. Lui che a Palermo aveva impiantato un suo feudo e che, forse anche per questo, a un certo punto non è stato più ben digerito da molti dei suoi amici in quel di Roma. Nel 2008, nel pieno del suo secondo mandato da presidente della Regione Siciliana, ha dovuto rinunciare a quel feudo per una condanna per favoreggiamento semplice ad elementi ricollegabili alla mafia. Lui che, da allora, è stato visto come un’ombra aleggiante sull’intera politica dell’isola.
Ritorno? Non se n’è mai andato
Lui, per l’appunto, adesso dice di controllare migliaia di voti tutti incanalati nel suo nuovo partito fondato nel 2020: la Democrazia Cristiana Sicilia Nuova, con tanto di scudo crociato al centro dello stemma. Un logo che non denota una grande fantasia, ma che a Cuffaro consente di avere sei rappresentanti all’interno dell’assemblea regionale siciliana, oltre che una schiera di amministratori, sindaci e assessori in giro per l’isola.
Il ritorno di Totò sta adesso incontrando ostacoli alla vigilia delle Europee. Quel simbolo che, secondo il diretto interessato, vale almeno duecentomila voti al momento non lo vuole proprio nessuno. E questo soprattutto per i trascorsi e per le condanne passate a carico dell’ex presidente. Da qui un dibattito sull’opportunità del suo ritorno. Ma forse la vera questione è un’altra: viene da chiedersi come mai, ad oggi e nonostante tutto, Cuffaro riesca effettivamente ad avere ancora in Sicilia così tanti voti.
I nostalgici di Cuffaro
Quel pacchetto di preferenze che l’ex presidente dice di avere, alle europee rischia di disperdersi: occorre arrivare al 4% a livello nazionale per partecipare alla distribuzione dei seggi, Cuffaro quei duecentomila e passa voti li ha soltanto sull’isola. Dunque, deve allearsi con qualcuno per piazzare propri candidati e mostrare il proprio peso elettorale. Totò Vasa Vasa (uno dei soprannomi negli anni usati per indicare l’ex governatore) ha cercato subito alleanze con l’universo centrista e moderato. Forza Italia ha chiuso le porte, nonostante da Palermo le voci di corridoio hanno parlano nelle scorse settimane di uno Schifani pronto ad accoglierlo, mentre le prime indiscrezioni di accordo con Renzi hanno suscitato malumori e hanno spinto Pizzarotti da +Europa ad Azione.
Infine anche lo stesso Calenda ha negato ogni possibilità di intesa, anzi l’ex ministro ha platealmente affermato, durante una recente tappa in Sicilia, che in un Paese civile l’idea stessa di una ricandidatura di Cuffaro è inaccettabile. In poche parole, la politica a livello nazionale ha preso le distanze dall’ex presidente.
Distanze che però non sembrano essere state prese da una larga fetta di opinione pubblica: “Guardi che se domani Cuffaro si presenta alla regione – dicono a true-news.it fonti vicine alla nuova Dc – vincerebbe a mani basse”. E probabilmente chi afferma questo ha ragione. Chi, da una postazione politicamente a lui vicina, difende Totò Vasa Vasa ha tutto l’interesse a mostrare i “successi” (o presunti tali) del cuffarismo: “C’era per tutti, la Regione era un posto in cui chi aveva bisogno di parlare con il presidente non trovava le porte sbarrate”, è un’argomentazione spiegata da un’altra fonte della nuova Dc.
La politica delle porte bussate
Ma il problema di quegli anni cuffariani è stato proprio questo: concepire la politica come un aiuto da offrire singolarmente a chi bussa alle porte del potere. Che poi, senza ricorrere a molti aneddoti o a tanti giri di parole, è la filosofia della politica democristiana applicata nel sud Italia. Quando nel 2022 è venuto a mancare ad Avellino l’ex presidente del consiglio Ciriaco De Mita, in molti presenti al suo funerale hanno detto di stimarlo proprio perché “dava una mano” e correva per gli amici.
In Sicilia una politica del genere ha rappresentato una lunga costante durante la prima Repubblica, poi con tangentopoli e con la fine dello scudo crociato questa impostazione ha subito un primo ridimensionamento. Ed è su quel vuoto che ha agito il cuffarismo: Totò Vasa Vasa, da presidente, ha rievocato gli anni che furono, ha ridato fiato a una politica di cui molti nell’isola avevano nostalgia.
Il suo ritorno oggi può essere spiegato esattamente nella stessa maniera. La Sicilia su molti aspetti è cambiata, la sua società è diversa rispetto a trent’anni e vent’anni fa, ma c’è ancora uno zoccolo duro di elettori che rimpiange la Dc e rimpiange gli anni della presidenza cuffariana. Anni in cui, per l’appunto, bastava bussare per entrare e bastava chiedere per avere . “Quando c’era lui” insomma, le cose andavano meglio. Cuffaro, per una minoranza non proprio marginale dell’opinione pubblica, sarà stato anche condannato per mafia ma “ha pagato per tutti” e, tutto sommato, “ha fatto anche cose buone”.
Nessuno vuole dimenticare il cuffarismo?
La nostalgia per quello che fu il cuffarismo non è presente solo in chi ha sposato la causa della nuova Dc. Probabilmente è lampante in buona parte dei partiti e delle segreterie presenti sull’isola, ma nessuno vuole correre il rischio di ritrovarsi in posizioni potenzialmente imbarazzanti. Forse non è un caso se l’unico, al di fuori delle corti di Totò Vasa Vasa, ad ammettere questa nostalgia è anche l’unico al momento a non avere un partito: Gianfranco Micciché, ex uomo di Berlusconi a Palermo e oggi messo ai margini da Forza Italia, in una recente intervista al Corriere della Sera ha parlato apertamente del rimpianto per gli anni di Cuffaro.
“Non posso negare – ha dichiarato al quotidiano di via Solferino – che gli anni migliori della Regione siano stati quelli di Cuffaro presidente”. Una frase che l’ex azzurro ha pronunciato più per criticare l’attuale governo regionale che per lanciare elogi espliciti all’ex governatore: “La mafia c’era negli anni Settata con Gioia, Lima e Ciancimino – si legge nell’intervista rilasciata da Micciché – Per il resto, gli affari di Cuffaro sono un problema di Dio. Non mio. Ma la Regione funzionava. C’era un problema? Cuffaro chiamava e io mandavo un tecnico preparatissimo della Programmazione”.
Il Gattopardo della politica
Ad ogni modo, la nostalgia del cuffarismo rende evidente quello che è forse l’elemento più lampante nel descrivere l’attuale situazione: in Sicilia e nel mezzogiorno, non si è ancora pronti a rinunciare a un certo modo di fare politica, non è ancora tramontata l’idea di vedere nel politico una sorta di santone a cui domandare la grazia. Non è stata cioè nei fatti superata del tutto la cosiddetta prima Repubblica. Non proprio una buona notizia per l’isola, per il sud e per l’Italia.