David Gentili lo ha ufficializzato da pochi giorni. Nel 2021? Classe ’64, di professione educatore al Giambellino, il presidente della Commisisone Antimafia di Milano non sarà ricandidato dal Partito democratico a Palazzo Marino, come più volte anticipato da True-News in questi mesi.
“Il Partito Democratico ha deciso di non ricandidarmi in Consiglio comunale” ha scritto Gentili sul suo profilo Facebook. “Mi scrivono – prosegue il consigliere –: Si tratta di una regola che ci siamo dati come forma di rispetto per i militanti e gli amministratori PD che ogni giorno hanno portato e portano sulle proprie spalle questo Partito, anche quelle volte in cui si sentono delusi da fatti nazionali o locali, oppure in generale poco in sintonia con la dirigenza di turno” ma “ovviamente la stima per il tuo lavoro resta immutata”.
David Gentili: “Il Pd ha deciso di non ricandidarmi”
Il post dove il consigliere dem spiega la sua versione dell’accaduto riceve quasi 700 like a 500 commenti. Tutti di solidarietà e complimenti per l’attività svolta come presidente della Commissione Antimafia, che Gentili ha contribuito a far nascere, per due mandati. Tra questi nemmeno una parola da esponenti del Pd milanese. In un partito dove i complimenti reciproci e gli “in bocca al lupo”, anche quelli di circostanza, non mancano mai. Che si tratti dell’avvento di un figlio, di un nuovo incarico professionale o politico, di un compleanno, di un lutto, nel Pd c’è sempre qualcuno a portare conforto dentro le fila della “ditta”.
Cosa ha fatto di così grave Gentili da meritarsi addirittura un silenzio assordante? La versione ufficiale è questa: è stato eletto con il Pd. È uscito dal partito per creare il gruppo “Milano Progressista” assieme a quattro colleghi a Palazzo Marino ai tempi della leadership di Matteo Renzi. E poi è rientrato. Un comportamento che non è piaciuto ai vertici. Brutale ma può starci dentro una disciplina di partito.
David Gentili e Natascia Tosoni, i “rompiballe” Pd
Se non fosse che chi si è comportato in maniera identica, a livello locale o nazionale, non ha subito lo stesso trattamento: Natascia Tosoni – anche lei “testa calda” e rompiballe nel Pd – migrata assieme a Gentili in “Milano Porgressista” e poi rientrata, verrà invece ricandidata su richiesta del suo Municipio di appartenenza, il 5. Nelle ultime ore è girata anche un’altra versione, che ha preso forma per bocca di Anita Sonego. E che suona così: c’è la regola dei due mandati negli enti locali e la si applica a tutti. “Non per difendere il PD ma per amore della verità” scrive Sonego.
La regola – non particolarmente intelligente a meno di non voler prendere a riferimento politico il Movimento Cinque Stelle della prima ora – ci sarà pure e infatti è contenuta nel Codice Etico. Ma è stata violata talmente tante di quelle volte da consiglieri, onorevoli, senatori dem da non meritare nemmeno di essere discussa.
Quei silenzi Pd sull’addio di David Gentili
E allora deve esserci dell’altro. Che giustifica non solo la mancata candidatura – legittima come scelta interna a uno schieramento – ma addirittura il silenzio, senza nemmeno un messaggio di solidarietà. E che affonda nell’attività di David Gentili. L’educatore del Giambellino è un politico con pregi e difetti: ossessionato dall’idea della trasparenza e dal rispetto formale delle regole; quasi ingenuo di fronte ai compromessi che il potere e la politica incombono. Fra i difetti più noti e discussi della sua persona c’è un approccio al limite del fideistico verso la magistratura, soprattutto inquirente, e su cui sicuramente Gentili negli ultimi mesi starà facendo riflessioni e ripensamenti, viste le notizie di cronaca che raccontano come il terzo potere dello Stato sia attraversato da una vergognosa guerra per bande – probabilmente da anni, forse decenni – che fa impallidire le ipocrisie o gli atteggiamenti un po’ al di là delle regole di alcuni esponenti politici.
Però David Gentili ha incentrato i suoi due mandati da consigliere comunale sostanzialmente su una domanda. Tagliente, quasi spiazzante per la sua banalità: di chi sono i soldi che inondano Milano? Non (se) lo chiede quasi nessuno.
Di chi sono quelli di Milan e Inter che vogliono costruire il nuovo stadio a San Siro? È proprio necessario per un club calcistico avere le quote detenute attraverso uno schema fatto da una mezza dozzina di società alle Cayman? O in Delaware? Per pagare meno tasse non era sufficiente il Lussemburgo come paradiso fiscale, servivano proprio le Cayman dove di fatto la proprietà viene schermata interamente? O ancora: di chi sono i soldi che porteranno a compimento i mirabolanti progetti sugli scali ferroviari dismessi in vista delle Olimpiadi 2026? Ma anche in piccolo da dove vengono i soldi che hanno permesso l’apertura di migliaia di bar e ristoranti dopo l’Expo, portando al raddoppio delle attività (dati Federazione italiana pubblici esercizi ) dal 2015 al 2019, in quello che per qualche ragione è stato scambiato per sviluppo economico e ricchezza diffusa della città prima che la pandemia Covid mostrasse il gigante Milano con i piedi d’argilla. Con il suo lavoro nero e i suoi lavoratori senza uno straccio di tutela dove welfare fa rima con “mancia a fine serata”.
Le domande scomode di David Gentili
Al netto di queste domande, a volte anche caustiche, Gentili non ha mai fatto mancare il suo voto ai progetti del centrosinistra meneghino e della giunta Sala: ha votato l’accordo di programma sugli scali ferroviari; ha votato l’interesse pubblico per il nuovo stadio. Chi lo conosce sa che lo ha fatto sempre in bilico: da una parte il voler “stare con il partito”, dall’altra la coerenza con i proprio valori. Prendendosi anche le sue accuse di ipocrisia. Perché, dicono quelli ancora più duri e puri di lui, è inutile fare il bastian contrario sui social e sui giornali per poi votare tutto quando ci si trova in aula con la maggioranza. Ci sta. Ha votato tutto, o quasi, Gentili. Semplicemente chiedendo e chiedendosi: da dove arrivano i soldi nella città che parla in maniera ossessiva degli “sghei” e di come farli più o meno a qualunque costo? Una domanda quasi rivoluzionaria. Che forse non bisognava porre.