Perché questo articolo potrebbe interessarti? Le elezioni in Sardegna hanno lasciato strascichi molto pesanti nel centrodestra, dove adesso è partita la caccia al colpevole per la sconfitta maturata. Fonti del Partito Sardo d’Azione a true-news.it: “Da Roma non hanno ascoltato il territorio”. Ma anche a sinistra non mancano sfide e distinguo interni, soprattutto sulla possibilità di una replica del campo largo.
Quei poco più di duemila voti di differenza a favore di Alessandra Todde hanno scoperchiato un vaso di Pandora. Sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Tutti oggi devono fare i conti con un risultato destinato, a prescindere dal punto di vista, a fare rumore. Sì perché ad esempio a sinistra oggi si festeggia, ma sul domani ci sono già mugugni: è una vittoria del Pd quella maturata in Sardegna oppure è del Movimento Cinque Stelle, partito che non aveva mai conquistato una regione nemmeno ai tempi d’oro? La risposta a questa domanda non è secondaria: in vista delle Europee, la rivendicazione di una vittoria è un elemento molto pesante sul piano elettorale.
Certo è che però gestire una vittoria è più facile che gestire una sconfitta. Forse per questo Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari e candidato del centrodestra sconfitto, prova a fare da parafulmine: “La colpa della sconfitta è solo mia – ha dichiarato alla stampa locale – non c’entra la coalizione, se a Cagliari avessi preso qualche voto in più oggi parleremmo di vittoria della Meloni”. Ma dentro la maggioranza si sta ugualmente palesando eccome un clima da resa dei conti dove, al posto di un’attenta analisi del voto, ad emergere potrebbero essere accuse e veti incrociati.
Truzzu, una candidatura nata male e gestita peggio
Su true-news.it, mentre era ancora in corso il conteggio delle schede, il politologo Lorenzo Castellani ha puntato l’attenzione su due elementi: la differenza tra i voti delle liste, dove il centrodestra ha cinque punti percentuali in più delle preferenze raccolte da Paolo Truzzu, e la scarsa prestazione del candidato della Meloni a Cagliari. Una città quest’ultima amministrata proprio da Truzzu, il quale ha lasciato la poltrona di primo cittadino per avventurarsi nella campagna elettorale regionale: “Il punto – è stato il pensiero espresso lunedì da Castellani – è che la candidatura di Truzzu è nata male”.
Fonti del Partito Sardo d’Azione a true-news.it: “Se da Roma avessero ascoltato il territorio…”
Ed evidentemente, alla luce dell’affermazione di Alessandra Todde, è stata gestita peggio. Il punto molto probabilmente è che agli stessi elettori del centrodestra la scelta di Truzzu è sembrata un’imposizione: “La storia non si fa con i se e con i ma – è la dichiarazione raccolta da TrueNews da un esponente del Partito Sardo d’Azione, formazione del presidente uscente Christian Solinas – ma certo è che se da Roma avessero avuto più rispetto delle indicazioni provenienti dal territorio, certe cose non sarebbero accadute”.
Quello del Partito Sardo d’Azione è il punto di vista di una formazione autonomista, chiamato per indole a rivendicare più spazio dal raggio d’azione dalla politica nazionale. Tuttavia, il nodo del problema potrebbe essere stato rappresentato proprio dal modo con cui si è arrivati alla candidatura di Truzzu: “Vero, da Roma potrebbero dirci che Solinas era molto in basso nei sondaggi – ha proseguito l’esponente del partito autonomista – ma ha visto Truzzu quanto ha preso nella sua Cagliari? Lui stesso ha ammesso le responsabilità. Evidentemente c’è stata superficialità e abbiamo pagato per questo”.
Il nervosismo degli ultimi giorni nel centrodestra
Forse Giorgia Meloni, quando a gennaio ha puntato su Truzzu, si era illusa di aver chiuso la questione interna al centrodestra. Di fronte alla possibilità di una debacle di Solinas, considerato molto poco popolare nei sondaggi, il presidente del consiglio ha tirato dritto sul suo fedelissimo. Con tanto di campagna elettorale iniziata mentre ancora dalle segreterie leghiste si parlava di confronto aperto sul nome del candidato. Meloni ha puntato soprattutto sul peso elettorale di Fratelli d’Italia e sul fatto che, nonostante possibili resistenze iniziali, alla fine il leader della Lega Matteo Salvini non avrebbe potuto fare altro che alzare bandiera bianca e abbandonare Solinas.
La previsione del capo dell’esecutivo non era del tutto errata: con un Carroccio messo alle strette, una convergenza sul sindaco di Cagliari era molto più pronosticabile rispetto a una spaccatura della coalizione. Così è stato, visto che Salvini alla fine ha accettato l’idea di posare Solinas e sposare la causa di Truzzu. I problemi per la leader di Fratelli d’Italia sono però giunti dopo. La fermezza con cui si è arrivati alla candidatura dell’esponente del suo partito non ha rappresentato l’ultimo atto della partita. Nelle ultime due settimane, nel pieno della campagna elettorale, le acque attorno alla Sardegna sono tornate ad agitarsi e non certo per motivi climatici.
Sondaggi e sgambetti leghisti, ipotesi impossibili da verificare
Prima i sondaggi che davano il centrosinistra avanti o comunque in lizza per togliere lo scettro al centrodestra. Poi i sospetti, sempre più forti all’interno della coalizione dell’attuale maggioranza, di un Salvini impegnato a incentivare il voto disgiunto a favore del centrista Renato Soru. Il tutto per fare uno sgambetto al premier e reagire così all’imposizione subita su Truzzu. Ipotesi impossibili da verificare, ma in grado di turbare il sonno ai dirigenti locali di Fratelli d’Italia.
Le sconfitte, si sa, non certo foriere di buoni pensieri. E quei sospetti maturati nelle ultime settimane, oggi stanno avendo l’effetto di una lama nei rapporti tra gli alleati. Così come sottolineato da Repubblica, da Fratelli d’Italia sarebbero partite accuse verso la Lega di aver tradito i patti e aver fatto votare gli avversari. Dal Carroccio avrebbero evidenziato la scarsa prestazione di Truzzu a Cagliari, quasi a evidenziare le responsabilità della sconfitta. Scintille senza dubbio destinate a proseguire anche se, almeno stando a quanto trapelato dai corridoi di Montecitorio, oggi l’obiettivo sarebbe quello di non far trapelare divisioni all’esterno.
Ed ora occhi puntati sull’Abruzzo
Il 10 marzo le urne si apriranno di nuovo, ma questa volta in Abruzzo. L’esigenza di Giorgia Meloni è adesso preservare l’unità della coalizione e presentarsi compatti a L’Aquila. Anche perché in lizza qui c’è un altro suo fedelissimo, quel Marco Marsilio che nel 2019 ha dato a Fratelli d’Italia la prima regione conquistata.
Il presidente uscente dovrà vedersela con un centrosinistra ancora più compatto: se infatti in Sardegna si è parlato di campo largo, per via della candidatura unica di Movimento Cinque Stelle e Pd, in Abruzzo si potrà parlare di campo larghissimo. Lo sfidante di Marsilio, Luciano D’Amico, guiderà una coalizione che va da Alleanza Verdi e Sinistra fino a Renzi e Calenda, passando ovviamente per grillini e dem.
La maggioranza non può quindi subire un altro sgambetto. Mentre, dall’altro lato, c’è la possibilità di fiutare una nuova partita tutta da giocare. Con il Pd di Schlein chiamato a dimostrare il ruolo di leadership della coalizione nei confronti di un Movimento Cinque Stelle galvanizzato dal successo di Alessandra Todde. La sfida abruzzese rappresenterà in tal senso un altro test importante prima delle europee.