Una Caporetto, l’ennesima. Non è bastato il ritorno di Giuseppe Conte come capo-politico per frenare l’emorragia elettorale del Movimento 5 Stelle. Perdute Roma e Torino, insignificanti a Bologna e Napoli, inesistenti a Milano dove non entrano nemmeno nel consiglio comunale: il voto amministrativo sancisce un “bagno d’umiltà” che suona a de profundis per i pentastellati. Aldo Giannuli, storico e politologo dell’Università di Milano, direttore di Osservatorio Globalizzazione, è stato collaboratore del M5S sin dalle sue origini. Ora ci aiuta a tracciare il bilancio della creatura che fu di Gianroberto Casaleggio e oggi pare di nessuno.
Professor Giannuli, cosa rappresenta questo voto per il Movimento?
La conferma definitiva che sono in via di dissoluzione. Personalmente prevedevo un declino dei 5 Stelle già dal 2017, da quando la creatura di Gianroberto Casaleggio diventa di Luigi Di Maio, con le giravolte e i pasticci che ne sono conseguiti. In mezzo c’è stato il successo del 2018, che però parte da lontano, dalla percezione differente che la gente aveva del Movimento. L’elettorato non perdona mai chi non sa cogliere l’occasione storica. Successe la stessa cosa al Pci nel 1976, quando sperperò milioni di voti per votare un monocolore democristiano; seguirono poi 15 anni di decadenza elettorale fino alla dissoluzione. La stessa cosa accadrà ai pentastellati, ma il declino sarà molto più rapido.
Nato in rete, cresciuto a livello locale, ora rimane solo la dimensione nazionale di governo col Pd?
Stiamo assistendo alle conseguenze di un processo irreversibile. Non sono nemmeno sicuro che il Movimento arrivi a presentarsi alle prossime elezioni politiche. Al massimo cercheranno di mascherare il loro insuccesso facendo liste comuni con il Partito Democratico. Inventandosi un improbabile nuovo partito, “la casa comune” di cui sta già parlando Di Maio, di modo di avere un manipolo di deputati fedelissimi.
Possiamo dire che ormai il Movimento sia a tutti gli effetti un partito?
È così almeno dal 2018. Il Movimento è diventato un partito qualsiasi: si maschera come soggetto anti-sistemico, che avrebbe dovuto “aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno”, per poi presentarsi per quello che realmente è. Questo è il vero Movimento 5 Stelle, per questo secondo me non ha più ragione di esistere.
Il Movimento è orientato più a destra o a sinistra? Quali sono le anime all’interno del mondo pentastellato?
Intanto sono convinto che toccheremo con mano la liquefazione durante le elezioni presidenziali, quando si dovrà misurare la compattezza dei gruppi parlamentari. Tantissimi poi inizieranno a bussare in punta di piedi ai vari partititi alla ricerca di una rielezione nel prossimo parlamento – impresa difficilissima, vista la riduzione del numero dei parlamentari. Oltre ai deputati, stiamo assistendo allo scioglimento della comunità: non esiste più il popolo pentastellato. Una parte di questa comunità orfana andrà a votare Fratelli d’Italia – non la Lega, altro partito nato come anti-sistemico e che è finito nel gruppo democristiano del Parlamento Europeo, atto conclusivo ed emblematico della propria parabola; una parte tornerà a votare estrema sinistra o i verdi; forse poi Di Battista formerà un partito con Casaleggio che potrebbe intercettare una fetta di questi esuli. La stragrande maggioranza dei vecchi elettori del Movimento andranno verso l’astensionismo. Si procederà in ordine sparso.
Qual è l’eredita di Virginia Raggi e di Chiara Appendino?
Sono due casi diversi. La Raggi ha governato malissimo, e ha ottenuto quello che si merita – anzi forse anche qualcosa di troppo – da questo voto. Appendino invece non ha fatto male, ma è stata sfortunata: ha avuto l’incidente di Piazza San Carlo che ha sancito l’inizio della fine e un gruppo consigliare di impresentabili che ne hanno fatte di tutti i colori. All’inizio la sindaca di Torino era la più popolare d’Italia, era una persona meritevole. Mentre a Roma si è consumato un disastro di natura incommensurabile.
La prima prova elettorale di Conte è sostanzialmente un fallimento, come pensa che possa rilanciare la sua leadership il capo politico?
Conte? Ci sono tante cose che si possono fare nella vita, non è obbligatorio darsi per forza alla politica…
Intravede nel Movimento una figura che possa “salvare il salvabile”?
Ma cosa vuole salvare più? Ormai siamo al rompete le righe. L’unica cosa che può emergere è una “furbata” alla Di Maio: fare liste comuni con il Partito Democratico per nascondere il fallimento. Non mi è chiaro come il Pd possa accettare una proposta del genere, che non reggerebbe l’analisi costi-benefici. Ormai i 5 stelle rasentano sì e no l’8%, con il cartello elettorale porterebbero al massimo 2 o 3 punti percentuali al Pd, che dall’unione perderebbe moltissimi voti di chi non vuole stare coi grillini.
Grillo, Casaleggio jr, Conte, Di Maio, Di Battista. Chi guida la strategia del Movimento?
Senza dubbio Di Maio, il furbastro di Pomigliano d’Arco. Conte ci ha provato, ma non è stato all’altezza. La candidata che ha candidato a Milano ha preso meno di Paragone. È vero che il Movimento non partiva favorito nelle città al voto, ma peggio di così era possibile fare.
Pensa che l’elezione del Presidente della Repubblica possa rappresentare il canto del cigno o la riscossa?
Sara un momento molto penso, l’ennesimo di questa legislatura. Ci saranno problemi interni, frantumazioni dei gruppi parlamentari e condizionamenti internazionali. Mettere insieme una maggioranza sarà un’operazione folle. Non credo all’ipotesi Draghi, la cosa più seria l’ha detta la Meloni: votiamo Draghi e poi andiamo subito al voto; immagino già “il non se ne parla” di Berlino e di Bruxelles che devono finire di erogarci i fondi del Pnrr. Sarà divertente, ma solo per gli osservatori esterni.