Perché questo articolo dovrebbe interessarti? “In Italia mi riducono gli incentivi fiscali, all’estero mi raddoppiano lo stipendio”. Così la stretta alle agevolazioni fiscali per il ritorno dei “cervelli in fuga”, contenuta nel “decreto Anticipi”, rischia di generare un nuovo esodo. True News ha raccolto gli umori di alcuni giovani lavoratori.
“Considerato il rapporto tra costo della vita e portata dei salari, nettamente a sfavore di questi ultimi, mi troverò costretto a lasciare di nuovo l’Italia, cercando all’estero condizioni fiscali più favorevoli”.
Sembra una beffa: quando qualcosa sembra finalmente funzionare, viene modificata, sabotata, eliminata. E’ quello che sembra stia accadendo in questi giorni agli impatriati con l’approvazione del “decreto Anticipi”.
Gli impatriati, ex cervelli in fuga rientrati in Italia anche e soprattutto grazie alla serie di agevolazioni fiscali emanate nel corso degli anni, sono in subbuglio alla notizia del “decreto Anticipi”, approvato lunedì 16 ottobre. Dirompente il nuovo testo normativo che ridimensiona sensibilmente il regime agevolativo temporaneo a favore dei lavoratori tornati in patria. Una misura che, invece, è risultata particolarmente efficace, favorendo il rientro in Italia di una consistente quantità di persone fisiche nel giro di due decenni. Più di 21 mila solo nel 2021.
La stretta sui cervelli tornati in patria fa discutere
Tra le misure adottate dal Consiglio dei ministri all’interno della manovra economica appena approvata, spicca la stretta alle agevolazioni per gli impatriati. Il nuovo testo normativo sembra ridimensionare in modo impattante l’ambito applicativo degli incentivi. Con proporzionale restringimento dei soggetti che potranno usufruirne. Sia da un punto di vista qualitativo, che quantitativo. Il programma preoccupa molti “cervelli in fuga” tornati a lavorare in patria. Già partita la loro mobilitazione per fermare la disposizione. Su Facebook è infatti attivo il Gruppo Controesodo che ha avviato una raccolta firme e che raccoglie i malumori degli impatriati. Gli utenti commentano così il nuovo decreto: “Lo riteniamo un enorme autogol per il Paese, una iniziativa che manda in fumo anni di durissimo lavoro da parte del nostro gruppo, riuscendo addirittura a peggiorare la prima versione della normativa che si era rivelata totalmente inefficace. Proprio ora che i dati ministeriali avevano iniziato a mostrare un forte aumento dei rientri! Non riusciamo a comprendere come un governo che fa della natalità un cavallo di battaglia vada ad abrogare le norme sul radicamento legate alla presenza dei figli. Non riusciamo altresì a comprendere perché le agevolazioni maggiorate previste per il Mezzogiorno vengano cestinate”.
Nuovo regime di agevolazione per gli impatriati. Ecco che cosa cambia
Ma che cosa cambierà nello specifico rispetto all’attuale regime di tassazione agevolata? Lo descrive bene il Gruppo Controesodo. “Il regime impatriati verrà abrogato e sostituito da un regime depotenziato che sarà di portata inferiore sia nella percentuale (50% contro il 70-90%), che nella durata (5 anni anziché 10), non prevederà un’estensione della durata legata a casa e figli (radicamento) ed è notevolmente più stringente in termini di requisiti per l’accesso (alta qualificazione non meglio specificata)”.
Viene, dunque, limitata nettamente la portata dell’agevolazione. A partire dal 2024, la detassazione passa dal 70% al 50% entro un reddito complessivo di 600 mila euro ed è riservata ai ricercatori e ai docenti che trasferiranno la loro residenza fiscale in Italia dal prossimo anno. Inoltre, il nuovo decreto “obbliga a una permanenza pari alla durata del regime – cinque anni -, pena la decadenza totale con richiesta di restituzione di tutti gli importi più interessi e sanzioni. Da qui la deduzione che i potenziali beneficiari saranno pochissimi”, si legge sulla pagina del gruppo.
Detassazione per gli impatriati: requisiti d’accesso più severi
Forte anche la stretta riguardante i requisiti specifici per beneficiare della detassazione. La fruibilità del regime di agevolazione sarà consentita solo ai lavoratori che non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi di imposta precedente al ritorno in patria. Requisito fondamentale è l’impegno a risiedere fiscalmente nello Stato per almeno cinque anni. L’attività lavorativa dovrà essere svolta in Italia per la maggior parte del periodo di imposta. Inoltre, i lavoratori devono essere in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione, come definiti dalla legislazione speciale in materia. In particolare, risulta necessario il possesso di un titolo di istruzione superiore di durata triennale, che sia riconosciuto dallo Stato italiano.
L’attuale testo normativo sostituisce quindi il decreto Crescita del 2019, che estendeva il beneficio fiscale a tutti gli impatriati che rispettassero i requisiti fondamentali, ma senza obbligo di elevata specializzazione o laurea. Inoltre, il programma appena approvato esclude dal godimento dell’agevolazione chi è titolare di reddito d’impresa. Il regime viene invece confermato per i titolari di reddito di lavoro dipendente, di reddito assimilato a quello di lavoro dipendente e di lavoro autonomo.
Allarme fuga di cervelli. “In Italia mi riducono gli incentivi fiscali, all’estero mi raddoppiano lo stipendio”
Ricercatori, docenti e lavoratori dello sport risultano essere le categorie meno toccate dalle modifiche apportate. Ma tutti gli altri cervelli impatriati? True News ne ha parlato con alcuni under 35 che operano nell’ambito economico-finanziario in aziende multinazionali con filiali in tutto il mondo. “A parità di ore e tipologia di lavoro, risulta più conveniente optare per un trasferimento in una sede estera, dove i salari sono nettamente più elevati rispetto a quelli italiani. Basta andare a Madrid, dove prenderei quasi il doppio del mio stipendio attuale grazie alla legge Beckham, per non parlare dello stipendio offerto dalla stessa azienda nelle sedi in Middle East”, ci ha spiegato uno dei giovani contattati. Opinioni condivise anche dagli altri impatriati.
Il generale ridimensionamento delle agevolazioni per i lavoratori tornati in Italia dall’estero rischia, dunque, di vanificare tutta la serie di manovre e sgravi fiscali messi in atto, fin dal 2004, col fine di favorire il rientro di giovani lavoratori e laureati. Sembra in definitiva che si chieda ai giovani lavoratori di fare ritorno in Italia, proponendo però loro una vera e propria bastonata dal punto di vista fiscale. Non proprio una strategia lungimirante.