La scissione è servita. Dopo mesi di frizioni con Conte, Luigi Di Maio è uscito dal Movimento 5 stelle. Anche se il consiglio nazionale del partito non ha stabilito l’allontanamento, la rottura è netta. Luigi Di Maio ha iniziato la raccolta firme per formare gruppi autonomi a Camera e Senato. Intorno alla nuova formazione “Insieme per il futuro” dovrebbero raccogliersi circa 50 tra senatori e deputati. Nelle prossime ore, riferisce l’AdnKronos, il ministro degli Esteri dovrebbe formalizzare il proprio addio. Ora è proprio sulla permanenza di Luigi Di Maio alla titolarità della Farnesina che si accende lo scontro. I pentastellati vorrebbero la sfiducia, la storia dice che la riuscita della mozione è complicata.
Come si sfiducia un ministro
Differentemente da altri paesi, come Spagna e Inghilterra, il Presidente del Consiglio in Italia non può revocare il mandato a un ministro. L’articolo 94 della costituzione regola la fiducia e la mozione di sfiducia, strumento con cui solo il parlamento può porre fine a tale rapporto fiduciario.
Una prima definizione della procedura è arrivata nel 1986, con la presentazione di una mozione di sfiducia verso l’allora ministro degli esteri democristiano Giulio Andreotti. L’articolo 115 del regolamento della Camera ha previsto che le mozioni a un singolo ministro seguano la stessa disciplina della sfiducia al governo. Devono quindi essere sottoscritte da almeno un decimo dei componenti della camera, discusse dopo almeno tre giorni dalla presentazione, con voto nominale.
La sentenza della Corte Costituzionale su Mancuso
Dieci anni dopo, con la sentenza n.7/1996, la Corte Costituzionale ha posto definitivamente fine alla questione affermando che, se una camera approva una mozione di sfiducia individuale, vi è l’obbligo di dimissioni. Si stabiliva anche la parità tra i due rami del Parlamento. La sfiducia individuale è applicabile al Senato, anche se formalmente è prevista solo dal regolamento della Camera.
Veniva dunque rigettato il ricorso dell’allora Ministro di Grazia e giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, sfiduciato dal Senato. Ad oggi, è l’unico caso di sfiducia riuscita a un membro del governo nell’intera storia repubblicana.
Una su 61
La mozione di sfiducia individuale è una procedura che esiste ufficialmente da anni, ma che è stata scarsamente utilizzata. Dal 1990 a oggi sono state presentate 61 mozioni di sfiducia individuale, di cui solo 27 discusse e votate. Negli ultimi anni il ricorso allo strumento è decisamente aumentato, fino a toccare le 26 mozioni presentate nella scorsa legislatura.
Questo significa che in una sola legislatura sono state presentate quasi la metà delle mozioni di sfiducia individuale presentate in totale nelle ultime 8 legislature. Il gruppo parlamentare che sfrutta maggiormente lo strumento nella XVII legislatura è stato proprio il Movimento 5 stelle: delle 6 mozioni discusse, 5 sono state presentate dal movimento di Beppe Grillo.
Da Andreotti a Speranza
Nella legislatura corrente sono state tre le mozioni di sfiducia a tre ministri: Danilo Toninelli (Infrastrutture, nel governo Conte I), Alfonso Bonafede (Giustizia, nel governo Conte II) e Roberto Speranza (Sanità, nel governo Draghi). Tutte e tre respinte dalla Camera.
Nel corso della legislatura precedente, era finito al centro del provvedimento quattro ministri. Due volte Angelino Alfano (Interno nel governo Letta e Renzi), Annamaria Cancellieri (Giustizia, governo Letta), Maria Elena Boschi (Rapporti col Parlamento, governo Renzi) e Luca Lotti (Sport, governo Renzi).
Tutte mozioni respinte, come la quasi totalità della storia – meno una, quella di Filippo Mancuso del 1995. Dal primo provvedimento contro Giulio Andreotti nel 1986, si è passati a quelli contro altri notabili democristiani: da Donat-Cattin nel 1989 a Giovanni Goria nel 1992. Anche il futuro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha subito un voto di sfiducia nel 1998, quando era Ministro dell’Interno nel governo Prodi I. Si sono intentata poi, senza successo, le sfiducie ai ministri berlusconiani Sandro Bondi, Claudio Scajola, Pietro Lunardi e Francesco Saverio Romano. In tempi più recenti anche contro la ministra del Lavoro, Elsa Fornero.