Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? La carriera alias, diffusa in molte scuole e università a livello internazionale, fatica a radicarsi in Italia pur essendo un mezzo per la tutela per le persone trans. La Regione Lombardia ha presentato una mozione contro questo strumento, ritirata a luglio e poi nuovamente presentata a settembre. Perché la carriera alias rischia di essere bloccata? Che benefici porta a studentesse e studenti trans? Ne abbiamo parlato con Giona Dagnese, attivista trans, omosessuale e disabile.
La carriera alias è un accordo interno e privato tra la scuola, l’università o l’accademia e lo studente o la studentessa affinché si possa usare un’identità alias che corrisponde all’identità di genere della persona, non ai documenti anagrafici, all’interno dei contesti d’istruzione. Quindi da un lato lo studente si impegna a non utilizzare il badge e l’identità fornita dall’istituzione scolastica all’esterno perché si tratterebbe di illegalità e falso. Dall’altro la scuola si impegna a proteggere l’identità dello studente tenendo appunto per sé i dati anagrafici e facendo sì che lo studente possa utilizzare in tutti gli spazi la sua effettiva identità, il suo nome e i suoi pronomi.
Questa misura attutisce quindi il minority stress delle persone trans che non hanno i documenti rettificati, cioè con il nome e il genere d’elezione. Regione Lombardia ha formulato una mozione, voluta da Fratelli d’Italia, per bloccare la carriera alias nelle scuole perché provocherebbe “una serie di gravi problemi giuridici, psicologici e sociali rischiando di danneggiare gli stessi studenti richiedenti”.
Ieri a Milano, davanti alla sede del Consiglio Regionale, studenti e studentesse trans, insegnanti e famiglie si sono riuniti per un sit in e per rivendicare il diritto allo studio e al benessere di tutti, persone trans comprese. Ne abbiamo parlato con Giona Dagnese, attivista trans, omosessuale e disabile.
Perché è così importante la carriera alias per studentesse e studenti trans sia nelle scuole che nelle università?
Come si diceva anche durante il sit in svoltosi ieri a Milano, si può spiegare quale sia l’effetto positivo della carriera alias, che valida la persona trans, la fa sentire vista e le toglie un carico mentale notevole da dover gestire, come i misgendering quotidiani. È però più semplice far capire quanto sarebbe problematico togliere la carriera alias.
Ci sono tantissime persone che senza questo strumento si troverebbero sul registro elettronico, all’appello, sul display, agli esami, in aule universitarie con centinaia di persone chiamate con un nome diverso da quello che è il loro, che utilizzano, con cui sono note da compagni e colleghi. Si troverebbero in una situazione di continuo disagio quando in un ambiente di studio il nostro unico focus dovrebbe essere lo studio, l’apprendimento e la crescita personale. L’interazione con gli altri diventa difficile se non impossibile. Motivo per cui il tasso di abbandono scolastico per le persone trans è e diventerebbe ancora più alto.
Stando ai dati di GenderLens, le scuole in cui è attiva la carriera alias al momento sono solo 231. Osservando il resoconto di Info trans, invece, gli atenei ad adottarla sono 46. Le scuole e le università dovrebbero attivarsi anche in assenza di studentesse e studenti dichiaratamente trans?
Sarebbe ottimale che tutte le scuole superiori e le università la attivassero. Sia per gli studenti che per il personale docente. Anche perché è una misura interna senza costi e senza alcuna fatica particolare richiesta né all’istituzione né ai singoli plessi. Non c’è dispendio energetico o economico, ma maggiore tutela e benessere. Dovrebbe essere uno strumento garantito in tutti i contesti di istruzione.
I dati del report Youth realizzato da ILGA Europe mostrano che tra il 15% (età 15-17) e il 12% (età 18-24) delle persone queer ha pensato di lasciare o cambiare scuola perché LGBTQ+. Le percentuali maggiori riguardano le persone trans (tra il 20% e il 30%). Inoltre più di un terzo (34,43%) delle persone trans e non binarie ha subito discriminazioni da parte del personale scolastico e universitario. Anche alla luce di questi dati in che modo la carriera alias è legata al diritto allo studio?
La carriera alias è legata al concetto di diritto allo studio perché, quando non viene garantita, è frequente che molte persone rinuncino allo studio non accedendo all’università o abbandonando la propria carriera alle scuole medie o superiori. Il tutto per la fatica quotidiana del far valere la propria identità mentre si cerca l’energia per studiare e crescere personalmente. Ci si ritrova anche nella situazione di dover limitare la scelta della scuola o dell’università in base a quali istituti offrano la carriera alias, come nel mio caso.
Come sta andando il tuo percorso d’istruzione in questo senso?
Era ottobre 2020 quando iniziai l’università. Dopo una maturità tra il tragico e il ridicolo e mesi in cui la mia identità di genere mi era scoppiata tra le mani e in camera, l’unico posto in cui potessi stare in lockdown, ero entusiasta di cominciare una nuova cosa, presentarmi con il mio nuovo nome e finalmente secondo il mio genere. Eppure il mio aspetto e la mia voce non erano “abbastanza maschili”, quindi provai a cercare in questa fantomatica “carriera alias” che iniziavo a sentire per le prime volte, la mia salvezza. “No, il rettore è contrario”.
Inutile dirlo, ero all’università Cattolica, l’unica che offriva il corso di laurea che avevo scelto. Tra frequenze miste, misgendering continuo e deadname sul display, mi sono autoconvinto che quella non fosse la facoltà giusta per me. Ho cambiato università e – necessariamente – anche corso di laurea e ora ho la mia carriera alias.
Si tratta di accessibilità negata, di esperienze perse in partenza. E io non mi voglio più perdere nulla, non voglio che la mia comunità e i miei amici perdano opportunità di vita, di studio e quindi di lavoro. Vorrei fossimo persone libere di scegliere per il nostro futuro, anche male magari, ma perché umane e non perché costrette a pescare tra le briciole.