C’è uno spettro che si aggira per i corridoi di Montecitorio, quello di “una donna”. Tra la rielezione di Sergio Mattarella, la promozione di Mario Draghi e l’ascesa di Silvio Berlusconi si frappongono molti possibili outsider, ma all’atto pratico nessuno di genere femminile. Tra le infinite incognite sul voto per il Quirinale c’è una sola certezza, o quasi: anche per i prossimi setti anni possiamo scordarci una donna a Capo dello Stato. È una questione politica e di genere, ma soprattutto di nome: quello che tra tante meline i partiti progressisti non hanno ancora tirato fuori.
La sinistra inclusiva solo a parole
Non bastano dichiarazioni, dirette, influencer e calzini arcobaleno, se poi alla resa dei conti la sinistra è inclusiva solo a parole. La lotta per la parità di genere è difficile, diventa però impossibile se chi da programma se ne erge a paladino e poi lo fa solo sulla carta o sui social.
“Ottimo incontro con @GiuseppeConteIT e @robersperanza [nota per il Social Media di @EnricoLetta: mettere nome]. Lavoreremo insieme per dare al Paese una o un Presidente autorevole in cui tutti possano riconoscersi”.
Le grandi manovre del campo progressista partono da una dichiarazione a tweet unificati, da cui non traspaiono divisioni: solo incertezza e ambiguità. La politica è l’arte del compromesso, ma per una trattativa servono nomi, non identikit: è il Quirinale, non I soliti ignoti. “Una o un presidente” è un giallo che non si tinge per nulla di rosa.
Donne in tutte le cariche principali dell’Unione Europea
Praticamente nelle stesse ore, un accordo – qualche tempo fa si sarebbe parlato di inciucio – tra tutti i partiti dell’Europarlamento ha portato una donna – senza virgolette, puntini di sospensione o parentesi da far riempire ai social. Ad eccezione del Consiglio guidato da Charles Michel, ci sono donne in praticamente tutte le cariche principali dell’Unione Europea. Sono tutte donne conservatrici: di destra o centro, banchiere o ministre, ma non di sinistra.
Roberta Metsola, nuova presidente del Parlamento europeo, è una conservatrice maltese. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, è una conservatrice tedesca. Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, è una conservatrice francese.
Leader progressiste? Bisogna spingerci in Scandinavia
Allontaniamoci da Bruxelles, ma restando in terra straniera perché del resto, si sa, l’erba del vicino è sempre più rosa. Da tempo all’estero sono attenti alla gender equity, anche il fatto che dobbiamo ricorrere ad inglesismi è un fatto – la tendenza non cambia. Valérie Pécresse e Marine Le Pen sono due candidate all’Eliseo – la candidata socialista Anne Hidalgo versa in cattive acque, osteggiata dal partito. La confinante Germania ha avuto per sedici anni una cancelliera: Angela Merkel, conservatrice. Il Regno Unito ha avuto due premier donne, Margaret Thatcher e Theresa May, conservatrici. Per trovare donne di sinistra che siano a capo del governo bisogna andare fino in Finlandia, Svezia o Islanda.
Fotografia impietosa per la sinistra italiana
Una fotografia impietosa che si può tranquillamente sovrapporre al mondo progressista di casa nostra. L’unica donna che, pur essendo ben lontana dall’essere favorita, ha qualche chance di salire al Colle più alto della politica è Marta Cartabia. Anche con fantasia difficilmente etichettabile come di sinistra. Paola Severino è stato un sussurro, più mediatico che politico. Emma Bonino ha una lunga militanza politica e come attivista e internazionale, in ogni caso non in partiti o associazioni di sinistra.
Non abbiamo mai avuto un capo dello stato o una premier donna, ma anche nelle prime cinque cariche dello stato le donne sono in minoranza, quelle di sinistra una rarità. Al momento c’è solo la Presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, di Forza Italia che si aggiunge ad altre quattro donne che nella storia sono state alla guida della Camera (Nilde Iotti, Irene Pivetti e Laura Boldrini) o della Corte costituzionale (Marta Cartabia). Solo Iotti e Boldrini erano di partiti di sinistra: Pci e SEL.
Dei 24 dicasteri del governo Draghi, otto sono gestiti da ministre, uno solo è affidato a una donna espressione del Campo Aperto progressista: la Cinque Stelle Fabiana Dadone.
Marta Cartabia è indipendente, così come Maria Cristina Messa e Luciana Lamorgese; Elena Bonetti è di Italia Viva; Erika Stefani è leghista, Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini di Forza Italia. Insieme, Partito Democratico e LeU annoverano quattro ministri, ma nessuna ministra.
Donne al vertice? Bisogna guardare a centrodestra
Negli anni il centrodestra non ha certamente fatto della questione di genere un proprio cavallo di battaglia, ma ad oggi ha l’unica donna leader di partito (Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia), l’unica donna ai vertici dello stato (Casellati, Forza Italia) e l’unica Presidente di regione (Donatella Tesei, leghista che guida l’Umbria dal 2019).
E la sinistra? Se in Europa tentenna, in Italia sembra proprio immobile. Le uniche donne alla guida di una formazione politica sono Beatrice Brignone (segretaria di Possibile) e Viola Carofalo. Enrico Letta, appena ritornato alla segreteria, aveva messo due donne alla guida dei gruppi parlamentari, Simona Malpezzi per il Senato, Debora Serracchiani per la Camera. Poi nulla, fino a questo “serve una donna”, una riedizione annacquata delle quote rosa.