La partecipazione femminile alla vita politica e alle decisioni pubbliche è una componente essenziale sul cammino del riconoscimento dei diritti delle donne, ma purtroppo la piena uguaglianza rimane ancora un traguardo molto lontano. Secondo i dati raccolti da UN Women la parità di genere nelle posizioni di leadership di governo non sarà raggiunta prima di 130 anni.
Ad oggi sono solo 18 i Paesi che hanno una donna come capo di Stato e 15 come capo di Governo. Globalmente le donne detengono appena il 23% delle cariche ministeriali e solo in Ruanda, a Cuba, in Nicaragua, in Andorra, in Messico, in Nuova Zelanda e negli Emirati Arabi Uniti il numero delle parlamentari è uguale o supera lievemente quello dei colleghi maschi. I dati migliorano un po’ a livello di governo locale o regionale, dove le donne costituiscono in media il 35% dei membri eletti, percentuale che tocca il massimo (41%) nei Paesi dell’Asia centro-meridionale e il minimo (20 %) in quelli dell’Asia occidentale e del Nord Africa.
La rappresentanza politica femminile nel mondo
Se un basso livello di rappresentazione femminile in politica è sicuramente indice di scarso interesse sociale verso i diritti delle donne e la parità di genere, non è però sempre vero il contrario. La presenza di donne nei governi, nei parlamenti o addirittura in ruoli di leadership non implica necessariamente né una maggior attenzione istituzionale alle questioni di genere né una maggiore ed effettiva partecipazione delle donne ai processi decisionali.
È il caso dell’Uganda, Paese che ha introdotto le quote di genere per le elezioni nel 1989 e oggi ha un parlamento composto per il 34% da donne. Nonostante questo la partecipazione femminile rimane limitata e le politiche ugandesi continuano a scontrarsi contro stereotipi di genere e contro un sistema determinato a mantenere lo status quo maschile a tutti i costi. L’elettorato ugandese, ad esempio, si è abituato a pensare che, dal momento che le donne hanno dei seggi riservati a loro, debbano restare fuori dalla competizione per le altre cariche.
Secondo Laura Hood, editor della sezione politica del The Conversation, la responsabilità di questa situazione è da attribuire principalmente ai partiti e al loro modo di organizzarsi e funzionare. Nonostante molte organizzazioni politiche dichiarino nello statuto che la rappresentanza femminile al loro interno debba essere almeno il 40% oggi la maggior parte si attesta ancora attorno al 30%. Inoltre, spiega Hood, la distribuzione del potere continua a reiterare stantii stereotipi di genere.
Il ruolo delle donne in Africa
I compiti e le posizioni riservati a uomini e donne sono diversi. La carica di presidente, ad esempio, rimane riservata agli uomini mentre alle donne tocca quella di vice. La struttura interna inoltre contribuisce all’esclusione delle donne dai processi decisionali: così dalle sezioni femminili dei partiti ci si aspetta che si occupino di stimolare la partecipazione politica delle donne o che si facciano carico dei problemi sociali. Le donne vengono coinvolte per gestire gli aspetti logistici o per mobilitare l’ elettorato femminile durante le campagne elettorali ma le loro istanze, conclude Hood, difficilmente vengono incluse in agenda.
Una situazione simile si riscontra anche in Tanzania, uno dei pochi Paesi africani guidati da una donna. Ma la presidenza di Samia Suluhei Hassan in realtà non fa che confermare ciò che Hood ha già evidenziato per l’Uganda. Hassan, infatti, ricopre la carica dal 2021, in seguito al decesso del suo predecessore allora in carica, John Pombe Magufuli, di cui era la vicepresidente.
Anche la Tanzania, come l’Uganda ha in vigore un sistema di quote rosa dal 1992 che prevede che il 30% dei seggi in parlamento sia riservato alle donne. Oggi le parlamentari tanzaniane sono il 37,5% (anche se solo 10,2% è stato scelto direttamente dall’elettorato) il che ha contribuito a far passare, in anni recenti, alcune leggi a favore dei diritti delle donne, ma secondo Hood l’effettiva uguaglianza non si è ancora realizzata pienamente.
Le donne alla prova della politica
“Se da un lato i partiti hanno soddisfatto i requisiti di legge nominando delle donne ai seggi speciali, dall’altro rimangono dei dubbi su come si impegnino per aumentare la partecipazione femminile al loro interno”, scrive.
Così come in Uganda anche i partiti tanzaniani tendono a dare vita a sezioni femminili che di fatto escludono le donne dai processi decisionali, i quali rimangono ancora saldamente in mano agli uomini.
La presenza delle donne nelle organizzazioni politiche nelle istituzioni pubbliche rimane un elemento fondamentale per costruire una società più equa e giusta e sicuramente deve restare un caposaldo delle richieste e delle lotte per i diritti delle donne. I casi studio di Uganda e Tanzania però ci mostrano come la mera presenza non sia un criterio sufficiente, ma è necessario che ci siano anche le condizioni perché le donne possano esercitare il potere che le loro cariche conferiscono e agirlo liberamente, senza vincoli o barriere.