Un lungo “Quarantotto” globale sta andando in scena e la pandemia, con il suo impatto, sta accelerando l’anarchia globale in un mondo sempre più policentrico. La globalizzazione, sia prima che dopo il virus acceleratore, è stata un fenomeno capace di destrutturare sistemi complessi e ha portato scossoni importanti a livello politico. Tra rivolte, colpi di Stato, sommovimenti intestini e crisi politiche diversi Stati stanno sperimentando da tempo un caos e un’imprevedibilità crescente che ha conseguenze rilevanti per Paesi come l’Italia. Ritrovatisi più volte a doversi tutelare in Stati dove si trovano fondamentali da presidiare ma in cui spesso la politica estera non ha saputo prevedere sommovimenti e cambi repentini di stabilità sistemica. Il caso recente del Kazakistan è in felice controtendenza con quanto avvenuto invece, a lungo, in Libia (anzi, nelle Libie) e in altri scenari.
Usa e Russia-Cina, un clima da nuova “Guerra Fredda”
Il mondo è reso ancora più inquieto dal clima geopolitico di nuova “Guerra Fredda” apertosi nell’ultimo decennio, gradualmente, tra gli Stati Uniti da un lato e l’atipico duo Cina-Russia dall’altro. La quale di fatto scarica nelle periferie, mettendole al centro, la rivalità geopolitica e strategica tra i Paesi leader, schiacciando un’Europa sempre più marginalizzata e costretta a pagare il prezzo politico, economico e strategico della tendenza globale all’anarchia. Come già anticipato dalla crisi del terrorismo islamista, in cui la pressione del disastro americano e della rivalità con Mosca in Medio Oriente si scaricò sul Vecchio Continente in termini di insorgenza degli attentati.
La competizione tra Occidente e Oriente è entrata in una nuova fase
Limitando lo sguardo all’ultimo triennio assistiamo al procedere convergente di tre fattori. In primo luogo, un moltiplicarsi delle proteste di piazza, delle rivolte contro i governi, delle tensioni. In secondo luogo, una crescita graduale dei colpi di Stato e dei rovesciamenti di governi di diversi Paesi per mano politica e militare, riconducibile alle dinamiche della “nuova Guerra Fredda”. In terzo luogo, una crescente incapacità dell’ordine internazionale di definire chiaramente la soluzione di crisi di vari “punti caldi”. Trasversale a ciò, il processo di centralizzazione delle periferie. Teorizzato dall’analista geopolitico Emanuel Pietrobon su Osservatorio Globalizzazione come il definitivo consolidarsi di “guerra fredda 2.0, competizione tra grandi potenze e terza guerra mondiale a pezzi. Diversi termini, medesimo significato: lo scontro tra i senili alfieri dell’unipolarismo e i promotori giovani e insofferenti del multipolarismo”. Una fase accelerata dal 2021 in avanti, secondo Pietrobon, dal cambio di amministrazione negli Usa: “Gli eventi che stanno avendo luogo dai Caraibi all’Oceania (ci) dicono, anzi (ci) confermano, qualcosa che i più acuti osservatori avevano già intuito: il ritorno dei Dem alla Casa Bianca è stato lo spartiacque che ha sancito l’entrata della competizione tra Occidente e Oriente in una nuova fase, molto più bellicosa e globale della precedente”.
Le proteste esplose in varie parti del mondo
Sul primo fronte, le proteste hanno iniziato ad accelerare a partire dall’Autunno Caldo globale dell’ottobre-novembre 2019. Mentre gli occhi del mondo erano puntati sul centro, Parigi e Hong Kong, animate da scontri di piazza e problematiche legati al braccio di ferro tra governi, settori della società che si sentivano marginalizzati e rivendicazioni sociali, le periferie si incendiavano. Proteste di vario tipo prendevano piede in Iraq, Cile, Libano, Venezuela, Egitto: diversi casi (Libano, Cile) sommavano la richiesta di riforme economiche e sociali, in altri casi si chiedeva la caduta del governo (Egitto) o la si otteneva (Sudan e Libano). Altro tema ricorrente in molti casi era quello della corruzione (Venezuela, Iraq, Cile, Libano).
Dalla pandemia in avanti, hanno iniziato a ribollire le periferie calde dell’ex impero sovietico: Bielorussia e Kazakistan, ove si denuncia la problematica di élite cleptocratiche e corrotte, si sono infiammate nel quadro di una strategia di puntellamento dei confini della Russia che è funzionale al contenimento desiderato dagli Usa, ma i governi filo-statunitensi di Polonia, Ungheria, Romania hanno dovuto affrontare manifestazioni legate alla denuncia di limitazioni dei diritti civili (Varsavia sull’aborto), sociali (Ungheria) o trasparenza (Romania, ove la lotta alla corruzione è oggi dominante in campo politico) mano a mano che la loro valenza strategica ha preso piede per la Cina, intenta a penetrare nella regione, e la Russia.
Colpi di Stato: un secondo trend in crescita
I colpi di Stato hanno rappresentato un secondo trend in crescita. Un golpe, in Mali, nel 2020; cinque più il “golpe bianco” della Tunisia, nel 2021. Nuovamente il Mali, Paese cruciale per la stabilità dell’Africa centrale sede di traffici e delle rotte migratorie, assieme al Sudan oggetto di un rovesciamento di governo dietro cui si intravede la mano della Russia, tornata centrale geopoliticamente nella regione, a cui si sono aggiunti Ciad, Guinea e, in Asia, il Myanmar, a testimonianza di un mondo fattosi sempre più inquieto. La “strategia della tensione” reciproca operata dalle grandi potenze scarica alle periferie del mondo la rivalità. E per un Paese come gli Usa o la Cina può essere, ad esempio, più conveniente favorire un processo volto a rovesciare un governo alleato dei rivali in Myanmar o Ciad piuttosto che spendere risorse nell’influenzare e piegare un Paese non allineato.
Si può invece leggere la mano cinese dietro i processi volti a destrutturare i resti dell’ Impero francese nel cortile di casa degli Stati Uniti, che finora ha investito le cronicamente sottosviluppate Martinica e Guadalupa. Qui, ci ricorda Pietrobon, “è accaduto che delle rivolte popolari contro le restrizioni sanitarie, iniziate il 17 novembre, abbiano coartato l’Eliseo a inviare dei reparti speciali per ripristinare l’ordine nelle Antille francesi. Una mossa concepita per intimorire gli abitanti dei dipartimenti d’oltremare e che, lungi dal sortire l’effetto sperato, ha esacerbato gli animi e determinato un’escalazione tale da spingere il titolare degli affari oltremare, Sébastien Lecornu, a promettere l’avvio di un dialogo in materia di autonomia”. La Cina spera che questo apra le porte a un’indipendenza di due isole favorevolmente orientate ai suoi investimenti, mentre gli Usa parallelamente favoriscono l’opera di de-statualizzazione delle Isole Salomone, in Oceania, promuovendo la causa secessionista di Bougainville dopo due anni di esecutivo filo-cinese nell’arcipelago.
Venezuela, Siria, Libia e Ucraina: ferite non ricucite nell’ordine mondiale
I vasti rovesciamenti di fronte in diversi campi hanno fatto da controparte a una serie di scenari in cui, invece, situazioni di crisi si sono cristallizzate nel quadro della rivalità tra le grandi potenze. Venezuela, Siria, Libia, Ucraina rappresentano altrettante ferite scoperte e non ricucite nell’ordine mondiale che non trovano via d’uscita a causa del braccio di ferro tra gli attori primari del globo.
L’Italia e il rischio di marginalizzazione nel “Grande Gioco” globale
Per Paesi come l’Italia questo si sostanzia in una marginalizzazione nel “Grande Gioco” globale e nell’imposizione di un ruolo di seconda fila che espone a shock politici, economici, diplomatici. Aumentando il rischio securitario nel “mondo inquieto”, l’esposizione dell’Italia e dei suoi attori economici a improvvise crisi in territori non presidiati. Il Kazakistan insegna però che laddove il Paese fa sistema ed è presente, si trovano gli anticorpi per limitare i danni e reagire preservando il ruolo dell’Italia nel mondo . Destinato altrimenti ad essere eroso mentre il mondo si fa sempre più anarchico e gli Stati incapaci di avere una strategia sono sbattuti nelle correnti agitate della globalizzazione post-Covid. In cui chi non sta all’erta è perduto e destinato ad esser logorato ai fianchi in ogni periferia che, mese dopo mese, si fa centro.