L’ars oratoria è da sempre uno strumento della comunicazione politica. E, in tempi di campagna elettorale, slogan, espressioni e modalità di rivolgersi all’elettorato caratterizzano il linguaggio di ogni candidato.
True-News.it ha chiesto un’analisi di questa prima parte di campagna a Flavia Trupia, amministratrice di “Per La Retorica”, il primo sito italiano dedicato alla retorica, che svolge attività divulgativa e offre corsi e momenti di approfondimento.
Partiamo da Giorgia Meloni, la vera protagonista di questa campagna elettorale, accreditata, secondo molti sondaggi, a trionfare alle prossime elezioni.
Mi ha colpito il video che ha pubblicato in tre lingue il 10 agosto, nel quale parla inglese, francese e spagnolo in modo spigliato. Sembra stia cercando di trovare un antidoto al topos secondo il quale la destra è popolata da personaggi incolti e beceri. Che cos’è un topos? È quell’argomento stereotipato e di sicuro successo, che ricorre nella letteratura e nei discorsi. Giorgia Meloni cerca di ribaltare questo topos, mostrandosi come una statista poliglotta. Non solo. Ostenta anche pacatezza e un approccio filo-europeo. Un’inversione a U, rispetto al comizio in Spagna del giugno scorso, pronunciato per sostenere Macarena Olona di Vox alla presidenza dell’Andalusia.
Un altro aspetto che noto è l’argomento della coerenza. Mi capita spesso di fare due chiacchiere sulla politica con persone di ambienti diversi. Molti dicono di apprezzare la leader di Fratelli d’Italia per la sua coerenza negli anni, anche se il video trilingue è di fatto una marcia indietro su tanti fronti. Sento dire: “almeno è coerente!”. Giorgia Meloni cavalca questo sentimento: “Scegliete chi ha fatto della coerenza la sua bandiera” (tweet del 1º agosto 2022). L’argomento della coerenza funziona perché, nel dibattito pubblico, essere coerenti è generalmente considerato un valore di per sé. Faccio un esempio che ovviamente non ha nulla a che vedere con Giorgia Meloni, che usa legittimamente questa argomentazione. Per parlare di coerenza in generale, non della leader di Fratelli d’Italia, possiamo immaginare che anche Jack lo Squartatore, come tutti gli assassini seriali, fosse coerente. Ma nel suo caso non era evidentemente un valore!
Un’altra strategia interessante della comunicazione di Giorgia Meloni è l’iperbole, una voluta esagerazione. Tutti siamo retori e tutti usiamo le iperboli, per esempio quando diciamo “è un secolo che ti aspetto!”. Per dare forza all’argomentazione del “blocco navale” contro gli sbarchi dei migranti, Meloni afferma: “In questi anni le politiche di immigrazione della sinistra hanno gettato nel caos la nazione” “le coste sono prese d’assalto”. Una cosa è il controllo dei flussi migratori, altra è essere un Paese assediato.
Un altro personaggio che è spiccato nelle ultime settimane è Carlo Calenda, definito “bullo” o – citando Dagospia – “il Churchill dei Parioli”.
Calenda adora quella che possiamo chiamare reductio ad buonsenso. Non è latino, è un latinorum che fa il verso alle fallacie classiche. Il leader di Azione dà valore a ciò che dice, classificandolo come una scelta di “buon senso”, che esula dalla ideologia di destra o di sinistra: “In Italia ci sono tante cose da fare che non sono né di destra né di sinistra, ma solo di buon senso” (tweet 10 agosto 2022). Ma è “buon senso” o è il “suo” personale senso? Su questa scia, si avvale anche di una definizione retorica. Funziona così: si dà una definizione a una parola che non è da vocabolario, ma che piuttosto esprime un proprio punto di vista. La forza della definizione retorica sta nel tentativo di affermare la propria visione di un concetto, sostituendola a quella più diffusa. Mi spiego meglio. Il “cane”, invece di essere un mammifero della specie canide, può essere quel cucciolone che, ogni volta che torno a casa, mi accoglie come una regina o quella tortura che, piova o nevichi, mi costringe a buttarmi giù dal letto ogni mattina.
L’altro aspetto di Calenda che possiamo notare è il suo doppio registro. A volte è affabile e amabile, altre è aggressivo. Quando racconta il suo curriculum su Instagram è simpatico come il compagno di classe con il quale andresti a mangiare la pizza, per poi diventare quasi offensivo quando, a seguito della rottura dell’alleanza con il Pd, accusa Letta di dire bugie: “Enrico, non raccontare balle! Sapevi esattamente quello che sarebbe accaduto!”. Questo doppio registro spiazza l’uditorio che non sa fino a che punto può fidarsi
Come si caratterizza la retorica di Silvio Berlusconi?
Berlusconi è ancora legato alla comunicazione televisiva, che è stata la sua forza. Nel suo profilo Instagram, per esempio, riprende i servizi tv che lo riguardano.
Interessanti i suoi video della pillola: “Una pillola al giorno leva il medico di torno. Una pillola al giorno, nel nostro programma leverà di torno i signori della sinistra”. Si serve di un espediente della retorica che si chiama argumentum ad populum. È una fallacia logica che induce a pensare che qualcosa è vero o giusto, perché lo sostengono in tanti, oppure perché è confermato dalla saggezza popolare di un proverbio. E noi sappiamo che i proverbi sostengono tutto e il suo contrario. In più c’è l’elemento della parodia: prendo un detto che sta nella testa delle persone e lo trasformo. Ma non troppo, perché deve suonare familiare. Altrimenti il gioco non funziona.
Ma c’è di più. Il set dal quale Berlusconi parla ci ricorda la sua discesa in campo nel 1994: la scrivania, la libreria le foto con le cornici d’argento posizionate in favore di camera. Sembra il set di una fiction anni ’90.
E per quanto riguarda Matteo Salvini?
Una sua caratteristica è l’ignoratio elenchi, anche detta red herring, fallacia dell’aringa rossa. Serve per portare l’attenzione su un tema che ci fa più comodo o su un nostro cavallo di battaglia. L’abbiamo usata tutti a scuola, cercando di portare l’interrogazione su un argomento che avevamo studiato.
Una forma di ignoratio elenchi è il benaltrismo. Per esempio, quando nelle interviste viene fuori l’argomento dei suoi rapporti con la Russia, Salvini afferma che le preoccupazioni degli italiani sono altre, come le bollette del gas e il costo del carrello della spesa.
L’ignoratio elenchi diventa post per i social, quando il leader della Lega riporta immagini che rimandano ai buoni sentimenti. Faccio un esempio. Ha pubblicato una foto di due anziani di spalle che camminano abbracciati: “un pensiero ai tanti anziani, nonne e nonni, che in questi giorni di ferie e di città vuote aspettano una parola, un sorriso, un abbraccio”. Nessuno può essere esplicitamente contrario a questa affermazione di buoni sentimenti. È un post che genera un sicuro consenso.
Altra strategia di Salvini è l’autenticismo, il proporsi come personaggio genuino e non costruito. In un comizio il 23 luglio a Domodossola ha dichiarato: “Mi mangio la salsiccia e sudo […]. Non ho mai visto Letta sudato”. Si crea un’equivalenza: sudare=essere autentici; non sudare=non essere autentici.
Veniamo a Enrico Letta.
“Io voglio vedere in ognuno di noi gli occhi di tigre” è una metafora con la quale Letta ha voluto motivare i suoi. L’uscita ha generato prese in giro e meme, probabilmente perché è un’espressione lontana dal suo stile pacato, di ragionatore. Le parole che scegliamo devono essere vicine alle nostre caratteristiche personali come oratori: nel caso di Letta, il linguaggio del corpo (actio) dice una cosa e l’espressione pop della tigre ne racconta un’altra. Questa contraddizione lascia spiazzati. In generale, il segretario del Pd è rigido: quando parla muove poco le mani, oppure ne muove solo una; sorride poco e risulta sempre un po’ accigliato. Invece, quando sorride, mostra delle fossette che lo rendono simpatico. Potrebbe usarle come arma comunicativa.
Inoltre, essendo un ragionatore, non è un maestro di eristica, l’arte di ottenere ragione a tutti i costi con battute fulminanti e brevi, indipendentemente dalla loro veridicità. Forse il confronto con Giorgia Meloni, previsto per il 22 settembre a Porta a porta, potrà far emergere la verve che ha mostrato nel dibattito televisivo alla tv francese con Marine Le Pen, nel marzo scorso. Staremo a vedere.