Veltroni instancabile. Il 20 novembre approderà in sala il suo ennesimo film da regista, questa volta su Lucio Dalla. Intanto, coglie l’occasione della guerra Israele-Hamas per glorificarsi di nuovo agli occhi degli italiani. Un’impresa titanica, certo. Che, però, gli riesce. L’ex sindaco di Roma, nell’ambito di un lungo articolo per il Corriere della Sera, si profonde nel racconto di un aneddoto risalente e venti anni fa. Ossia quando sarebbe stato a tanto così dal veder sbocciare la pace tra i due popoli ancora oggi in sanguinoso conflitto.
Veltroni e quella volta che…
Correva l’anno 2001 e lui, da soli 90 giorni primo cittadino della Capitale, ricevette una telefonata da Shimon Peres. “Mi chiese di organizzare a Roma, in gran segreto, degli incontri tra i due capo-negoziatori che avevano definito l’accordo di Oslo, dieci anni prima. Uri Savir, amico e consulente di Peres e Abu Ala, allora presidente del consiglio legislativo palestinese”. Incontri che, svela, avvennero da agosto a dicembre di quell’anno.
Nel mezzo, nota di intenso colore, il terribile attentato alle Torri Gemelle. Ma anche una cena da cui, a quanto pare, Veltroni si sarebbe defilato poco prima che i due trascorressero la notte e a redigere una bozza di punti comuni per la pace. Bozza che venne poi, evidentemente, disattesa. Ricordate quando Maurizio Crozza imitava Flavio Briatore parlando della sua vita da “shogno”? In salsa politica, ma qui siamo da quelle parti, proprio stesso campionato. Solo che uno dei due scherza(va). L’altro, no.
Veltroni, gli è rimasta solo l’aneddotica melensa
Veltroni, “un politico che ha sfiorato il premierato e oggi fa il gossipparo strappalacrime”. Così lo descrive Luigi Mascheroni su Il Giornale, in un affilatissimo pezzo del 2022. In effetti, però, non va tanto lontano da quella che sembrerebbe essere la realtà: a Veltroni oramai sono rimaste due cose: la macchina da presa e l’aneddotica melensa. Praticamente il contemporaneo antenato di una qualunque influencer famosa per i propri malanni ma che, al posto di raccontar quelli ogni giorno, si dedica alla puntuale cronaca dei ricordi che pur possiede. Soprattutto quando questi ricordi possono rendergli gloria.
E, curiosamente, possono sempre, non scioperano mai. Così, oggi leggiamo di Veltroni che organizza pure una cena con Uri Savir e Abu Ala, insieme a Shimon Peres: “Eravamo noi quattro, in un clima di preoccupazione e di speranza. Quella notte, andati via Peres ed io, i due negoziatori lavorarono fino all’alba a un testo che chiamarono «Rome understanding». Si configurava come un piano dettagliato di tappe volte a riconoscere e garantire l’esistenza di due stati e la sicurezza di Israele”. Walter Veltroni anche ispiratore di pace. Davanti a uno spaghetto cacio e pepe, chissà.
Veltroni e la scoperta dell’ovvio: la pace comporta fatica
Veltroni nel 2001 sarà pur arrivato a tanto così dalla risoluzione delle controversie tra i due popoli. Però, come di dimostrano questi strazianti e sanguinosi giorni, non è bastato. Per quanto, il nostro non manca di farlo notare, ancora oggi quel «Rome understanding» sia considerato “una utile base di discussione per una soluzione politica del conflitto israeliano palestinese”. E che sia considerato tale nientemeno che da Yael Dayan, figlia di Moshe. Purtroppo, all’epoca tutto andò in fumo non appena i due capo-negaziatori lasciarono il nostro bel Paese (e Veltroni, s’intende). Perché Sharon, di fatto rompendo la segretezza delle trattative, lo diede in pasto ai giornali, delegittimandolo. Deve essere a questo punto che l’ex sindaco di Roma ha cominciato a interrogarsi su quella che sarebbe diventata l’ovvia chiosa del suo pezzo, ovvero su quanta fatica comporti un percorso verso la pace. Del resto, lui lo sa bene, chi se non Walter, ci era arrivato a tanto così. Lo immaginiamo asciugarsi il sudore dalla fronte lucida, scuotendo il capo, affranto. Oggi, come nel 2001. In sottofondo, Futura di Lucio Dalla.