“Il giallo del Cancelliere”. Così titola la Bild, il giorno dopo di un’elezione che ha un vincitore, il candidato Spd Olaf Scholz al 25,5%, ma non un capo del governo. I risultati preliminari diffusi dalla commissione elettorale confermano il sorpasso dei socialdemocratici sulla Cdu di Armin Laschet, fermo al 24%: il peggior risultato di sempre. Sembra che Angela Merkel dovrà continuare a guidare la politica tedesca ancora per un po’, seppure nelle vesti di facente funzione. Il governo si formerà dalle trattative tra i partiti. Spd e Cdu sono alla ricerca di un programma coi Verdi – che, col 15% raggiungono un risultato storico, seppur deludente rispetto ai pronostici della vigilia – e i Liberali di Fdp al 11,5%. Fuori dai giochi sono Alternative für Deutschland – sia Scholz che Laschet hanno escluso negoziati con il partitio di destra radicale, in calo al 10%, ma pur sempre fortissimo nei lander dell’Est – e la Linke che rischia di non superare la soglia di sbarramento al 5%.
Abbiamo chiesto a Edoardo Toniolatti, cofondatore del blog collettivo Kater sulla Germania e curatore della newsletter RESET2021 sulle prossime elezioni politiche tedesche, di commentare questo voto decisivo per gli equilibri di tutto il continente europeo.
Dottor Toniolatti, che paese si è scoperto la Germania questa mattina?
La Germania si è svegliata scoprendo che saprà chi sarà di preciso il prossimo cancelliere e nemmeno quale forma avrà il prossimo governo. Nonostante questo, è possibile individuare un chiaro vincitore: Olaf Scholz e il suo Spd; e uno sconfitto certo: Armin Laschet e tutta l’Union Cdu-Csu. Per il resto non ci sono certezze sul futuro. Nonostante il peggior risultato della storia dei cristiano-democratici, non è affatto detto che alla fine il premier sia il leader della Spd.
E adesso che succede? Chi governerà e soprattutto quale coalizione?
Tutto dipenderà dai due quasi certi partner di minoranza del prossimo governo: i liberali della Fdp e i verdi. I liberali hanno conseguito uno dei migliori risultato della loro storia, mentre i Grünen non sono andati bene come ci si aspettava alla vigilia, ma il destino del governo rimane nelle loro mani. Saranno questi due partiti a decidere chi sarà il prossimo partner di maggioranza del governo. Rispetto alle dichiarazioni immediatamente successive al voto – quando entrambi i concorrenti rivendicavano il diritto alla premiership – stamattina Laschet e i notabili della Cdu hanno iniziato ad abbassare i toni e a riconoscere la sconfitta. Stanno provando a proporre un’offerta per costruire una coalizione Giamaica coi verdi e i liberali. I democratico-cristiani non possono godere della pretesa di guidare questa prima fase negoziale: si fa sempre più chiara la tremenda sconfitta anche dentro il partito.
Nel 2017 si è votato a settembre, ma il IV governo Merkel è arrivato solo a marzo 2018. Quanto tempo dovremo aspettare ora per quali sono le basi programmatiche per avviare il post-Merkel?
Tutti hanno parlato di un periodo “non breve”, ma soprattutto Scholz ha espresso l’augurio di arrivare a un governo prima di Natale. Vista la situazione, è abbastanza probabile che anche quest’anno il discorso di fine anno lo terrà Angela Merkel, che ricoprirà il ruolo di cancelliera ad interim fino alla nomina del nuovo esecutivo. Anche sul programma non mancano le difficoltà. Se da un lato non mancano le vicinanze tra verdi ed Spd a cui fa da contraltare la lontananza coi liberali; specularmente, Union e liberali sono vicini su tanti temi quanti quelli che li distanziano dai verdi. Occorrerà capire quali sono i temi fondamentali su cui verdi e Fdp decideranno di non fare concessioni. Sin da ieri nella tavola rotonda a commento dei risultati la candidata verde Baerbock è stato molto chiara: le questioni ambientali saranno una conditio sine qua non per cominciare qualsiasi trattativa; il problema è che alcune misura cozzano clamorosamente con le posizioni dei liberali che hanno sempre puntato su uno scudo contro l’innalzamento delle tasse e contrari allo schwarze Null, il freno al debito temporaneamente sospeso durante la pandemia e che Scholz vorrebbe reinserire già nel 2023.
Exploit della Spd di Scholz o debacle della Cdu? Chi sono i due candidati premier e cosa ha comportato vittoria e sconfitta nella tornata elettorale?
Le due affermazioni sono entrambe vere. È stato un trionfo della Spd, soprattutto di Olaf Scholz. Non dimentichiamoci che fino a qualche settimana fa i socialdemocratici lottavano per un 15% ed erano fuori da ogni discorso per la nomina del cancelliere. In pochi mesi, soprattutto grazie al suo candidato, da sempre tra i favoriti dei tedeschi, ma osteggiato dalla crisi irreversibile del partito, sono riusciti a ottenere questo enorme risultato, impronosticabile fino ad aprile. Scholz esce dal voto rafforzato, nonostante non sia ufficialemente il leader del partito – lui è dell’ala centrista, dentro una Spd che a livello di leadership è più orientato a sinistra – ne è di fatto diventato il dominus: ora ha in mano la Spd.
Di contro fa la performance terrificante dell’Union di Laschet che dimostra come, da un lato, il partito non abbia ancora trovato una via per uscire dalla stagione Merkel; dall’altro sia ancora alla ricerca di un leader – una serie incredibile di gaffe ha dimostrato come Laschet non sia stato all’altezza – e di un’identità politica.
Nonostante i risultati, Laschet continua a spingere per partecipare alle trattative perché sa che, se non dovesse raggiungere la cancelleria o una posto nel governo, il suo tempo sarebbe finito. Molti notabili lo hanno già scaricato: la Cdu sta già preparando un nuovo congresso.
Ritiene improbabile un ritorno di Angela Merkel, anche dopo la fase di transizione?
Merkel rimarrà in carica fino all’insediamento del nuovo governo. Ma è assolutamente impensabile che rimanga dopo quella data: non è nello scenario degli eventi. Su questi temi i tedeschi sono piuttosto affidabili.
Veniamo ai partner di minoranza della probabile prossima coalizione: mezzo tonfo per i verdi e grande exploit per i liberali. Saranno questi due partiti a dettare l’agenda?
A dettare l’agenda è probabile che non saranno questi due partiti, che però avranno il ruolo di “king maker”: saranno loro a scegliere il partner di maggioranza, Spd o Cdu. Questo rende più forte la loro influenza sul nuovo esecutivo, in cui però, è bene ricordare, saranno in minoranza. Potranno strappare molto: da sempre Christian Lindner, leader dei liberali, punta al ministero del Tesoro, il che potrebbe cozzare con le politiche economiche dei verdi; dal canto suo, Baerbock punta a un forte ministero dell’Ambiente o dell’Energia, e questo potrebbe creare problemi coi liberali. Liberali e verdi avranno voce in capitolo, ma dovranno essere abili a non annullarsi. Questo darebbe spazio al ritorno della Große Koalition, stavolta a leader invertiti: Spd-Cdu.
Una cosa sembra evidente: c’è sempre meno spazio per i partiti radicali in Germania, Alternative für Deutschland a destra e la Linke a sinistra.
Il discorso è più complesso. Da una parte, la sconfitta della Linke è inappellabile: sono scesi sotto la soglia minima del 5% (rimarranno nel Bundestag solo perché hanno ottenuto abbastanza mandati diretti); è una debacle totale che lascia presagire una rifondazione. Da sempre la Linke è un partito diviso al suo interno e questo risultato non farà che esacerbare queste divisioni.
Il risultato di Afd invece merita un’analisi più attenta. È vero che hanno perso in termini assoluti: 2 punti in meno rispetto al 2017, non saranno più il terzo partito in parlamento e il principale d’opposizione. Se però andiamo a vedere più a fondo, hanno radicato ancora di più la loro presenza nell’Est. Afd è il primo partito in Sassonia e Turingia, vincendo tantissimi mandati diretti. Ha perso qualcosa in quella che è tutt’altro che una sconfitta: la sua morsa si stringe sempre più e si prepara ad essere una forza sempre più imprescindibile per le elezioni locali. Potremmo assistere a elezioni in Lander dove Afd sarà il primo partito, uno scenario a cui la politica tedesca è totalmente impreparata.
Cosa comporta il voto tedesco per l’agenda europea?
È una bella domanda, perché c’è una cosa che non è affatto comparsa in campagna elettorale è proprio la politica estera. Se n’è parlato pochissimo. Da un certo punto di vista, le forza più europeiste, che mirano a una collaborazione tra stati membri e traslazione di sovranità a Bruxelles, sono i verdi e la Spd. Dall’altro lato ci sono elementi che spingono verso la strategia merkeliana di gestione delle questioni continentali: rapporti tra capi di stato, maggiore rilevanza del Consiglio rispetto alla Commissione e al Parlamento. Dipenderà moltissimo da chi sarà il cancelliere, e di quale governo.
Un’appendice al voto è stata la vittoria del referendum – non vincolante – a Berlino per l’esproprio dei grandi gruppi immobiliari. Cosa pensa che possa comportare questa consultazione per la Germania?
È una situazione ironica: tra i maggiori promotori di questo referendum vittorioso c’era la Linke, la grande sconfitta delle elezioni federali; anche la candidata a sindaco dei verdi, Bettina Jarasch, non ha vinto. È improbabile che gli effetti possano farsi sentire fuori Berlino. La Linke puntava sul referendum per provare a inserirsi nelle trattative del governo – facendo leva sull’innesco di un dibattito su questione immobiliare, tetto agli affitti e allargare alla possibilità di esproprio a livello nazionale – solo che il pessimo risultato nazionale preclude ogni speranza.