Fossimo nell’Unione sovietica di Stalin, li avrebbero bollati come controrivoluzionari e il destino sarebbe stato quello di trascorrere una decina d’anni (almeno) in un Gulag. I comunisti duri e puri di casa nostra – cioè una galassia di partitini che si contende la purezza del verbo marxista-leninista: oltre una decina, che insieme mettono insieme poco più dell’1,5 % quando si presentano alle elezioni – li bollano come revisionisti.
Chi sono? Una serie di personaggi che hanno occupato le cronache politiche quando militavano nel Pci e oggi continuano a far parlare di loro, anche se hanno cancellato le tracce del loro passato di comunisti. Intendiamoci: esserlo non è mai stato un reato. Piuttosto, è curioso come questi personaggi oggi si trovino in alcuni casi addirittura dall’altra parte della barricata, con alcuni di loro diventati paladini estremi del sovranismo. Sarebbe quindi più corretto parlare di apostasia, l’abbandono della dottrina alla quale avevano aderito soprattutto in gioventù. Una defezione dalla fede, sulla quale molti hanno costruito le proprie fortune.
Chicco Testa
Chicco Testa, leggiamo dal sito di Assoambiente di cui è presidente, “è attualmente A.D. di Telit Spa, Presidente di Sorgenia Spa, Presidente di E.VA. Energie Valsabbia Spa, Presidente di Proger Spa. E’ Presidente FISE Assoambiente dal luglio del 2018. Ha, tra l’altro, ricoperto ruoli di vertice in aziende come Enel, ACEA, Wind ed è stato Presidente di CISPEL. Dal 1987 al 1994 è stato eletto parlamentare alla Camera dei Deputati, dopo essere stato per 7 anni Segretario Nazionale e poi Presidente di Legambiente. Testa è stato Presidente di Assoelettrica, nonché membro dell’Expert Advisory Committee all’interno dello European Carbon Fund. È giornalista e pubblica su diversi quotidiani e riviste. È stato Professore universitario incaricato presso le Università di Roma (Luiss), Macerata e Napoli”. Non notate nulla? Testa dice di essere stato per sette anni deputato ma non per quale partito. Lo diciamo noi: fu eletto una prima volta con il Pci e, a svolta della Bolognina avvenuta, col Pds: nato “incendiario” ambientalista, diventato “pompiere” come boiardo di Stato, Testa preferisce non far sapere di essere stato comunista.
Fabrizio Rondolino
Oggi scrive di comportamento animale sul Corriere della Sera, partendo dalle esperienze dirette che ha con i propri cani e i propri gatti. Non è un etologo ma un giornalista, del suo passato comunista si legge solo nei risvolti di copertina dei libri che pubblica: dirigente della federazione giovanile comunista italiana di Torino, la sua città, ha lavorato all’Unità, servizio politico, per entrare poi nello staff di Massimo D’Alema. Era uno dei cosiddetti “D’Alema boys”, i “quarantenni (a inizi anni 2000) fedelissimi di D’Alema, che dovevano traghettare la sinistra dalla barbarie della “diversità” e del moralismo alla new left postmoderna ed europea. La svolta, all’epoca, portò Luciano Consoli (ex esperto per l’editoria) a mettersi in affari con l’ex ministro Dc Vincenzo Scotti, fondando una società che si sarebbe aggiudicata la gestione delle sale Bingo nelle diverse città italiane; Fabrizio Rondolino (che di D’Alema premier era stato portavoce) a diventare responsabile, per conto di Mediaset e quindi di Berlusconi, dell’ufficio stampa della prima edizione del reality Il Grande
Fratello; Claudio Velardi (ex consigliere personale di D’Alema) divenne manager di Reti, una società di lobbying per le aziende. “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”: il verbo marxiano fu interpretato in maniera molto elastica, adeguandolo ai tempi e al nuovo corso di una “sinistra moderna” dai “ragazzi” del capo, oggi travolto dallo scandalo della presunta intermediazione della
vendita di armi alla Colombia per conto di Leonardo.
I “Lothar Boys” di D’Alema
L’elite dei D’Alema boys, erano invece Marco Minniti, Nicola Latorre, Claudio Velardi e lo stesso Rondolino (Gianni Cuperlo era l’unico che aveva i capelli ed è l’unico rimasto fedele a se stesso) finirono perfino in un lungo servizio sulla patinatissima rivista Capital
allora edita dalla Rizzoli. Minniti, come ministro dell’Interno, ha attuato politiche che non si possono certo definire di sinistra. La sua deriva securitaria, soprattutto in tema di immigrazione, aveva fatto esultare i giornali di destra, mentre a criticarlo erano solo Avvenire e Il
Manifesto. La sintesi più aderente alla realtà riuscì a Maurizio Crozza che, imitandolo, gli mise in bocca la frase “Se noi del Pd vogliamo vincere le elezioni non possiamo lasciare il fascismo ai fascisti”. Minniti condivide con un altro ex Pci la passione per il manganello. Parliamo dell’attuale presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, cresciuto nelle fila della Fgci, che da primo cittadino Ds di Salerno venne
ribattezzato “il sindaco sceriffo” per le politiche di controllo del territorio svolte in alcuni casi in prima persona alla guida di pattuglie della polizia locale, che volle dotare di sfollagente. Dall’archivio di Repubblica, 9 settembre 2006: “Destra, sinistra… frottole – replica De Luca alla sua maniera rispondendo anche al sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino -. So che i vigili nelle nostre città affrontano anche persone
violente, magari armate di coltello o di una bottiglia rotta. Tra restare vittime di un’aggressione e l’uso della pistola d’ordinanza abbiamo scelto un dissuasore, per difendersi”.
Alessandro Meluzzi, dieci partiti e tre religioni
Comunista è stato perfino Alessandro Meluzzi che ha cambiato dieci partiti e tre religioni, ma sostiene di “essere rimasto coerente”. Oggi è uno dei principi del complottismo, esponente no vax e no Green Pass, che condivide le teorie di Qanon. Nel 2015 lo psichiatra torinese si è autoproclamato “primate, metropolita e arcivescovo di una Chiesa ortodossa non riconosciuta dalle Chiese ortodosse, con il nome ecclesiastico-patriarcale autoimposto di Alessandro I e il trattamento onorifico di Sua Beatitudine. Un modo per rimanere legato alla Russia anche da non comunista? Quasi superfluo aggiungere che oggi Meluzzi è filo Putin.
E dalla stessa parte della barricata è schierato l’attore Enrico Montesano: dopo un anno da consigliere comunale a Roma con il Pds, “Er Pomata” di “Febbre da cavallo” venne eletto al Parlamento europeo con 144mila preferenze, secondo solo al segretario Achille Occhetto. Dopo la breve esperienza a Bruxelles (fu lui a dimettersi “contro l’Europa dei burocrati”) Montesano comincia col dire che “destra e sinistra non esistono più”, esulta per l’elezione di Gianni Alemanno a sindaco di Roma, si innamora dell’antipolitica dei Cinque Stelle. Per finire oggi ad arringare il popolo no-mask. Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva… Quanto aveva ragione Giorgio Gaber.