Un bandiera mediatica che diventa un caso. E inevitabilmente un problema per la sinistra. La vicenda di Aboubakar Soumahoro, sindacalista per i diritti dei braccianti e ora neo deputato, è una storia da manuale di come l’immagine di un eroe che, probabilmente, non lo era davvero.
Fango mediatico per Soumahoro
E non è certo il primo a passare dagli elogi sperticati allo scetticismo e all’abbandono. Dalle stelle alla stalla, si direbbe, polarizzando l’opinione pubblica tra i critici feroci e i sostenitori a prescindere. Il parlamentare ha comunque deciso di autosospendersi dal gruppo Alleanza verdi-sinistra, che lo aveva inserito in lista garantendogli un posto pressoché blindato alla Camera. La sua candidatura e la conseguente elezione sono state accolte con grande gioia: Soumahoro sembrava destinato a ritagliarsi un ruolo da potenziale leader.
Poi la storia della cooperativa Karibu, che fa capo alla suocera e in cui anche l’attuale compagna del deputato ha avuto dei ruoli, ha inferto un duro colpo alla sua immagine pubblica. Con il marchio di non aver “visto” gli sfruttamenti che denunciava altrove. Lui ha promesso chiarezza ed è sicuramente necessaria viste le ultime rivelazioni.
La triste parabola dell’eroe Mimmo Lucano
Ma, appunto, non è l’unico idolo che ha deluso i sostenitori: dall’uomo che indossava gli stivali, al debutto a Montecitorio, al fango mediatico che lo ha travolto in poche ore. Una parabola simile è stata quella dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, diventato negli anni un simbolo per le politiche sull’accoglienza, artefice del modello-Riace. Nel piccolo Comune arrivavano i migranti, trovando un’integrazione sociale attraverso il meccanismo del primo cittadino.
Per questo Lucano era stato descritto come un eroe, salvo finire alla sbarra con l’accusa di associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abusi d’ufficio. Proprio a fine ottobre è stata formulata la richiesta di 10 anni e 5 mesi nel processo d’Appello. Lucano, ravvisando alcune affinità tra le vicende, ha voluto esprimere la propria solidarietà a Soumahoro. «È una delegittimazione mediatica che si ripete sempre uguale quando qualcuno si batte per la tutela dei diritti delle persone più deboli. È un conto da pagare, quasi un effetto collaterale obbligato», ha commentato l’ex primo cittadino del Comune calabrese.
La colf di Boldrini
Un’altra storia simile ha riguardato l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, paladina dei diritti delle donne, finita nel tritacarne per le accuse rivolte da una ex collaboratrice. Secondo la versione della donna, che la deputata aveva scelto per coadiuvarla nel lavoro parlamentare, avrebbe svolto mansioni al di fuori del suo perimetro di competenza. «Ero assunta come collaboratrice parlamentare e pagata dalla politica per agevolare il lavoro di un parlamentare, ma il mio ruolo era anche pagare gli stipendi alla colf, andarle a ritirare le giacche dal sarto, prenotare il parrucchiere», raccontò l’ex collaboratrice. E in quei giorni pure l’ex colf di Boldrini lamentò la mancata liquidazione spettante dalla fine del contratto di lavoro.
L’ex presidente della Camera, oggi a Montecitorio in qualità di deputata del Pd, si difese, dicendo: «Mi aspettavo da loro che, se ritenevano che ci fosse con me qualche problema, me ne parlassero direttamente e non tramite un giornale, tutte due insieme poi». L’immagine di paladina dei diritti è uscita comunque ridimensionata. Una parabola paradossale è stata quella di Piercamillo Davigo, ex componente del pool di Mani Pulite ed esponente di punta del giustizialismo, che si è ritrovato con un rinvio a giudizio sul conto per l’ipotesi di reato di «rivelazione di segreto d’ufficio» nell’ambito dell’inchiesta sulla loggia Ungheria. Secondo i pm, suoi ex colleghi, Davigo avrebbe fatto circolare i verbali delle testimonianze rese dall’ex avvocato esterno Eni, Piero Amara.
La galassia degli eroi decaduti
La galleria di vicende simili tocca politici del passato più remoto, come Antonio Di Pietro; alla più prossima Monica Cirinnà; fino all’evergreen Massimo D’Alema. Ha fatto storia la frase di Di Pietro, incalzato dal programma di inchiesta Report, «mia moglie non è mia moglie». Riferimento agli affari di famiglia che hanno oscurato la stella dell’ex star di Tangentopoli, con il figlio Cristiano che finì sotto inchiesta, colpendo l’immagine di cavaliere senza macchia.
E ancora l’ex senatrice del Pd Cirinnà. La madrina delle Unioni civili, è stata coinvolta nella vicenda dei 24mila euro ritrovati nella cuccia del suo cane a Capalbio. A chiudere il cerchio c’è D’Alema che da leader della sinistra, che ha il pacifismo nel dna politico, si è trasformata in mediatore per la vendita di armi in Colombia. L’ex presidente del Consiglio precisò di non averlo fatto per tornaconto personale: «Ho aiutato delle imprese di Stato senza prendere un euro». Una posizione legittima, ma come insegna il caso Soumahoro non sempre servono implicazioni giudiziarie per minare un profilo pubblico.