L’Europa si trova di fronte a sfide geopolitiche di peso notevole tra minacce alla sua sicurezza, ascesa di vecchie e nuove potenze, rilancio degli investimenti in Difesa e per Paolo Alli la competizione globale impone adattamento e programmazione. True-News dialoga con il politico lombardo, già deputato e presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato, alla vigilia di cruciali elezioni europee in cui Alli è candidato nelle file di Alternativa Popolare, il partito guidato dal sindaco di Terni Stefano Bandecchi. In vista delle quali legge le sfide geopolitiche dell’Europa.
L’Europa va al voto in una fase di acuta volatilità e crisi geopolitica globale. Che sfide attendono il Vecchio Continente e l’Ue dopo il voto sul piano degli equilibri internazionali?
L’Europa deve abituarsi ai cambiamenti rapidi e frequenti imposti dalla competizione globale. Non si può più pensare che possa ancora esistere nel mondo una stabilità come quella che ha caratterizzato gli equilibri geopolitici fino a qualche anno fa. Il combinato di pandemia e guerre ha impresso una velocità vorticosa ai mutamenti di scenario. Il Vecchio Continente è, per storia, cultura e tradizione, il blocco più penalizzato da questi nuovi equilibri. La valorizzazione delle giovani generazioni e la capacità di trattenere i migliori cervelli sono un compito improcrastinabile per le istituzioni europee e nazionali: i giovani costituiscono per natura la parte più resiliente delle nostre società. La velocità di cambiamento del mondo impone anche alla Unione Europea una capacità di reazione che oggi essa non ha. Il maggior ostacolo è il permanere dell’anacronistico principio di unanimità all’interno del Consiglio, dove il veto di un solo Paese blocca i processi decisionali dell’intera Unione.
Come ovviare a questi problemi?
Appare indispensabile porre mano da subito ad una riforma dei Trattati che consenta di procedere a maggioranza nelle decisioni strategiche. Altrimenti noi staremo a discutere sine die mentre i regimi totalitari e autocratici possono decidere in pochi giorni di cambiare gli equilibri globali. La guerra in Ucraina e, ancor di più, il conflitto Israele-Hamas sono una chiara rappresentazione di questa situazione.
Si parla molto di Difesa comune europea e della sua possibile integrazione con il mondo atlantico. Come l’Europa può spingere per costruire un sistema complementare nell’architettura di sicurezza collettiva?
Il processo avviato con la PESCO ha avuto il merito di porre basi realistiche per un rapporto sinergico tra UE e NATO nel campo della difesa. I progetti congiunti sono destinati a costruire un framework più adeguato alle sfide di oggi. L’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO ha aumentato la sovrapposizione tra le due organizzazioni, e questa è una buona notizia. Certamente non è quanto auspicato da Putin, che è riuscito nel capolavoro di far uscire dalla neutralità due Paesi storicamente non allineati. L’Europa deve sfruttare questo momento di slancio per fare di più, soprattutto nel settore della ricerca e nella costruzione di una forte industria europea della difesa, evitando duplicazioni, razionalizzando il sistema degli armamenti, rafforzando il fronte della cyber security e del controllo dello spazio extra-atmosferico. Non ci sarà un esercito europeo nel breve periodo, sia perché vedo resistenze rispetto a cessioni di sovranità in questo settore, sia perché l’ombrello nucleare può oggi essere garantito solo dagli USA attraverso la NATO. Non credo neppure che una eventuale vittoria di Trump a novembre sia destinata a cambiare in modo sostanziale la politica americana nei confronti della Alleanza Atlantica.
Molti Paesi hanno alzato l’asticella delle spese militari e delle politiche industriali per la Difesa. Può questa agenda esser messa a fattor comune in una prospettiva di sistema?
Il generalizzato aumento delle spese militari e per la difesa in molti Paesi è un altro risultato delle scellerate decisioni di Putin, che è riuscito a fare quello che non era stato ottenuto in dieci anni con le sollecitazioni/minacce americane in seno alla NATO (il celebre 2% del PIL come traguardo minimo per tutti gli Alleati), iniziate con Obama nel 2014, proseguite con grande enfasi mediatica da Trump e continuate, pur con toni diversi, dallo stesso Biden. L’aumento delle spese per la difesa deve essere razionale e mirato e per essere veramente efficace va coordinato tra tutti i Paesi europei. Questo sia in termini militari, sia come politiche industriali. E’ un’opportunità che l’industria europea deve cogliere, organizzandosi su base continentale, per evitare che il tutto si trasformi in uno spend European, buy American. Anche qui, tuttavia, dobbiamo fare i conti con le spinte nazionalistiche, a partire da quelle della Francia, ben gelosa del proprio (modesto) patrimonio nucleare e della supremazia industriale in alcuni settori. Insomma, anche nel campo della difesa bisogna diventare capaci di ragionare in termini europei prima che nazionali.
Stati come Russia e Cina sono percepiti sempre più come rivali da molti membri dell’Ue. Come si dovrà porre l’Europa di domani verso di loro?
Russia e Cina sono oggi di fatto rivali dell’Occidente, prima che a livello commerciale in termini di modello culturale e di governo. Le democrazie, che garantiscono libertà e benessere, sono un rivale pericoloso per i regimi autocratici. L’aggressione della Russia all’Ucraina, lungamente premeditata e pazientemente costruita nella percezione dei cittadini russi attraverso una decennale e capillare azione di propaganda, ha avuto la vera motivazione nel disegno neo-imperiale di Putin: egli non può tollerare il rischio dell’avvicinarsi ai propri confini non dei missili della NATO (mai esistiti) ma della mentalità e della cultura occidentale. Il vero interlocutore dell’Europa e dell’Occidente, almeno oggi, è comunque la Cina di Xi Jinping, di cui la Russia costituisce una propaggine.
Che sfida porta, nello specifico, a suo avviso la Cina?
Pechino ha, già da dieci anni, le stesse ambizioni espansionistiche di Mosca, non solo verso Taiwan, ma in tutto il settore del sud-est asiatico, a partire dalle annessioni illegittime delle isole nel Mar Cinese Orientale e Meridionale. Le violazioni dell’integrità territoriale di Paesi sovrani sono tipiche dei regimi totalitari e per questo la questione Ucraina è fondamentale per l’intera architettura del diritto internazionale. L’Europa deve avere un atteggiamento fermo sul piano del rispetto delle regole, ma dialogante in campo economico, ambientale, culturale, se vuole cercare di mettere in difficoltà l’azionista di maggioranza del blocco autocratico, cioè proprio la Cina. Le misure muscolari adottate da Trump in campo commerciale con l’imposizione di dazi e misure restrittive agli scambi, hanno creato terreno fertile per l’operazione di Mosca contro Kiev, sostenuta da una Pechino per la quale una sonora lezione agli americani non sarebbe stata sgradita. Poi le cose sono andate in modo diverso rispetto all’idea che Putin prendesse il controllo dell’Ucraina in tre giorni, e ora la stessa Cina ne sta facendo le spese, ad esempio con il brusco stop al progetto Belt and Road.
Un altro partner fondamentale per il Vecchio Continente è, oggigiorno, l’India. Potrà una cooperazione euro-indiana nell’agenda della prossima legislatura europea come garanzia di un’espansione delle capacità politico-diplomatiche dell’Ue?
L’India è un potenziale alleato naturale per l’Europa e per l’intero Occidente. Personalmente, da molti anni ho ripetutamente segnalato la necessità di un dialogo forte e strutturato tra Bruxelles e Delhi sul piano economico e geopolitico. Vi sono molte condizioni favorevoli: ad esempio, l’India è una grande democrazia (e lo si è visto nelle recenti elezioni che hanno visto un netto ridimensionamento di Narendra Modi contro ogni aspettativa), è storicamente una potenza rivale della Cina, ha rapporti forti con l’intero occidente (ad esclusione delle forniture militari russe). Da qualche tempo si assiste a dialoghi bilaterali tra l’india e diversi Paesi europei e con la stessa UE. Occorre proseguire con decisione in questa direzione. Un asse Europa-India sarebbe uno straordinario anticorpo in grado di neutralizzare molte rivalità geopolitiche, costituendo un colossale punto di equilibrio globale a livello economico e culturale.