Perchè leggere questo articolo? Nonostante tutte le dichiarazioni di intenti, anche per questa tornata elettorale si ripropone il tema della rappresentanza femminile. Il caso M5S, il dilemma di Schlein nel Pd e il corteggiamento a Ilaria Salis sono tre spie di una parità ancora lontana dall’essere raggiunta
“Spero che le elezioni europee di giugno quest’anno vedano molte più donne candidate e molte di più del 39% delle donne votate”. Quello della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola alla vigilia dell’ultimo otto marzo rischia di essere, nuovamente, solo un auspicio. Rappresentanza delle donne in lista, un tema che si ripropone ciclicamente. E se miglioramenti ci sono, paiono ancora decisamente pochi. Soprattutto, a stridere è il contrasto tra le belle intenzioni e le dichiarazioni di intenti (spesso retoriche esaltazioni di un generico femminismo di facciata) e la realtà fattuale. Mentre la presenza di donne nei ruoli apicali della politica è in crescita ed è sotto gli occhi di tutti (la stessa Metsola e Ursula Von Der Leyen in Europa, in Italia Giorgia Meloni premier ed Elly Schlein alla guida del primo partito di opposizione), una autentica parità di genere dentro i partiti e le istituzioni è ancora lontana.
Autocandidature Cinque Stelle: solo 73 donne
L’ultimo spunto di riflessione, in occasione delle prossime Europee, giunge dai Cinque Stelle. Che oggi scelgono dalla loro piattaforma i propri candidati. Nel crollo generale di aspiranti europarlamentari (si erano iscritti in 2.600 cinque anni fa, oggi sono meno di 500), spicca un dato: ci sono solo 73 donne, come riferisce il Corriere. Nessuna, in alcune Regioni italiane. E questo è un dato che è particolarmente problematico, perchè si tratta di fatto di autocandidature. Non c’è insomma stato un filtro da parte dell’apparato dirigenziale. A mancare è proprio la materia prima: donne che si vogliano candidature. O, più probabilmente, che possano permettersi di candidarsi.
Se Ilaria Salis sembra una buona idea…
Il caso dei Cinque Stelle dimostra che manca una base. Ma l’affannosa ricerca degli altri partiti nei confronti di nomi di spicco provenienti dalla società civile mostra anche il rovescio della medaglia: è la stessa società civile ad essere ancora squilibrata e ad offrire una rosa nel complesso meno estesa di nomi femminili disponibili ed adeguati. Si spiega forse anche così il serrato corteggiamento, prima da parte del Pd, poi di AVS, nei confronti di Ilaria Salis. Figura il cui background – a prescindere dalla giusta solidarietà per il suo trattamento a Budapest – presenta qualche opacità.
Pd, il dilemma di Schlein che toglie spazio alle altre donne
Nel Pd è poi in atto da tempo un dibattito sulla candidatura della leader Schlein. Basta la sua presenza al terzo posto in lista, lasciando il ruolo di capoliste ai nomi pescati dalla società civile (come Lucia Annunziata) per far già concretamente temere alle altre big del partito come Pina Picierno, vicepresidente uscente del Parlamento europeo, o Simona Malpezzi (che si collocherebbero al quinto slot) per la loro elezione. Questo a rappresentare quanto è corta la coperta. Problema analogo in Fratelli d’Italia con Meloni, anche se storicamente la tematica di genere nel centrodestra, per quanto presente, è percepita in maniera complessivamente meno prioritaria.