Giorgia Meloni è tornata di lotta dopo esser stata di governo sferzando il “caminetto” europeo che ha deciso il pacchetto di mischia per le prossime nomine comunitarie nella comunicazione alla Camera prima del Consiglio Europeo che le dovrebbe ratificare.
“Nelle nomine non si sta tenendo conto dei voti dei cittadini”, dice Meloni, contestando più dei nomi la logica sulla cui base il tridente von der Leyen-Costa-Kallas è stato prescelto. E ciononostante, Partito Popolare Europeo, Partito Socialista Europeo e Renew Europe hanno la maggioranza. I Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) sono il terzo partito, ricorda la premier. Ma giusto oggi il gruppo non ha potuto fare la riunione di costituzione per le tensioni dentro Diritto e Giustizia, il partito polacco assieme a Fratelli d’Italia centrale nel gruppo.
L’Italia, forse, avrà una vicepresidenza di peso alla Commissione Europea. Ma Meloni, vincitrice alle urne, rischia di essere punita dai troppi “ma anche”.
Le ambiguità di Meloni sull’Europa
La sua Italia è stata ovunque e in nessun luogo, desiderosa di coprire ogni terreno. Con il risultato di non presidiarne nessuno. Apertamente pro-Ucraina, ma distaccata prima delle Europee sull’innalzamento del fronte di sostegno a Kiev. Allineata al Patto di Stabilità rientrante, senza toccare palla nelle scelte decisive, ma capace di un fallo di reazione sul Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes). Meloni ha presentato in campagna elettorale la volontà di “mandare la Sinistra all’opposizione” dimenticando che per mesi sono stati due leader di stampo progressista, lo spagnolo Pedro Sanchez e l’ex premier portoghese Costa promesso al Consiglio Europeo, i maggiori fautori della comune lotta anti-austerità.
Meloni ha corteggiato von der Leyen provando a distinguere la presidente della Commissione dalla serie di politiche contestate da Fdi nella scorsa legislatura, a partire dal Green Deal, salvo trovarsi sotto scacco. Come nota Dagospia, “Ursula dopo aver navigato tra acque procellose (lo scetticismo di parte del Ppe e le recriminazioni dei socialisti), ora sembra aver trovato una posizione più solida: se i 24 eurodeputati di Fratelli d’Italia non la sosterranno, si rivolgerà ai Verdi che hanno offerto il loro appoggio e dispongono di una delegazione anche più numerosa di Fdi (ben 53 parlamentari)”.
La sconfitta politica dopo la vittoria elettorale
Insomma, Meloni rischia di trovarsi in mano un 29% alle Europee che vale politicamente poco per il fatto che in nome della campagna elettorale si è detto e fatto tutto e il contrario di tutto. Salvo poi dimenticare di costruire alleanze al momento decisivo. Uno scacco politico non da poco. Recuperare sarà difficile. La negoziazione per un commissariato di peso, che all’Italia per struttura non si può negare, partirà col rischio ulteriore di porre Meloni contro il suo stesso gruppo europeo. Sarà un’estate rovente per riscattare la sconfitta politica nata da una vittoria elettorale di inizio mese che sembra già dimenticata.