Non era una sorpresa, ma è flop storico: il 2% della candidata Anne Hidalgo è il peggior risultato elettorale nella storia del Partito Socialista francese. Il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia conferma due dati che possono interessare anche l’Italia. Per prima cosa, la polarizzazione di un voto che premia gli estremi a livello nazionale (su tutti gli exploit della sinistra radicale di Melanchon e dell’estrema destra di Le Pen e Zemmour); ma soprattutto che punisce i candidati che provengono dalla dimensione locale: la sindaca Hidalgo non riesce a diventare presidente. Il mancato salto dal Comune all’Eliseo è un monito per tutti gli amministratori locali nostrani che tentano la scalata nazionale. Su tutti quello di Milano, Beppe Sala.
Sala e Hidalgo
“Milano merita un Sindaco che le dia ampio respiro internazionale. L’unico che può farlo è il mio amico Beppe Sala, a cui faccio un grande in bocca al lupo. Ogni giorno, ogni ora. Tous les jours, toutes les heures“. Questo messaggio in vista delle elezioni comunali di Milano del 2016 è stato solo il primo degli scambi di endorsement tra Hidalgo e Sala.
Il rapporto tra i due si è rafforzato in questi anni. Sempre nel 2016, poco dopo l’elezione, Sala aveva ricevuto la Legion d’Onore dalle mani della Hidalgo e dall’ambasciatrice francese a Roma Catherine Colonna. Sala aveva poi ricambiato l’onorificenza, facendo gli onori di casa nella campana elettorale che ha portato Hidalgo alla rielezione nel 2020. Lo scambio di favori si è nuovamente riproposto a parti invertite nell’ottobre del 2021, quando Sala ha raggiunto la sindaca di Parigi, ottenendo un secondo mandato.
La città a 15 minuti
Hidalgo è presidente di C40, l’alleanza internazionale per il clima dei sindaci, insieme ad alcuni primi cittadini di area progressista. Ci sono anche la sindaca di Barcellona Ada Colau e Fernando Medina di Lisbona. Con questi sindaci Sala condivide l’idea, promossa da Hidalgo, della “città dei 15 minuti“.
La “ville du quart d’heure” prevede di riorganizzare gli spazi urbani in modo che il cittadino possa trovare entro 15 minuti a piedi da casa tutto quello che gli serve per vivere. Lavoro (anche in co-working), negozi, strutture sanitarie, scuole, impianti sportivi, spazi culturali, bar e ristoranti, luoghi di aggregazione.
Una suggestione che ha stregato i primi cittadini di Milano e Roma. Un concetto che è stato ribadito in “L’anno che verrà“, un dialogo online del 2020 in cui Sala e Hidalgo hanno ribadito le priorità per una gestione smart e green delle città che amministrano: “verde e giusto” è lo slogan alla base della rete internazionale di città impegnate nella lotta al cambiamento climatico.
In Italia il sindaco della grande città non diventa premier
La brusca – anche se annunciata – frenata della corsa di Anne Hidalgo all’Eliseo, conferma la tendenza storica che vede grosse difficoltà per gli amministratori di grandi città ad affermarsi nella politica nazionale. Un fenomeno in grado di valicare le Alpi, per trovare riscontri anche nelle principali città italiane.
Nella loro storia, Milano e Roma non hanno mai espresso un primo cittadino che sia poi stato in grado di diventare Presidente del Consiglio o della Repubblica. A scoraggiare Beppe Sala possono concorrere i precedenti meneghini di Giuliano Pisapia – suo predecessore a Palazzo Marino, attualmente europarlamentare col Pd, dopo l’esperimento naufragato di Campo Progressista, una delle tante formazioni minori della galassia della sinistra.
Ci sono poi gli esempi che arrivano dalla capitale: Francesco Rutelli – sindaco della capitale dal 1993 al 2001, ritiratosi dalla politica nel 2013, dopo essere stato ministro – e soprattutto Walter Veltroni – successore di Rutelli per due mandati, poi fondatore del Pd, alla guida del quale è stato sconfitto alle elezioni del 2008.
Anche in Europa è difficile
Ci troviamo di fronte a un fenomeno europeo, quello che vuole il sindaco della città più grande del paese difficilmente in grado di affermarsi alle elezioni politiche nazionali. Le eccezioni si contano sulle dita di una mano: in Francia solo Jacques Chirac – scomparso nel 2019 – è stato Presidente della Repubblica dal 1995 al 2007, dopo esser stato sindaco di Parigi per quasi vent’anni dal 1977 al 1995; onore che non è spettato a nessun primo cittadino di Marsiglia (seconda città del paese).
A rompere il tabù in Germania è stato Olaf Scholz, che lo scorso autunno ha raccolto l’eredità di Angela Merkel. Entrambi sono originari di Amburgo, seconda città tedesca, ma solo il socialdemocratico Scholz è stato sindaco della città dal 2011 al 2018. Nessun sindaco di Berlino è invece stato cancelliere (anche per ragioni storiche, essendo la capitale del paese stata per decenni divisa, prima in quattro e poi in due parti separate dal Muro).
Anche l’attuale Primo ministro britannico, Boris Johnson, è riuscito a interrompere l’incantesimo che ha impedito negli anni a un sindaco di Londra o di Manchester di diventare premier. Anche qui la storia la fa da padrona: solo recentemente il sistema britannico ha introdotto l’elezione diretta del primo cittadino.
La rivincita della provincia?
Il bando dalla premiership si avverte anche in Spagna: solo un sindaco di Madrid, Carlos Arias Navarro, ha guidato un governo spagnolo, ma erano i tempi di Franco (dei catalani di Barcellona manco a parlarne). E poi per i sindaci di Atene, Amsterdam, Bruxelles, Copenaghen. Solo Lisbona (l’attuale premier Antonio Costa e un vecchio Presidente della Repubblica, Jorge Sampaio, sono stati sindaci) e Vienna con Theodor Körner (ma era subito dopo la Seconda guerra mondiale) hanno violato il tabù.
La tendenza è davvero globale e detta legge anche in Russia e negli Stati Uniti. Mosca e San Pietroburgo, New York, Los Angeles e Washington hanno avuto sindaci che poi non sono stati in grado di arrivare al Cremlino o alla Casa Bianca. Che sia la rivincita della provincia: periferia economica, ma espressione del cuore politico e delle principali istituzioni del paese?